Trump deve scegliere tra la destra sociale e quella liberista, che spinge l’austerità

I vecchi repubblicani sperano di sfruttare il rigetto della sinistra per riabilitare le politiche pro-finanza e anti-Stato

Donald Trump ha vinto le elezioni presidenziali di quest'anno facendo appello alla classe lavoratrice americana. Ha promesso di affrontare i problemi dell'inflazione, dai prezzi elevati degli alimentari a quelli delle abitazioni. Continua a insistere sulla visione di rendere l'America di nuovo grande, ricostruendo la base produttiva del paese e creando posti di lavoro ben pagati.

Questa nuova direzione è iniziata durante la prima presidenza Trump, quando il Tycoon ha bloccato i grandi accordi commerciali e promosso misure protezionistiche per sostenere l'industria interna. È stata poi portata avanti da Joe Biden – anche se nessuno dei due ammetterebbe mai la continuità – che ha aggiunto ingenti investimenti pubblici nelle infrastrutture, nella produzione tecnologica e nella ricerca scientifica.

Ora si tratta di capire cosa farà Trump nel secondo mandato: continuare con questa visione post-globale, caratterizzata dall'abbandono dell'ideologia della globalizzazione che ha favorito la finanza e danneggiato la classe media, oppure ricadere nel liberismo classico del partito repubblicano. L'esito non è per nulla scontato, poiché il presidente in pectore sta imbarcando una serie di figure che, pur essendo alleate con lui contro il Deep State – ovvero quegli apparati dello Stato che tendono a preservare interessi istituzionali indipendentemente dalle oscillazioni politiche a breve termine – risultano però legate a una visione ben diversa rispetto all'intervento pubblico in economia.

Ho avuto modo di spiegare il dilemma ad Atreju, la manifestazione di Fratelli d'Italia tenutasi al Circo Massimo la scorsa settimana. Invitato come voce indipendente in un dibattito su Trump e le conseguenze per l'Europa, ho sottolineato la differenza tra la destra sociale, che sostiene misure per aiutare le classi meno abbienti, e la destra liberista, guidata dall'ideologia del libero mercato, che mira a ridurre il ruolo dello Stato, con l'inevitabile conseguenza di rafforzare il potere della finanza.

È una storia che abbiamo conosciuto tutti negli ultimi decenni, quelli della globalizzazione: nel nome dell'efficienza e della concorrenza si tolgono le regole, si riducono le protezioni, e alla fine prevale l'attività speculativa, a breve termine, rispetto a quella produttiva, che richiede condizioni più stabili e tempi più lunghi per fiorire.

Elon Musk e Vivek Ramaswamy propongono di tagliare il bilancio pubblico USA di oltre un terzo, convinti della necessità di eliminare la burocrazia. Tuttavia, una riduzione di questa portata comporterebbe inevitabilmente la soppressione di numerosi servizi pubblici essenziali. I loro alleati al Congresso, infatti, parlano già apertamente di misure che rimuoverebbero milioni di persone dalle liste dei beneficiari dell'assistenza sanitaria pubblica, senza contare gli aiuti per chi non riesce nemmeno a garantirsi l’essenziale, come il cibo o il riscaldamento.

Certamente, "serve lavorare piuttosto che vivere di sussidi", come ha dichiarato il presidente argentino Javier Milei a Roma; ma gli effetti dell'austerità sono recessione e un rapido aumento della povertà. Ci promettono tempi migliori in futuro, quando l'economia tornerà a crescere. Tuttavia, è difficile credere che la classe lavoratrice americana abbia votato per questo. Piuttosto, si aspetta risposte rapide ai problemi della vita quotidiana: il carovita, la precarietà del lavoro, le difficoltà nell'arrivare a fine mese.

Queste risposte possono venire dalla continuazione della politica industriale già avviata negli Stati Uniti negli ultimi anni, che sta già generando una crescita costante, sufficiente a sostenere senza difficoltà lo stato sociale. Al contrario, la vecchia visione repubblicana liberista, che alcuni sperano di far rientrare dalla finestra approfittando del rigetto culturale della sinistra, rischierebbe di riportarci a un modello ben diverso, che aggraverebbe le disuguaglianze e penalizzerebbe ulteriormente chi è già in difficoltà.

di Andrew Spannaus