Corridoio Filadelfia, l'Egitto non può perdere quel passaggio "d'oro" che frutta 300 milioni al Sinai

La permanenza dell’Idf sul confine sud della Striscia, imposta da Netanyahu, è l’ostacolo al cessate il fuoco. Hamas e il Cairo si oppongono, perché il contrabbando nei tunnel è un business per tutti

Una lingua di sabbia lunga quattordici chilometri, larga un centinaio di metri e con un nome privo di senso. Philadelphi. Che non significa niente: non è greco, non è riferito alla città americana Filadelfia, è solo il nome in codice inventato dal computer dell’esercito israeliano. Tuttavia, lungo, sotto e attraverso questo corridoio strategico tra l’Egitto e la Striscia di Gaza prospera un’economia nera da un miliardo di dollari l’anno che, oggi, è il principale ostacolo alla pace.

Tre giorni fa Netanyahu davanti a una cartina geografica ha fatto scorrere una bacchetta lungo il lato corto meridionale della Striscia e ha spiegato a favore di telecamere che l’esercito deve rimanere lì «a tempo indeterminato», nonostante il ritiro completo delle truppe sia la condizione posta da Hamas per il cessate il fuoco e la riconsegna dei 101 ostaggi. «Le armi con cui i terroristi hanno ucciso la nostra gente il 7 Ottobre, i materiali, i viveri, il carburante e il denaro sono passati e continuano a passare dal confine con l’Egitto», ha dichiarato il premier, facendo infuriare le autorità del Cairo. 

Il corridoio della discordia

Il motivo dell’intransigenza di Netanyahu sul Philadelphi è una di quelle diatribe che alimenta una discussione lunga vent’anni, da quando nel 2005 Sharon ritirò unilateralmente gli insediamenti ebraici da Gaza e la Striscia finì, con il colpo di mano del 2007, sotto il pieno e violento dominio di Hamas. Per i palestinesi e anche per una parte dell’opinione pubblica israeliana, è la prova provata che Netanyahu non vuole davvero il cessate il fuoco ma preferisce allungare il conflitto per garantirsi la sopravvivenza politica dopo la catastrofica debacle del 7 Ottobre.

Il regime di al-Sisi ribatte dimostrando di aver investito in sicurezza per l’area della frontiera nord 210 milioni di dollari nel biennio 2023-2024. E però, è indubbio che la penisola del Sinai rimane il ventre molle e poroso dell’Egitto, dove il contrabbando per il valico di Rafah e attraverso le gallerie scavate sotto il Corridoio (l’Idf solo negli ultimi due mesi ne ha trovate e smantellate una cinquantina che conducono oltre il confine egiziano, alcune alte tre metri) soddisfa gli appetiti di tanti ed è un affare per tutti.

Per Hamas, che riesce ad aggirare l’embargo di Israele, e per le bande del deserto del Sinai, gruppi beduini, piccoli gangster e contrabbandieri, che dai traffici nascosti si stima incassino non meno di 300 milioni di dollari all’anno.

Il prezzo del Sinai

È il prezzo taciuto e tollerato con cui al Sisi tiene buono il Sinai. Ed è il motivo per cui a Doha i mediatori egiziani sul punto propendono per la linea Hamas, ossia via tutti i soldati israeliani dal Philadelphi al più presto. «Negli ultimi anni si è creato un sistema di intese tra egiziani ed Hamas», è l’opinione del professor Ofir Winter del Dipartimento di studi arabi e israeliani all’università di Tel Aviv. «Il Cairo lo sta sfruttando a proprio vantaggio, perché il controllo del transito delle merci e delle persone nella Striscia è un business economico e una leva di potere politico».

Al momento la trattativa a Doha si è persa lì, nel Corridoio della discordia e nei suoi lucrosi meandri sotterranei. Gli Stati Uniti stanno proponendo un’alternativa-compromesso per la seconda fase dell’accordo, dunque dopo la tregua di sei settimane e il rilascio del primo gruppo di rapiti israeliani e detenuti palestinesi, che preveda sì la permanenza dei militari nel Philadelphi ma solo in cinque posti di sorveglianza e solo fino a quando non sarà garantita la messa in sicurezza di tutto il confine corto della Striscia e la fine dei traffici. È una soluzione che vuole essere accettabile per tutti gli attori in gioco che, però, come detto, a questo giro non sono solo Israele e Hamas. Si è inserito, silenziosamente, l’Egitto.

Di Fabio Tonacci.

Fonte: la Repubblica