La scelta di Marco Rubio per Segretario di Stato mette a rischio l'abbandono della politica estera aggressiva da parte di Donald Trump

I neoconservatori sono ancora presenti nelle istituzioni, e sarà una battaglia dura su come affrontare Russia, Cina e Iran

Donald Trump procede rapidamente nell’annunciare i nomi della sua nuova amministrazione presidenziale. Ci sono nomi sorprendenti e provocatori, come Matt Gaetz alla Giustizia e Tulsi Gabbard all’Intelligence, e poi c'è un nome più convenzionale: Marco Rubio, destinato al ruolo di Segretario di Stato.

Rubio è senatore dal 2010, quando, a soli 39 anni, fu eletto in rappresentanza della Florida durante l’ondata della cosiddetta "Tea Party". Questo movimento, nato subito dopo la crisi finanziaria del 2008-2009 in contrapposizione alla presidenza di Barack Obama, chiedeva un taglio alle tasse e alla spesa pubblica. I suoi sostenitori reagivano agli interventi dello Stato successivi al crollo economico, come il salvataggio delle banche, promuovendo posizioni conservatrici e libertarie. Fu un successo per i grandi donatori finanziari repubblicani, che riuscirono a far adottare posizioni più convenzionali a un movimento dal basso nato in modo organico.

Negli anni, le posizioni di Marco Rubio si sono evolute, in particolare sull'economia. Di recente, si è allontanato dalle istanze liberiste promuovendo un gruppo che sostiene il ritorno al "Sistema americano" di economia: una nuova politica industriale volta a ricostruire la manifattura statunitense e ad aiutare la classe lavoratrice. In questo senso, Rubio rappresenta una delle voci più innovative del partito repubblicano, impegnato a rompere con le politiche della globalizzazione, una direzione già imboccata negli ultimi anni da Donald Trump e, in misura ancora maggiore, da Joe Biden.

Tuttavia, Rubio è stato scelto per guidare la politica estera degli Stati Uniti, non quella economica. E su questo fronte le sue posizioni sono decisamente più tradizionali. Ha sempre mantenuto un approccio duro e aggressivo nei confronti delle altre grandi potenze mondiali, in contrasto con la promessa di Trump di abbandonare le strategie interventiste per privilegiare la diplomazia.

È vero che Rubio si è allineato con il Tycoon sull'Ucraina – almeno pubblicamente – e ha votato contro l'ultimo pacchetto di aiuti. Ha riconosciuto la necessità di ridurre la spesa, ritenendo insostenibile impiegare ulteriori risorse, e certamente non truppe, in un conflitto che ha raggiunto una situazione di stallo. Rubio sostiene l'importanza di una soluzione negoziata per evitare di "mandare il Paese indietro di 100 anni".

È una posizione realista, che dovrebbe contribuire al prossimo congelamento del conflitto. Tuttavia, appare quasi un'anomalia quando si considerano le altre dichiarazioni di Rubio. Negli ultimi tempi, è stato durissimo nei confronti della Cina, attaccando ripetutamente il Partito Comunista Cinese, considerato il più grande pericolo internazionale. Nel Medio Oriente, inoltre, Rubio offre un sostegno incondizionato a Benjamin Netanyahu, arrivando a incoraggiarlo a "fare un favore all'umanità" eliminando organizzazioni come Hezbollah.

In sostanza, le posizioni di Rubio non si discostano molto da quelle dei neoconservatori, il gruppo di repubblicani delle precedenti amministrazioni che avevano scelto una serie di avversari internazionali da combattere, giustificando queste azioni con la difesa della democrazia occidentale. Questa strategia ha portato a delle guerre catastrofiche in Medio Oriente e a un aumento delle tensioni con le altre grandi potenze.

Gli istinti di Donald Trump sono generalmente orientati verso la diplomazia, ma anche lui adotta posizioni rigide in alcuni casi. Temo che Marco Rubio possa spingere il nuovo presidente verso una direzione sbagliata, rischiando di compromettere l'opportunità di inaugurare una nuova era di diplomazia e dialogo internazionale.

di Andrew Spannaus