Nikki Haley dice che Trump non può vincere a novembre. Guardiamo quanto pesano le sue debolezze
Ci sono campanelli d'allarme per il Tycoon all'interno del partito repubblicano, ma può sperare nella debolezza altrettanto evidente di Joe Biden
Donald Trump ha vinto anche le primarie repubblicane nel South Carolina il 24 febbraio, distaccando Nikki Haley di circa 20 punti nel risultato finale. Essendo questo lo stato in cui Haley è cresciuta e di cui è stata governatrice dal 2011 al 2017, la sconfitta sembra chiudere ogni speranza di una rimonta nella corsa per la nomina presidenziale del partito per il 2024. Haley promette di andare avanti nelle prossime settimane, per evitare uno scenario "sovietico" in cui non c'è scelta tra più candidati, ma la fine si avvicina. Tra l'altro, cominciano a defilarsi i suoi grandi sostenitori finanziari come l'organizzazione Americans for Prosperity dei miliardari fratelli Koch, che ora si concentreranno sulla sfida per il controllo del Congresso.
La situazione non è esattamente rosea per Donald Trump. A questo punto ha in tasca la vittoria nel partito, ma quando Haley afferma che lui non sarà in grado di battere Joe Biden a novembre, non si tratta solo di retorica politica: tra il dissenso all'interno al partito, le difficoltà con gli elettori indipendenti e i guai giudiziari, la strada per Trump rimane in salita.
I sondaggi, comunque, indicano che l'ex presidente si trova in una buona posizione, a pari o leggermente avanti rispetto a Joe Biden. E l'attuale inquilino della Casa Bianca ha non pochi problemi di suo, a partire dalle preoccupazioni per la sua età e acuità mentale, ma anche per il senso diffuso di crisi dovuto all'emergenza immigrazione, gli effetti dell'inflazione e l'opposizione al suo sostegno per Israele.
Per vincere a novembre, tuttavia, un candidato deve garantirsi il sostegno di ben oltre il 90% degli elettori che si identificano con il suo partito. Nel 2020, sia Trump che Biden avevano ottenuto circa il 94% degli elettori del proprio partito; tra gli indipendenti, però, Biden aveva prevalso nettamente, portando ad una vittoria finale di oltre 7 milioni di voti. Sebbene il margine tra i grandi elettori ("Electoral College") sia stato molto più stretto, non è stato sufficiente per compensare questo grande divario.
Da un certo punto di vista, l'ammonimento di Haley sembra quasi una profezia che si autoavvera: lei gli porta via voti, e poi dichiara che lui non riceve abbastanza sostegno tra i repubblicani. Ma ormai tutti conoscono Donald Trump, i suoi modi e le azioni che hanno portato ai fatti di Capitol Hill. I giudizi su di lui difficilmente cambieranno di molto. In tutti gli stati che hanno già votato finora, una fetta significativa dei repubblicani – intorno al 20 per cento - dichiara che non voterà per Trump in ogni caso. La percentuale sale ad oltre il 30% nel caso di una sua condanna in uno dei processi penali previsti nei prossimi mesi.
Si tratta di opinioni espresse nei sondaggi parecchi mesi prima del voto; è probabile che molti repubblicani "ritornino a casa" di fronte alla prospettiva di un Biden bis. Tuttavia, se anche solo la metà di questi elettori si rifiutasse di votare Trump, sarebbe decisiva. A questo punto le speranze per il tycoon sono due: rimandare il più possibile i processi attraverso ricorsi preventivi e mosse procedurali, sperando nell'aiuto della Corte Suprema; e contare sul fatto che anche il suo avversario ha problemi enormi: gli americani lo vedono come molto debole fisicamente, e deve fare i conti con una ribellione interna al partito riguardo al tema Gaza.
In ultima analisi, Trump e Biden hanno bisogno uno dell'altro: se arriveranno entrambi alla votazione di novembre, ognuno dovrà sperare che l'avversario sia percepito come ancora peggiore di sé.
Di Andrew Spannaus