L'Italia in Cina ieri, tra controllo delle aree ed espansione coloniale e la Cina in Italia oggi, con la significativa presenza nel quartiere Esquilino a Roma
Con l'avvento della Prima Guerra Mondiale, l'Italia si schierò con le potenze alleate, e la sua presenza in Cina divenne sempre più problematica, portando a una rivalutazione delle proprie politiche coloniali
La storia della colonia italiana in Cina costituisce un capitolo affascinante e intricato della storia coloniale europea in Asia, evidenziando le dinamiche di potere e le interazioni culturali di un periodo storico significativo. A partire dalla fine del XIX secolo, l'Italia, desiderosa di ampliare la propria influenza e di affermarsi nel contesto internazionale, ottenne il controllo di alcune aree strategiche in Cina, con particolare riferimento alla città di Tianjin e alla concessione di Qingdao. Questi eventi si inserirono in un contesto più ampio, in cui le potenze europee si contendevano avidamente il territorio cinese, cercando opportunità per espandere i propri imperi coloniali. La presenza italiana in Cina si intensificò notevolmente dopo la firma del Trattato di Shimonoseki nel 1895, che concesse all'Italia diritti commerciali e territoriali significativi, consentendo così al paese di stabilire una presenza duratura nella regione.
Durante il periodo coloniale, gli italiani si impegnarono attivamente nella costruzione di infrastrutture cruciali, come strade e ferrovie, e nello sviluppo dell'industria locale, in particolare nei settori della pesca e dell'agricoltura. Questi sforzi non solo miravano a migliorare le condizioni economiche della colonia, ma anche a facilitare il commercio e a consolidare la presenza italiana nel territorio. L'architettura italiana lasciò un'impronta significativa nel paesaggio urbano, con edifici in stile neoclassico e monumenti che ancora oggi possono essere ammirati e apprezzati per la loro bellezza e il loro valore storico. Tuttavia, la colonia italiana in Cina non fu priva di controversie e di tensioni, poiché le relazioni con la popolazione locale si rivelarono spesso complicate. L'occupazione italiana si scontrò con il crescente nazionalismo cinese, che si andava sviluppando in risposta alle ingerenze straniere e alle aspirazioni di sovranità e autodeterminazione.
Con l'avvento della Prima Guerra Mondiale, l'Italia si schierò con le potenze alleate, e la sua presenza in Cina divenne sempre più problematica, portando a una rivalutazione delle proprie politiche coloniali. Dopo la vittoria nella Grande Guerra, l'Italia ampliò la sua concessione principale a Tianjin incorporando la zona commerciale precedentemente controllata dall'Impero austro-ungarico che confinava con quella tricolore. Nel 1943 dopo l'armistizio, tutta la zona italiana venne occupata dai giapponesi segnando così la fine della presenza italiana in Asia. Quella zona a sua volta dopo due anni venne ceduta definitivamente dai nipponici sconfitti ai cinesi.
Oggi, la memoria di quel periodo è ancora presente in alcune celebrazioni e manifestazioni culturali, ma resta un tema complesso e sfaccettato, che invita a riflettere sui temi dell'impatto coloniale, delle relazioni tra culture diverse e delle eredità storiche. La colonia italiana in Cina, sebbene di breve durata, ha lasciato un'impronta significativa che continua a influenzare le dinamiche culturali e storiche tra Italia e Cina, rappresentando un momento cruciale nella storia delle relazioni internazionali. La comprensione di questo periodo storico non solo arricchisce la nostra conoscenza della storia coloniale, ma offre anche spunti di riflessione su come le interazioni tra nazioni e culture possano plasmare il futuro delle relazioni globali. Una curiosità sul tema. Dopo il 1945 poco meno di cento persone che avevano collaborato con gli italiani nel periodo della concessione decisero di venire a vivere in Italia. Alcuni di loro aprirono una fabbrica di cravatte a Roma nei pressi di Piazza Vittorio Emanuele II, precorrendo di quasi 80 anni la più significativa presenza cinese odierna proprio nel quartiere Esquilino della Capitale.
Di Lelio Antonio Deganutti e Francesco Bartolomei