Scritti apocalittici: quando il mondo si rassegna all'ineluttabilità della guerra, diviene un imperativo morale lottare per la pace

"Se sarà necessario diventeremo ribelli, non per difendere noi stessi, ma per difendere la condizione umana dallo svilimento dell’ideologia di morte dei militaristi"

Effimeri scritti destinati a vivere un giorno soltanto. Chiacchiere con sconosciuti amici, in questo dialogo in assenza di interlocutore che è la scrittura. Gli articoli scritti per un quotidiano sono l’antitesi del romanzo. Il romanzo nasce per sfidare il tempo, donare al proprio autore la miracolosa dote di fare udire la propria voce anche dopo la morte. Da romanziere, soffro nella mia condizione di editorialista. Ma come si può dedicarsi al romanzo mentre s’intravede l’Apocalisse?

Criticato per la costante preoccupazione di contrastare la narrazione dominante. Deriso per la pretesa di conoscere una piccola parte della Verità. Bannato dai social, vittima di fact checking falsi e strumentali, trattato con superiorità da colleghi (avvocati e giornalisti) che diffondono senza vergogna la propaganda.

Nessuno se ne è accorto, ma in questi tre anni tutti i miei editoriali erano raccolti in due file: Scritti pandemici e Scritti bellici. Oggi – con questa riflessione – apro il terzo file: Scritti apocalittici.

Raccolta del tutto diversa dalle altre, lavoro di un giornalista per documentare i giorni che conducono l’umanità (l’homo sapiens) alla catastrofe. Parole scritte per sopravvivermi, destinate a sopravvissuti. Eppure, nell’immediato, dialogo con un interlocutore concreto, un vero amico: Marco Pozzi.

A lui (a te) mi rivolgo perché mai come sull’orlo dell’abisso cerchiamo una necessaria presenza. Come scrissi molti anni fa, mentre ero certo di morire: “Non credo in Dio, ho rifiutato la comunione tante volte, in rianimazione. Ma ora ho bisogno di qualcuno, ho disperatamente bisogno di non sentirmi così solo. Piango. Non ho pianto quasi mai nella mia vita, ma sto piangendo. L’ho scritto tante volte, morire è un attimo. Ma questa seppur breve agonia richiede il coraggio di morire da solo. Mentre muori, hai bisogno di qualcuno che ti tenga la mano, di una persona viva che ti accompagni o di una persona morta che venga a prenderti”.

Mi salvarono. Da allora vivo segnato dalla cognizione del dolore. Vivere con questa lucidità, pericolosamente vicino all’abisso della piena consapevolezza, è difficile. “Hopeless emptiness. Now you’ve said it. Plenty of people are onto the emptiness, but it takes real guts to see the hopelessness.” (Richard Yates).

Ora, oggi 5 aprile 2024, la morte incombe su tutti noi. I nostri governanti si sono convinti dell’ineluttabilità della guerra. Giorno dopo giorno, nonostante l’evidenza della follia del disegno, gli Stati Uniti (e tutti i governanti europei, ridotti a gregge belante) perseguono una strategia di morte per ritardare la nascita di un mondo multipolare. Sono forza predominante e non intendono cedere lo scettro del comando.

Ma mai come oggi risuona vero il monito di Ernst Jünger: “Una forza predominante, se pure riesce a modificare il corso della storia, non può creare diritto”.

Il diritto nasce soprattutto come tutela dell’uomo dall’abuso del sovrano. Nelle democrazie, la maggioranza compie abusi esattamente come nelle monarchie assolute e il fatto che (almeno in apparenza) ciò venga fatto con il consenso della maggioranza non può servire da giustificazione, non può costituire la base giuridica per la cancellazione di diritti umani che ciascuno in cuor suo sente come intoccabili, sacri. E mandare esseri umani a morire in una guerra per la supremazia geopolitica di una sola Nazione (la più oscena delle guerre secondo la classifica stilata da Bertrand Russel) è la cancellazione del diritto, non la sua difesa.

Spetta a tutti noi – ancora vigili e reattivi - il compito di tutelare l’uomo dall’abuso dell’Impero americano.

In noi sono vivi l’originaria volontà di resistenza, l’istintiva percezione di ciò che è giusto e ciò che è sbagliato e la naturale aspirazione alla libertà.

Negli altri, al contrario, prevalgono la cieca fiducia nelle doti taumaturgiche del sovrano (chi, Joe Biden?), la vocazione all’obbedienza e l’erronea sensazione che l’appartenenza al gregge garantisca una maggiore sicurezza.

“Il panico che oggi vediamo dilagare ovunque è già espressione di uno spirito intaccato, di un nichilismo passivo che stimola quello attivo. Niente di più semplice che intimorire un uomo già persuaso che tutto avrà fine nel momento in cui verrà meno la sua fugace presenza sulla terra. I nuovi padroni di schiavi lo sanno, e solo per questo danno tanta importanza alle teorie materialistiche. E’ invece importante sapere che ogni uomo è immortale, che in lui alberga una virtù eterna, terra inesplorata e tuttavia abitata che anche se lui stesso ne nega l’esistenza nessun potere temporale potrà mai strappargli”.

Alla base di tutto, vi è un radicale disprezzo per la condizione umana. Per questo, il primo punto che dovrebbe unire tutti noi dissidenti è il rispetto per ciò che siamo. E non ha nulla a che vedere con le nostre personali concezioni religiose. Il rispetto del miracolo della vita ci impone di non sacrificare la vita dei giovani in una guerra assurda.

E qui si vede tutta la nobiltà, tutta l’importanza del compito che ci attende: ridare voce alla coscienza, tenere accesa la fiamma nella notte più buia.

Il nemico è ovunque, forte, apparentemente invincibile, ma noi saremo vigili. Anche se siamo uno su mille, anche se “le persone sono talmente adagiate nell’alveo delle strutture collettive da non essere capaci di difendersi”, noi ci difenderemo.

Statene certi, ci difenderemo. E questa non è una minaccia, è un monito: noi non siamo animali da mandare al macello, noi non siamo parassiti che deturpano la bellezza del creato. Siamo uomini coraggiosi, se sarà necessario diventeremo ribelli, non per difendere noi stessi, ma per difendere la condizione umana dallo svilimento dell’ideologia di morte dei militaristi.

Quando l’ultimo di noi dovesse scomparire, scomparirebbe l’homo sapiens per lasciare il posto a un suo simulacro, totalmente in balia del sovrano. Per questo, come ci ha insegnato Ernst Jünger, siamo pronti a tutto.

Di Alfredo Tocchi, 5 aprile 2024