Trump invoca poteri straordinari per espellere gli immigrati, aprendo uno scontro di rango costituzionale con i tribunali

La rimozione di centinaia di venezuelani è avvenuta senza alcuna udienza, e contravvenendo all'ordine emesso di un giudice federale

Solo il presidente può decidere come condurre la politica dello Stato, senza interferenze da parte dei tribunali. Questa è l'argomentazione dell'amministrazione Trump nel caso dell'espulsione di centinaia di immigrati venezuelani dagli Stati Uniti lo scorso 16 marzo. Secondo la Casa Bianca, si trattava di individui pericolosi, una minaccia per il Paese, ma senza l'obbligo per il governo di presentare alcuna prova in merito o di rivolgersi a un tribunale per avallare la decisione del presidente.

Il risultato è uno scontro crescente con il giudice federale James E. Boasberg, che vuole fare chiarezza sulle azioni dell'amministrazione dopo l'udienza in cui il tribunale ha ordinato l'interruzione dell'operazione, anche a costo di far tornare indietro gli aerei già partiti. Invece, due voli sono proseguiti, mentre un terzo è decollato anche dopo la decisione del giudice.

La Casa Bianca ha invocato una legge del diciottesimo secolo per espellere i venezuelani: l'Alien Enemies Act del 1798, che stabilisce la possibilità di detenere e rimuovere i cittadini di un paese con cui gli Stati Uniti sono in guerra o nel caso di "un'invasione o incursione predatoria". Secondo Trump, tutti i cittadini venezuelani di almeno 14 anni possono essere fermati e rimossi come "alieni nemici". Nel caso recente, sono stati deportati in El Salvador, dove il presidente ha accettato di detenerli in prigione in cambio di un compenso di 6 milioni di dollari, una cifra significativamente inferiore a quella che il governo statunitense avrebbe speso per detenerli sul suolo americano.

Il giudice Boasberg ha stabilito che non si poteva procedere alla rimozione senza un'udienza per dimostrare la pericolosità degli immigrati, ma l'amministrazione afferma che i tribunali non hanno voce in capitolo: solo il presidente può determinare se il Paese è in guerra e se il Venezuela sta effettivamente invadendo gli Stati Uniti. Ora il giudice vuole fare chiarezza sugli eventi di quella notte, per stabilire se il suo ordine, diretto agli avvocati dello Stato, sia stato effettivamente ignorato.

Il governo oscilla tra due tipi di risposte. Da un lato, propone giustificazioni legali azzardate, ad esempio sostenendo che il giudice non avesse competenza sulla vicenda poiché gli aerei si trovavano già fuori dallo spazio aereo americano. Dall'altro, reagisce politicamente, chiedendo la rimozione di Boasberg, definendolo un "giudice canaglia" che "sovverte la volontà del popolo americano nel tentativo di bloccare il presidente Trump dall'attuare il suo programma". Trump stesso ha scritto sui social che, avendo vinto tutti gli stati in bilico, il giudice non dovrebbe permettersi di intervenire e dimostra solo di essere "un pazzo della sinistra radicale".

A questo punto, la Corte Suprema ha fatto sentire la sua voce. Il Chief Justice (giudice capo) della Corte, John Roberts, ha affermato: "Per più di due secoli è stato stabilito che l'impeachment non è una risposta appropriata a un disaccordo riguardante una decisione giudiziaria… Per questo scopo esiste il normale processo di revisione d'appello".

Si tratta di un intervento inusuale, proveniente peraltro da un giudice conservatore nominato da George W. Bush. Negli ultimi anni, Roberts si è mostrato più moderato rispetto ai tre giudici nominati dallo stesso Trump, ma anche tra questi ultimi iniziano a emergere segni di disagio di fronte all'atteggiamento prepotente della Casa Bianca. Nei prossimi mesi, ci saranno diverse occasioni per verificare la volontà della Corte Suprema di difendere le prerogative del sistema giudiziario, quando arriveranno i casi relativi alle mosse di Elon Musk per smantellare molte funzioni governative e licenziare decine di migliaia di dipendenti pubblici.

Esiste un precedente nella storia americana di un presidente che ha sfidato apertamente la Corte Suprema. Nel 1832, Andrew Jackson rifiutò di far rispettare una sentenza che imponeva la tutela della sovranità e dell'incolumità dei nativi americani. Jackson dichiarò: "Il giudice capo ha emesso la sua sentenza. Ora lo faccia rispettare", per poi ignorarla e proseguire con la sua politica di "rimozione degli indiani".

Non siamo ancora a quel livello, ma sappiamo che alla Casa Bianca si sta valutando fino a che punto spingersi. Il vicepresidente JD Vance ha già citato in passato il precedente di Jackson, sostenendo l'idea di contrastare gli apparati del cosiddetto "Stato profondo" senza curarsi dell'opposizione dei tribunali.

Di Andrew Spannaus