Nuove interruzioni al commercio mondiale, l’inefficienza della globalizzazione torna in primo piano

Un’economia basata su filiere lunghe e frammentate non è in grado di reggere gli shock temporanei, dai conflitti militari alle rivendicazioni dei lavoratori

"Sta succedendo di nuovo". Questo è il titolo di un articolo recente del New York Times che spiega come una serie di eventi sta provocando ritardi e forti aumenti dei costi nella spedizione dei container da una parte del mondo all'altra. Ci sono gli attacchi degli Houthi nel Mar Rosso, che costringono le navi a circumnavigare l'Africa, la siccità in Panama che ha ridotto i livelli dell'acqua nel suo canale, e gli scioperi già in atto e minacciati in Germania, Stati Uniti e Canada.

Il risultato è che il costo di spedire un container dalla Cina all'Europa, per esempio, è aumentato di oltre 5 volte negli ultimi mesi, arrivando a 7.000 dollari. Si è ancora lontani dal picco di 15.000 dollari raggiunto alla fine del 2021, quando la pandemia aveva fatto interrompere produzione e trasporti in più parti del mondo, ma gli effetti si fanno già sentire in termini di maggiori costi e preoccupazioni dei venditori per una mancanza di prodotti durante la stagione delle feste alla fine dell'anno.

Si era percepita subito la paura di una nuova crisi delle "catene di valore globali" quando i ribelli Houthi nello Yemen avevano cominciato ad attaccare navi di paesi che sostengono Israele nel Mar Rosso e nel Golfo di Aden, dopo lo scoppio della guerra in Medio Oriente. Gli Stati Uniti si erano mossi rapidamente, chiedendo l'aiuto di vari altri paesi, compresa l'Italia, per difendere le navi e colpire le basi di partenza dei missili nello Yemen. Era evidente che si voleva fermare sulla nascita le pressioni che avevano portato all'alta inflazione innescata in tutto il mondo occidentale durante le interruzioni dovute al Covid. Ma l'intervento non era stato sufficiente a raggiungere lo scopo. Ormai il traffico di container attraverso il Canale di Suez è sceso di quasi il 90 per cento, aumentando in modo significativo il costo per arrivare in Europa.

In più, ci sono numerose agitazioni dei lavoratori portuali in vari paesi, a partire dalla Germania, dove hanno già fermato l'attività in alcuni casi, e poi gli Stati Uniti, dove c'è la minaccia di sciopero sia sulla costa Ovest sia sulla costa Sud del paese. In Canada, invece, il personale ferroviario minaccia di fermare il lavoro, tutti alla ricerca di migliori condizioni di lavoro.

L'organizzazione della produzione mondiale era già stata messa in discussione negli ultimi anni, provocando un movimento per riportare alcuni impianti in Occidente, o almeno in paesi più vicini e amichevoli. Ci sono stati tre fattori fondamentali: la reazione politica, definita "populista", alla perdita di milioni di posti di lavoro, ad esempio, grazie alla delocalizzazione in Cina; le vulnerabilità rese evidenti dalla pandemia, quando i paesi occidentali non erano in grado di procurarsi prodotti essenziali a causa della mancanza della capacità manifatturiera; e la sfida geopolitica con la Cina, che ha costretto gli Stati Uniti e l'Europa a correre ai ripari per non perdere la leadership in settori fondamentali come le tecnologie digitali e la difesa.

I cambiamenti, però, sono stati limitati. Finora si è pensato più in termini di alleanze politiche, favorendo paesi amici per contrastare il crescente potere cinese, e in base ai settori, volendo rafforzare la propria posizione soprattutto in alcune aree chiave per l'economia dei prossimi decenni. Tutto bene, e pure necessario, ma la crisi attuale dimostra ancora una volta che non si tratta solo di competizione in alcuni campi specifici: l'idea stessa di produrre in Asia per vendere in Occidente, ad esempio, presenta dei rischi intrinseci. Il sogno di un mondo senza confini e senza conflitti si rivela un'illusione, utile più che altro a una ristretta classe di proprietari finanziari che mirava ad approfittare della globalizzazione, ma a scapito del benessere dei cittadini e della difesa di una società basata sui diritti e i valori.

L'alternativa non è quella di interrompere le relazioni economiche mondiali, rifugiandosi in presunti nazionalismi pericolosi. Piuttosto, occorre produrre dove si intende vendere, principalmente, pensando a come contribuire a garantire un tenore di vita decente per i propri lavoratori. In teoria, un modello di questo tipo avrà dei costi aggiuntivi rispetto a quello attuale, che punta a sfruttare le disuguaglianze in modo più efficiente possibile. Tuttavia, si tratta di un'efficienza finanziaria superficiale, che ignora le necessità non solo della sicurezza delle nazioni, ma anche del progresso e dello sviluppo sostenibile dei popoli.

di Andrew Spannaus