La prima guerra mondiale ci offre lezioni importanti per la competizione globale di oggi

Le differenze di ideologia politica stanno esacerbando la nuova divisione del mondo in blocchi

L'arrivo di Donald Trump alla Casa Bianca ha acceso le speranze per un ritorno alla diplomazia nei confronti della Russia. La promessa di fermare il conflitto in Ucraina il primo giorno della sua presidenza era ovviamente un'esagerazione elettorale, ma intanto entrambe le parti si stanno preparando ad aprire una fase di negoziato. Per ragionare su come concepire un accordo, anche se solo preliminare, occorre capire la natura delle divisioni globali di oggi e gli obiettivi degli attori coinvolti.

La Russia, ovviamente, non ha alcuna intenzione di essere declassata e perdere il suo status di grande potenza. Così ha deciso di combattere per mantenere la propria sfera d'influenza. E in risposta alle sanzioni e alla "guerra finanziaria" dell'Occidente, piuttosto che cedere, ha lavorato sodo per rafforzare i suoi rapporti economici con altre parti del mondo, dalla Cina all'India, fino ad altre aree del cosiddetto Sud globale.

Questo rafforzamento dell'interscambio al di fuori della sfera occidentale avviene nel contesto di una crescita graduale dei BRICS negli ultimi anni. Si tratta di un raggruppamento di paesi nato proprio per rappresentare un polo alternativo al mondo occidentale, che per decenni ha imposto i propri modelli e perseguito i propri interessi attraverso il sistema finanziario internazionale. Ora la grande domanda è se nei prossimi anni si creeranno di fatto due blocchi nel mondo: quello occidentale, a guida americana, sostenuto anche dalla rinnovata politica industriale e dalla determinazione a correggere gli errori commessi negli anni della globalizzazione; e uno guidato dalla Cina, che considera le pretese di Washington e dei suoi alleati come arroganti nei suoi confronti e non più obbligatorie da seguire, vista la crescita di nuovi centri di potere.

Ci sono diversi modi di affrontare questa evoluzione. C’è chi, anche tra coloro che comprendono bene i fallimenti del modello neoliberista, ritiene necessario stabilire un perimetro dei "buoni", sfruttando il ruolo dominante degli Stati Uniti per costringere altri paesi a scegliere se stare con noi o contro di noi. L'alternativa è impegnarsi sì a garantire il nostro benessere e quindi a mantenere la nostra influenza, ma anche a continuare a collaborare e commerciare con chi adotta un modello economico e politico diverso da quello occidentale.

Il tema all'ordine del giorno è effettivamente quello delle democrazie rispetto alle autocrazie, come Joe Biden ha ripetuto tante volte durante la sua presidenza. Ma il punto è che definirci in modo diverso, sulla base dei nostri principi e delle nostre aspirazioni, nonostante le evidenti imperfezioni delle nostre società, non significa necessariamente porci in opposizione totale a chi è meno liberale di noi. Non si può pensare di esportare la democrazia – i tentativi recenti sono stati disastrosi – né di imporre il nostro modello al Sud globale. Il rischio è che i paesi sceglieranno sempre in base alla convenienza, e non secondo i nostri costrutti ideologici, come già avviene in questi anni nei rapporti con la Russia.

Nel periodo precedente alla Prima Guerra Mondiale, l'Impero britannico temeva la crescente influenza economica e strategica della Germania, oltre alle possibili alleanze che Berlino poteva stringere per rafforzare il proprio progetto di crescita. Si racconta che la guerra sia scoppiata a causa di un assassinio a Sarajevo e del nazionalismo imperante tra i paesi europei. La realtà è che il rischio di un grande conflitto era già noto, poiché derivava dallo scontro di interessi tra i due poli.

Oggi, non è difficile ipotizzare una polarizzazione mondiale attorno alle due grandi potenze, definita da differenze politiche ma declinata in termini di interessi economici. Occorre chiedersi se siamo disposti a rischiare una nuova guerra per difendere il "nostro" modello contro il "loro". Se vogliamo evitarla, dobbiamo identificare e ampliare le aree di cooperazione e di dialogo, senza interpretare ogni situazione esclusivamente attraverso la lente della nuova contrapposizione globale. Questo non significa dare meno peso ai nostri valori, ma evitare una visione rigida, in cui un piccolo scontro locale, un incidente o una provocazione possano degenerare in una conflagrazione disastrosa a causa di un'impostazione eccessivamente ideologizzata.

di Andrew Spannaus