Gli ordini esecutivi di Trump mirano a segnare una netta discontinuità con Biden e a espandere i poteri presidenziali

Alcuni saranno contestati in tribunale, ma il Tycoon sembra deciso a testare i limiti dei poteri esecutivi

Nei primi giorni del suo secondo mandato presidenziale, Donald Trump ha firmato decine di ordini esecutivi. Si tratta di provvedimenti su cui il presidente – supponendo che i suoi legali abbiano fatto bene il proprio lavoro – detiene il potere diretto di intervenire. Questi riguardano l’amministrazione delle leggi, ambito in cui la Casa Bianca gode di un’ampia autonomia. All'interno del quadro legislativo definito dal Congresso nel corso degli anni, è possibile stabilire priorità e decidere quante risorse destinare a determinate azioni, come nel settore dell'immigrazione. Inoltre, vi sono disposizioni relative al funzionamento degli organi di governo, come le norme per i dipendenti pubblici o la controversa questione della "diversità".

Quello che il presidente non può fare è contraddire espressamente la Costituzione e le leggi. Quando tenta di farlo, le questioni finiscono rapidamente in tribunale. È il caso della volontà di sospendere lo ius soli, il diritto di cittadinanza per chiunque nasca sul suolo americano. L’ordine firmato da Trump in tal senso è stato immediatamente contestato, e un giudice di Seattle lo ha bloccato definendolo "evidentemente incostituzionale". È probabile che la questione arriverà fino alla Corte Suprema.

Alla Casa Bianca erano consapevoli che sarebbe potuto accadere, tant’è che l’ordine era stato pensato per entrare in vigore solo dopo 30 giorni. Questo caso, però, dimostra il metodo seguito dall’amministrazione Trump: emettere una valanga di provvedimenti, rendendo impossibile per gli avversari occuparsi di tutto. Allo stesso tempo, si inseriscono azioni che marcano una netta discontinuità culturale rispetto ai democratici e alla visione globalizzata della politica.

Sono consapevoli che alcuni degli ordini saranno bloccati, ma nel frattempo creano dei fatti compiuti, ad esempio vantandosi dell’aumento delle espulsioni di immigrati, oppure indebolendo la burocrazia di Washington con l’obiettivo di ridurre il potere degli apparati statali. Per ora, entrambe le camere del Congresso hanno una maggioranza repubblicana, quindi è probabile che la resistenza da parte del ramo legislativo sarà minima.

Per le iniziative più grandi, tuttavia, sarà necessario passare attraverso Camera e Senato. Le azioni esecutive, infatti, sono limitate nel loro scopo, contestabili legalmente e spesso temporanee. Come dimostrato dallo stesso Trump, il presidente successivo può invertire la rotta immediatamente. È ormai una prassi consolidata su alcuni temi, anche se il tycoon ha portato questo approccio a un livello senza precedenti.

È proprio quest’ultimo aspetto che merita particolare attenzione. Che Trump abbia intenzione di agire rapidamente e in modo netto è evidente; tuttavia, il tentativo di espandere i poteri presidenziali potrebbe avere ripercussioni a lungo termine. Dopo lo scandalo del Watergate, il Congresso è diventato più vigile rispetto ai potenziali abusi della Casa Bianca. Tuttavia, a partire dalla presidenza di George W. Bush, soprattutto in seguito alla risposta agli attentati dell'11 settembre 2001, l’ampliamento dei poteri esecutivi ha guadagnato nuovo slancio.

I consiglieri di Trump abbracciano la teoria dell’"esecutivo unitario", secondo cui il Congresso non può porre limiti ai poteri del presidente. Nel contesto dell'incriminazione di Trump per il tentativo di ribaltare le elezioni del 2020, il presidente ha persino preteso l’immunità per qualsiasi azione intrapresa in veste ufficiale. Sorprendentemente, la Corte Suprema gli ha dato parzialmente ragione, alimentando timori per un possibile senso di impunità da parte della Casa Bianca.

Resta da vedere fino a che punto il nuovo presidente si spingerà nei prossimi mesi. È chiaro che la sua intenzione è di mettere alla prova i limiti del potere esecutivo.

di Andrew Spannaus