A cosa serve l'Europa? Con le elezioni si pone di nuovo la domanda sull’efficacia dell’Ue

Le élite europee spingono sempre per una maggiore unione, ma bisogna fare i conti anche con l’opinione degli elettori

Serve più Europa. Quante volte abbiamo sentito questa affermazione, ormai presa come un articolo di fede nel mondo dei media e degli analisti politici? Per ogni problema, ogni debolezza, sembra che la soluzione sia stringersi a livello sovranazionale per contare di più come continente. Certo, tra la superpotenza americana e i rivali geopolitici Cina e Russia, si teme che i singoli paesi europei non possano competere. Ma è proprio così? O, meglio, bisogna chiedersi: quali sono le caratteristiche dell’Europa che permetterebbero all’Unione di perseguire meglio gli interessi dei suoi cittadini, in caso di maggiore coesione politica?

La risposta è tutt’altro che chiara. Troppo spesso sentiamo argomenti solo di forma, ma senza affrontare la sostanza: essere più grandi permette di pesare di più. La presunzione è che pesare di più significhi che chi governa l’Europa farà gli interessi dei suoi cittadini. In teoria può essere così, in quanto avere maggior potere negoziale e politico verso il resto del mondo permette di non dover stare alle condizioni poste dagli altri.

C’è un problema enorme con questo ragionamento, però: finora l’Europa, in particolare dalla nascita della sua forma attuale nel 1993, cioè quando si è trasformata da Comunità in Unione, ha seguito politiche nel segno della globalizzazione, trattati scritti con principi neoliberali che si sono dimostrati decisamente inadatti ad affrontare i problemi del mondo di oggi.

Sul fronte economico, gli esempi sono numerosi: dalle regole del Patto di Stabilità che impongono la riduzione della spesa pubblica per chi ha debito pregresso – obiettivo ideologico, non necessario in termini reali, come ho spiegato in altri articoli – alla proibizione dell’intervento pubblico e della politica industriale.

Qualche cambiamento si comincia a vedere, in quanto pure gli alti prelati del sistema monetarista come Mario Draghi e Francesco Giavazzi ora riconoscono che qualcosa non funziona, e che l’Europa deve utilizzare gli stessi strumenti delle altre grandi potenze per ridare forza alle attività produttive ed affrontare il proprio declino.

La necessità di una svolta è evidente, ma finora i segnali di una comprensione piena della situazione sono limitati. In questa situazione, non deve sorprendere se alcuni partiti politici e molti cittadini in tutta Europa non si fidano delle istituzioni sovranazionali, non in grado di esprimere politiche efficaci di fronte alle molteplici crisi in atto, anche in ambito strategico.

E hanno tutto il diritto di dirlo. Sentire affermare che chi critica l’Ue rappresenta una minaccia per la democrazia è non solo superficiale, ma anche contraddittorio. Se i cittadini non sono convinti che l’Unione faccia i loro interessi, allora sono i rappresentanti dell’Ue che li devono convincere del contrario, non cercare di zittire chi non segue l’obiettivo prefissato dalle élite.

di Andrew Spannaus