Il peccato originale della fondazione di Israele e il filo diretto che collega Begin a Netanyahu

Nella settimana del Giorno della memoria è bene ricordare anche gli effetti geopolitici di quella tragedia che determinarono la nascita dello stato di Israele

Nella settimana in cui si celebra “Il giorno della memoria”, il giorno in cui le truppe dell’Armata Rossa sovietica liberarono il campo dì concentramento di Auschwitz, e tutti i media, dai giornali alle radio, dalle tv alle piattaforme digitali sono impegnati a proporre articoli, film e serie sulla Shoah, è bene ricordare non solo la vergogna delle deportazioni e dei campi dì concentramento ma anche gli effetti geopolitici di quella tragedia che determinarono la nascita dello stato di Israele. Il mix esplosivo di senso di colpa dell’Occidente per i crimini dei regimi nazifascisti e l’uso strumentale e spregiudicato che è stato fatto della tragedia della Shoah al fine di giustificare e rendere imponibile un sistema fondato sulla violenza e sulla sopraffazione per imporre di fatto un regime di apartheid.

Il peccato originale della fondazione di Israele e il filo diretto che collega Begin a Netanyahu

Come in una tragedia greca lo stato di Israele è nato infatti sotto i peggiori auspici. I gravissimi rischi erano evidenti già fin dagli esordi della nuova entità statale mediorientale. Poco più di sei mesi dopo la sua fondazione, il 2 dicembre 1948, ventotto intellettuali ebrei, tra i quali spiccano i nomi di Albert Einstein e Hannah Arendt, scrissero una lettera agli editori del New York Times sulla deriva nazifascista di Israele. La lettera venne scritta in occasione della visita negli USA di Menachem Begin, capo del Partito della Libertà. Nella lettera si stigmatizza in modo chiaro la pericolosa deriva intrapresa dal neonato stato di Israele: “Fra i fenomeni più preoccupanti dei nostri tempi emerge quello relativo alla fondazione, nel nuovo stato di Israele, del Partito della Libertà (Tnuat Haherut), un partito politico che nell’organizzazione, nei metodi, nella filosofia politica e nell’azione sociale appare strettamente affine ai partiti nazista e fascista. È stato fondato fuori dall’assemblea e come evoluzione del precedente Irgun Zvai Leumi, un’organizzazione terroristica, sciovinista, di destra.”

Il peccato originale della fondazione dello stato di Israele si è esteso e propagato come una malattia incurabile fino ai nostri giorni. C’è infatti un filo diretto che lega Begin, per altro inspiegabilmente insignito del premio Nobel per la Pace nel 1978, e Netanyahu. Begin fu di fatto il progenitore del Likud, il partito oggi guidato saldamente da Netanyahu.

L’approccio messo in campo dal governo Netanyahu, già evidente nella politica di sostegno all’espansione degli insediamenti dei coloni israeliani in Cisgiordania, si è manifestato in modo esplicito con i bombardamenti e le violenze inaudite perpetrate a Gaza.

L’esercito israeliano ha riesumato di fatto il concetto di Lebensraum (Spazio vitale) con cui i nazisti agivano per spopolare i ghetti ebraici: distruggere le infrastrutture, i luoghi di culto, gli ospedali, le reti e i servizi igienico-sanitari, compreso l’accesso all’acqua. Bloccare i rifornimenti, soprattutto di cibo, medicinali e carburante. Esercitare la violenza indiscriminata con cui uccidere, ferire e mutilare centinaia di persone al giorno. Lasciare che la fame – secondo le stime delle Nazioni Unite più di mezzo milione di persone sta già morendo di fame – e le epidemie di malattie infettive, insieme alle vessazioni e ai soprusi quotidiani e allo sfollamento dei palestinesi dalle loro case, trasformino Gaza in una terra abitabile solo da zombie. Presto si raggiungerà un punto in cui la morte sarà così presente che la deportazione, per coloro che vorranno cercare di sopravvivere, sarà l’unica opzione praticabile.

Danny Danon, ex ambasciatore israeliano presso le Nazioni Unite e stretto collaboratore di Netanyahu, ha dichiarato alla radio israeliana Kan Bet: “Dobbiamo rendere più facile per gli abitanti di Gaza partire verso altri paesi. Sto parlando della migrazione volontaria dei palestinesi che vogliono andarsene”.  “Il problema per ora sono i paesi che sono disposti ad assorbirli, e stiamo lavorando su questo”, ha detto Netanyahu ai membri del Likud eletti alla Knesset.
Il quotidiano israeliano Local Call ha pubblicato un documento ufficiale in cui il governo israeliano prevede di mettere in atto la deportazione dell’intera popolazione di Gaza, che corrisponde a 2,3 milioni di abitanti, nella penisola del Sinai, in Egitto.

Il “progetto” del governo non è il solo a prefigurare uno scenario simile. Infatti il think tank per la sicurezza israeliano Misgav, insieme all’Istituto per la Sicurezza Nazionale e per la Strategia Sionista, ha pubblicato il 17 ottobre un documento redatto dal ricercatore Amir Weitmann, intitolato “Un piano di reinsediamento e riabilitazione definitiva in Egitto dell’intera popolazione di Gaza: aspetti economici”. Weitman è un attivista del Likud, il partito di Netanyahu ed è uno stretto collaboratore del ministro dell’Intelligence Gila Gamliel. Il rapporto di Weitmann prevede “di trasferire il maggior numero di abitanti di Gaza in altri paesi. Qualunque alternativa, compreso l’autogoverno dell’Autorità Palestinese, è un fallimento strategico. Perciò la popolazione di Gaza dev’essere deportata nel Deserto del Sinai e gli sfollati assorbiti in altri paesi”.

Il Misgav ha pubblicato il documento su X per poi rimuoverlo in fretta e furia in seguito alle numerose proteste.
Il testo del tweet originario è sconcertante e squarcia il velo sull’ipocrisia e sulle menzogne con cui si tenta maldestramente di celare i reali scopi del governo israeliano: “Attualmente c’è una rara e unica opportunità di evacuare l’intera Striscia di Gaza in coordinamento con il governo egiziano. Ci vuole un piano immediato, realistico e sostenibile per il reinsediamento e la riabilitazione umanitaria dell’intera popolazione araba della Striscia di Gaza che sia ben allineata con gli interessi economici e geopolitici di Israele, Egitto, USA e Arabia Saudita.”

Del resto il “progetto” era stato anticipato da Netanyahu il 22 settembre 2023, 15 giorni prima dell’attacco di Hamas, durante il suo discorso alla 78esima sessione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite a New York, in cui ha mostrato con grande compiacimento la mappa di una “nuova” regione mediorientale dove la Cisgiordania e la Striscia di Gaza erano cancellate per essere parte integrante di Israele. In quell’occasione Netanyahu ha potuto dare sfogo alla sua vera natura rendendosi protagonista della più alta e sfrontata espressione del senso di onnipotenza e di impunità. In 25 minuti di discorso il premier israeliano ha cancellato in modo beffardo 77 anni di pronunciamenti e sanzioni delle Nazioni Unite. Proprio nella sede dell’ONU.

Nonostante questo proprio alcuni tra i più alti funzionari delle Nazioni Unite si sono espressi chiaramente stigmatizzando pubblicamente l’operato di Israele e rompendo in tale modo il muro di omertà e connivenza eretto da politica e media occidentali.

Martin Griffiths, Sottosegretario Generale delle Nazioni Unite per gli Affari Umanitari e Coordinatore degli Aiuti d’Emergenza, ha presentato al Consiglio di Sicurezza una documentata relazione che fotografa nitidamente il dramma di Gaza ed evidenzia le gravissime responsabilità del governo israeliano. I media occidentali hanno accuratamente evitato di diffondere il suo intervento. “A Gaza sono state colpite 134 strutture della Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso dei rifugiati palestinesi e sono stati uccisi 148 membri del personale delle Nazioni Unite. Sono stati colpiti i centri di soccorso umanitario, nonostante che fossero identificati e notificati alle Forze israeliane. Mentre le operazioni di terra si spostano verso Sud, si sono intensificati i bombardamenti aerei nelle aree in cui i civili erano stati invitati a trasferirsi per la loro sicurezza. Sempre più persone vengono stipate in una porzione di territorio sempre più piccola, solo per trovare ancora più violenza e privazioni, ripari inadeguati e la quasi assenza dei servizi più basilari. Rafah, dove prima della crisi la popolazione era di 280.000 abitanti, oggi ospita più di un milione di sfollati. E ogni giorno ne arrivano altri.

I nostri sforzi per inviare convogli umanitari nel Nord si sono scontrati con dinieghi e l’imposizione di condizioni impossibili. Colleghi che sono riusciti a raggiungere il Nord descrivono scene di assoluto orrore: cadaveri abbandonati sulle strade, persone affamate che bloccano i camion in cerca di tutto ciò che possono trovare per sopravvivere. E anche se riescono a tornare a casa, non hanno più una casa in cui vivere. Cresce la pressione per lo spostamento in massa dei palestinesi nei Paesi vicini. Voglio sottolineare che a tutte le persone sfollate da Gaza deve essere permesso di tornare, come prevede il Diritto Internazionale. Siamo profondamente allarmati dalle recenti dichiarazioni dei ministri israeliani sui piani per incoraggiare il trasferimento in massa di civili palestinesi da Gaza verso paesi terzi, definito “trasferimento volontario”. Queste dichiarazioni sollevano gravi preoccupazioni riguardo al possibile trasferimento forzato in massa o alla deportazione della popolazione palestinese dalla Striscia di Gaza, cosa che è rigorosamente vietata dal Diritto Internazionale.” Ma Israele, da sempre, ha una concezione “alternativa” del Diritto internazionale. A cui dobbiamo opporci con tutte le nostre forze.