Dietro l'attentato a Trump, occorre considerare il clima politico, ma anche il contesto strategico
Il Tycoon ha svolto un ruolo importante nell'alzare i toni, ma adesso è diventato la vittima, mettendo in difficoltà Biden e i democratici
Chi vorrebbe assassinare Donald Trump? La prima risposta, più ovvia, è Thomas Matthew Crooks, il ventenne freddato dai cecchini subito dopo aver sparato a Donald Trump durante il comizio a Butler, in Pennsylvania, la sera del 13 luglio. Non si sa molto di Crooks, tranne alcuni dettagli sulla sua vita da studente e il lavoro che ha svolto nella cucina di una residenza per anziani. Era registrato come elettore repubblicano, ma aveva fatto un piccolo contributo a un gruppo politico di sinistra. Per l'FBI non è ancora possibile formulare un'ipotesi attendibile sulle motivazioni dietro al suo gesto estremo. Date le falle nella sicurezza, che hanno permesso a Crooks di sparare da un tetto a poco più di 100 metri dal palco, è inevitabile un ampio dibattito su una possibile complicità istituzionale nell'attentato – il "complottismo", come viene definito sui media principali, giocando d'anticipo per screditare ogni ipotesi diversa dal lupo solitario che dovesse emergere.
Per valutare la situazione, bisogna partire dal piano terra e dare il giusto peso al clima politico negli Stati Uniti di questi anni. È stato lo stesso Donald Trump ad alzare i toni, utilizzando un linguaggio aggressivo che ha contribuito non poco alla polarizzazione. I democratici e le istituzioni dell'establishment sono stati ugualmente duri, seppur senza il linguaggio incendiario che a volte proveniva dal Tycoon. Trump è stato il bersaglio di accuse pesanti fin dall'inizio, e non solo per le sue pecche personali: grazie agli scandali del Russiagate – smentiti dai fatti nel corso del tempo – è stato definito come un traditore della patria, amico di Putin e di tanti altri dittatori, in contrapposizione ai valori americani. Più di recente, è diventato la minaccia più grande alla continuazione della democrazia, dopo l'assalto al Campidoglio del 6 gennaio 2021 e il rifiuto di farsi da parte nonostante i numerosi processi nei suoi confronti.
Le critiche sono in parte legittime, in quanto l'ex presidente ha in effetti messo se stesso davanti alla Costituzione, generando una conflittualità inedita nel paese. Tuttavia, è indubbio che la retorica forte da parte dei democratici ha contribuito all'astio nei confronti di Trump. È comune anche per Joe Biden citare le parole del Tycoon fuori contesto, presentandone l'immagine peggiore proprio per spaventare gli americani e così convincerli a non permettergli di tornare alla Casa Bianca. Da un certo punto di vista fa parte del gioco politico, ma ora il giovane Crooks ha rovesciato il tavolo: Trump è vivo per miracolo, e i democratici hanno capito che devono abbassare i toni.
C'è un altro livello del discorso, però, quello istituzionale e strategico. Per gli apparati dello Stato americano, Donald Trump è visto in effetti come una minaccia da contrastare, un nemico dell'ordine liberale e democratico. Data la storia del paese, in cui altri presidenti e personaggi importanti sono stati assassinati con la connivenza di gruppi più o meno deviati nelle istituzioni, non si può respingere subito l'ipotesi del "complotto". Per ora non c'è alcuna prova di un coinvolgimento di questo tipo, e i tentativi di fare rientrare i fatti conosciuti in una teoria preconcetta non sono utili; alimentano solo le polemiche di basso livello.
Occorre, invece, pensare in termini strategici e chiedersi se davvero qualcuno è arrivato a facilitare un attentato a Donald Trump pur di fermare quello che rappresenta per le istituzioni di governo americane e occidentali più in generale. Potrebbero passare anni o anche decenni senza avere una risposta definitiva a questa domanda. Intanto si può lavorare su due fronti: abbassare i toni a livello istituzionale e ragionare sulle differenze politiche sostanziali – nel bene e nel male – portate da questo personaggio decisamente scomodo nella storia americana.
di Andrew Spannaus