Trump annuncia le nomine e misura la resistenza al potere esecutivo
Il Senato dovrà decidere se cedere competenze al Tycoon, determinato a perseguire la sua agenda senza ostacoli
A venti giorni dalle elezioni presidenziali dello scorso 5 novembre negli Stati Uniti, Donald Trump ha già annunciato buona parte delle nomine di primo livello per la sua prossima amministrazione. Le figure scelte sono caratterizzate principalmente dalla loro fedeltà agli obiettivi e al metodo del Tycoon; in altre parole, Trump sta evitando attentamente quello che considera il grande errore del suo primo mandato: aver scelto figure istituzionali ritenute rassicuranti per la loro esperienza nel mondo di Washington. Ora, l'obiettivo è fare tutto il possibile per garantire il successo dell'agenda trumpiana, senza incontrare le resistenze degli apparati dello Stato.
Questo approccio include anche provocazioni, come la controversa nomina del deputato Matt Gaetz a Attorney General (ministro della Giustizia). Gaetz, noto per le sue posizioni fuori dagli schemi e privo di esperienza specifica nel settore, è stato al centro di un'indagine iniziata dallo stesso Congresso per le sue condotte sessuali. Sebbene non sia mai stato incriminato, alcune rivelazioni scabrose hanno alimentato l'opposizione alla sua nomina in Senato, portandolo infine a ritirarsi. Per sostituirlo, Trump ha scelto Pam Bondi, un'alleata fedele e con una solida esperienza come procuratrice generale dello stato della Florida.
Per quanto riguarda altre nomine percepite come inappropriate nell'ambiente politico – come Tulsi Gabbard per l'intelligence, Robert F. Kennedy per la salute e Pete Hegseth per la difesa – Trump appare determinato a proseguire senza ripensamenti. L'unico compromesso finora sembra essere stato un ammorbidimento dei toni nei confronti del Senato, nel tentativo di evitare una frattura con quei senatori repubblicani già critici verso Gaetz. Questi dissidenti potrebbero infatti bloccare altre nomine quando verranno sottoposte all'approvazione dell'aula a fine gennaio.
La proposta più provocatoria avanzata da Donald Trump è quella di costringere il Senato a sospendere i lavori, consentendogli così di ricorrere alle "recess appointments" (nomine durante la pausa legislativa). Questo meccanismo, previsto dalla Costituzione, permetterebbe al presidente di bypassare il Congresso e procedere con nomine temporanee che rimarrebbero valide fino alla fine della legislatura, prevista per il 2026. E' un meccanismo previsto al tempo della stesura della Costituzione, quando ci volevano settimane per spostarsi e quindi i lavori del Congresso rimanevano sospesi per periodi relativamente lunghi.
Una mossa del genere toglierebbe al Senato il suo ruolo di "advice and consent" (consiglio e consenso), che limita i poteri del presidente nell'ambito del bilanciamento delle competenze costituzionali. Sarebbe clamoroso se i senatori dovessero permettere a Trump di agire in questo modo, e sarebbe il segno che il progetto di espandere i poteri esecutivi, espresso chiaramente da alcuni think-tank conservatori, riuscirà ad andare avanti nei prossimi anni.
Ad oggi sembra più un ballon d'essai che un piano concreto, grazie alle resistenze iniziali al Senato. Ora si aspettano le prossime mosse di Trump per capire se adotterà un atteggiamento più pragmatico piuttosto che tentare di imporre le sue scelte a ogni costo.
Ad oggi sembra più un ballon d'essai che un piano concreto, grazie alle resistenze iniziali al Senato. Ora si aspettano le prossime mosse di Trump per capire se adotterà un atteggiamento più pragmatico piuttosto che tentare di imporre le sue scelte a ogni costo.
Nel frattempo cresce la consapevolezza che la vittoria del candidato repubblicano non è stata propriamente schiacciante. Alla fine il margine nel voto popolare sarà di circa un punto e mezzo, ed è possibile che i democratici guadagneranno addirittura un seggio alla Camera, una volta conclusi i conteggi ancora incerti. Si tratta di uno dei margini di vittoria più stretti nella storia americana. Rimane l'importanza di aver vinto il voto popolare, che mostra il fallimento dei democratici guidati da Kamala Harris, ma la crescita del sostegno di Trump rispetto a quattro anni fa è di appena 3 milioni di voti, meno dell'1% della popolazione americana – troppo poco per convincere i democratici che ci sia stato uno spostamento fondamentale dell'elettorato verso i repubblicani. Se l'amministrazione entrante pensa di non dover cercare spazi di dialogo e compromesso con altri elementi istituzionali, potrebbero nascere presto degli scontri politici e istituzionali aspri, un primo banco di prova importante per l'agenda MAGA di Trump.
di Andrew Spannaus