Merz, il Cancelliere che parte già azzoppato alla guida di una Germania piena di contraddizioni, come accade in tutta Europa

Ciò che sta andando in corto circuito è il disegno di omologazione in nome del mercato, della globalizzazione e di una “nuova” identità europea figlia di un relativismo che ha eliminato i punti di riferimento culturali.

Friedrich Merz è diventato Cancelliere al secondo colpo, il che non cancella affatto la figuraccia: non era mai accaduto che un cancelliere in pectore fosse impallinato alla prima votazione.
Il precedente non mette Merz nella migliore delle condizioni ma a quanto pare poco importa: l’uomo ha deciso di tirare dritto che è un po’ come tirare a campare, andatura che la Germania considera segno di debolezza soprattutto quando la inquadra in quei paesi del Mediterraneo che lei considera troppo molli.

Il leader senza stoffa della Cdu (minato al suo stesso interno anche per effetto della scarsa simpatia che la Merkel nutre per lui) diventa Cancelliere “sostenuto” dalla ormai logora formula della Grosse Koalition, dove i franchi tiratori centristi e socialdemocratici hanno messo i piedi sul tavolo per far capire l’aria che tirerà. La Germania si trova nel mezzo di una strana convergenza: ha dalla sua la possibilità di allargare i cordoni della borsa ma lo farà per lo più per finanziare un massiccio piano di riarmo e per ammodernare infrastrutture soprattutto in chiave hi-tech. Rischia di restare a secco l’industria pesante, cioé il pistone economico della Germania, quello che fa girare soldi e buste paga. I più schiacciati sono i giovani e i lavoratori, soprattutto nella ex Ddr ma non soltanto, guarda caso il target elettorale della AfD, partito politico in ascesa alle ultime elezioni e inarrestabile secondo i recenti sondaggi. Non a caso il partito di Alice Weidel è stato congelato nella definizione giuridica di “estrema destra”, una specie di cartellino giallo che potrebbe mettere a rischio la sua partecipazione alle prossime tornate elettive.

Insomma, brutta aria in Germania: un Cancelliere impallinato e azzoppato prima di cominciare; una formula di governo logora (in terra tedesca ma anche laddove si rovesciano i risultati popolari e si impapocchiano larghe intese); industriali in forte affanno dopo le grandi scorpacciate di quote di mercato estere; un blocco sociale che non ci sta a interpretare la parte dell’anello sacrificale e inizia a rumoreggiare. E non disdegna l’offerta politica di un partito che ha costruito il proprio capitale elettorale sull’immigrazione.

Le destre nazionaliste ritornano. Lo stiamo dicendo da tempo. E il risultato della Romania a livello politico con il successo di Simion e della Gran Bretagna a livello amministrativo con Farage ne sono una ulteriore prova. Chi non riesce a leggere questi movimenti è l’Unione europea, i cui vertici sono incastrati nello stesso blocco della Grosse Koalition e ne replicano quello strano schema per cui partiti che si sono contrastati in campagna elettorale poi apparecchiano il tavolo di governo per spartirsi le poltrone. Ecco, di questo i cittadini iniziano ad averne le scatole piene.

Ciò che sta andando in corto circuito è il disegno di omologazione in nome del mercato, della globalizzazione e di una “nuova” identità europea figlia di un relativismo che ha eliminato i punti di riferimento culturali. Vincono le destre sovraniste e nazionaliste perché richiamano i codici identitari, i propri dna. Tocca alla politica governare questi processi in corso, che sono processi sociali. Non è possibile che le ultime classi dirigenti siano “figlie” della cultura finanziaria, descritte sempre le migliori - Macron, Draghi o il neo presidente del Canada Mark Carney - a scapito di dirigenti e leader cresciuti nei partiti.

L’Europa sta vivendo uno smottamento che non può essere fermato a botte di decisioni giuridiche (AfD, Marine Le Pen in Francia, Georgescu in Romania) o con iniezioni di neoliberismo per gestire emergenze causate proprio dalle distorsioni delle speculazioni. La politica deve tornare a pensare al suo epicentro, cioé al popolo, e reinserirlo nel suo grembo naturale che sono i riferimenti nazionali, culturali e identitari. Vedremo chi sarà il successore di Papa Francesco ma se l’Europa dovesse restare fuori dall’attenzione del Vaticano le spaccature rischiano di diventare insanabili.

di Gianluigi Paragone