Respinta la richiesta di vincolare gli aiuti americani ad Israele, continuano gli assegni in bianco

Biden utilizza i toni forti, ma non prende passi formali nei confronti di Netayanhu, esponendosi a forti rischi politici interni

Il nuovo pacchetto di aiuti militari per l’Ucraina e Israele, varato dal Congresso americano in questi giorni, è stato firmato dal presidente Joe Biden. Gran parte dell'analisi sulla stampa si focalizza sulla questione ucraina, poiché il presidente della Camera, Mike Johnson, ha dovuto aggirare l'opposizione interna al partito repubblicano, facendo causa comune con i democratici per raggiungere l'obiettivo di sostenere Kiev di fronte ai recenti avanzamenti russi.

Ci sono altri elementi importanti del pacchetto, che raggiunge il totale di 95 miliardi di dollari: principalmente 26 miliardi di dollari per Israele, oltre a 8 miliardi per contrastare la Cina nella zona dell'Indo-pacifico, una serie di sanzioni contro l'Iran e anche il primo passo verso la confisca dei fondi russi congelati nelle banche statunitensi.

Se gli aiuti per l’Ucraina sono controversi tra i repubblicani, è la questione di Israele che divide i democratici. Negli ultimi mesi, numerosi deputati di sinistra hanno scritto lettere e fatto appelli pubblici alla Casa Bianca chiedendo di porre condizioni sugli aiuti a Tel Aviv. Il loro obiettivo è stato bloccare i trasferimenti fino a quando le azioni di Israele non saranno in linea con il diritto internazionale, in particolare per quanto riguarda la morte dei civili e il blocco degli aiuti umanitari a Gaza.

All’inizio di aprile, il presidente Biden aveva dato indicazioni in questa direzione. Il riassunto di una telefonata con Benjamin Netanyahu pubblicato dalla Casa Bianca ha specificato che Biden “ha chiarito la necessità per Israele di annunciare e attuare una serie di misure specifiche, concrete e misurabili per affrontare i danni ai civili, le sofferenze umanitarie e la sicurezza degli operatori umanitari. Ha spiegato che la politica degli Stati Uniti nei confronti di Gaza sarà determinata dalla nostra valutazione dell'azione immediata di Israele su questi passaggi”.

Poteva sembrare il primo passo verso il condizionamento formale degli aiuti ad Israele. Ma così non è stato. Il nuovo pacchetto varato in questi giorni evita ogni vincolo, e in realtà dà al Dipartimento di Stato la possibilità di derogare agli obblighi di notifica del Congresso in merito ai contributi militari per paesi esteri.

Di fatto, il ramo legislativo ha votato per rinunciare ai propri poteri costituzionali. Non è certamente la prima volta: sono decenni che le amministrazioni presidenziali conducono azioni di ogni tipo contro il “terrorismo” senza una dichiarazione di guerra, sfruttando le autorizzazioni generiche varate dal Congresso dopo gli attentati dell’11 settembre 2001. Nel caso di Israele, la nuova legge permette al governo Netanyahu anche di comprare le armi sotto il valore di mercato, così come di utilizzare i fondi americani per acquistare armi dall’industria israeliana, piuttosto che dagli Stati Uniti.

Questo assegno in bianco ha spinto 37 democratici (su 213) a votare contro gli aiuti per Israele. Sapevano che non avrebbero bloccato il pacchetto, ma continuano a lavorare per influenzare la posizione della Casa Bianca. Joe Biden, invece, spera che gli sforzi diplomatici e le pressioni esercitate su Tel Aviv gli verranno riconosciuti, portando a una riduzione delle operazioni militari a Gaza e anche a una risposta limitata nell’ultimo scontro con l’Iran.

Tuttavia, con le proteste pubbliche che dilagano tra gli universitari e i cittadini arabo-americani, la tattica del presidente di evitare azioni formali nei confronti di Israele non sta funzionando. Biden ha già perso l’appoggio di molti progressisti e rischia pure di perdere le elezioni presidenziali del prossimo novembre se non si deciderà ad attuare una rottura pubblica con Benjamin Netanyahu. L’ultimo pacchetto di aiuti mostra che è ancora lontano dal farlo.

Di Andrew Spannaus