La politica USA contro il controllo estero dell'acciaio, il nazionalismo economico prevale nella campagna elettorale
Il presidente Biden si prepara a bloccare l'acquisto della U.S. Steel da parte della Nippon. Harris e Trump d'accordo
La società è una di quelle storiche, con un ruolo di primo piano nella produzione dell'acciaio negli Stati Uniti da oltre cent'anni. Si tratta della U.S. Steel, con sede a Pittsburgh, in Pennsylvania, stato chiave – tra l'altro – per le elezioni presidenziali americane. E quindi la possibile acquisizione da parte di una società straniera è diventata subito fonte di polemica.
Non si tratta della Cina, però, grande avversario economico e geopolitico di questi tempi. L'acquirente sarebbe invece la Nippon Steel del Giappone, paese amico che dovrebbe far parte dell'alleanza internazionale pro-USA nella nuova competizione globale. La Nippon ha offerto 14,9 miliardi di dollari, un'offerta ben più alta di quella precedente fatta da una società americana, la Cleveland-Cliffs.
La campagna elettorale ha sparigliato le carte. Quella che sembrava un'operazione ragionevole, che avrebbe permesso alla U.S. Steel di fronteggiare la concorrenza internazionale e realizzare nuovi importanti investimenti, è diventata improvvisamente un grave rischio per il Paese. L'amministrazione Biden ha fatto capire che intende bloccare l'operazione utilizzando i poteri destinati a contrastare le minacce alla sicurezza nazionale, un concetto che, negli ultimi anni, è stato giustamente esteso per includere elementi essenziali della produzione industriale interna.
Trump si è subito dichiarato contrario alla cessione e ribadisce la sua opposizione nei comizi, con l'obiettivo di mantenere il sostegno della classe lavoratrice. Kamala Harris, dopo essere subentrata a Joe Biden, non ha potuto fare altro che adottare la stessa linea, sostenendo che la proprietà e le operazioni della U.S. Steel devono rimanere americane.
Gli economisti, così come molti consiglieri degli stessi candidati, sono sconcertati. Per loro, questo atteggiamento appare superficiale e populista, ignorando la realtà pratica dell'operazione potenziale. Il Giappone è un Paese amico, politicamente affidabile, e promette ingenti investimenti che potrebbero ridare nuova linfa alla società a livello internazionale.
Poi ci sono i potenziali guadagni per gli azionisti. Se si tornasse all'offerta della Cleveland-Cliffs, il prezzo di acquisto potrebbe essere inferiore fino al 45%. Il think-tank conservatore Heritage Foundation ha scritto che "Una perdita per gli azionisti della U.S. Steel è una perdita per tutti noi."
I lavoratori, però, non sono d'accordo. I sindacati, insieme ad alcuni politici locali, sottolineano che l'offerta della Nippon porterà sicuramente guadagni significativi a chi detiene le azioni, ma la società giapponese segue la stessa linea dell'attuale management, escludendo i lavoratori dalle discussioni sul futuro dell'azienda. Infatti, il CEO della U.S. Steel minaccia di spostare le operazioni negli stati del Sud, dove i sindacati non sono presenti, se il suo piano non verrà approvato. Accusa le associazioni dei lavoratori di essere responsabili della debole performance dell'azienda, ma un confronto con altre società del settore smentisce questa tesi.
A guardare bene, quindi, l'opposizione alla cessione della U.S. Steel ai giapponesi trova motivazioni che vanno oltre il semplice nazionalismo: i lavoratori vogliono essere sicuri di non essere trattati come semplici pedine nei giochi della grande finanza. Anche questo – almeno secondo quanto dichiarato dall'Amministrazione Biden negli ultimi anni – dovrebbe rientrare nella sicurezza nazionale.
di Andrew Spannaus