Attacco Hamas 7 ottobre 2023, o "femminicidio di massa": le comunità ebraiche italiane si buttano sul vittimismo vaginale
Le comunità ebraiche italiane furbescamente, al notare i primi scricchiolii del supporto nei loro confronti, giocano l’invincibile carta del vittimismo
Avete presente la non cultura del nuovo femminismo 2.0, quella che partendo dalle lesbo-negre americane ha conquistato il mondo delle più incapaci tra le decerebrate del globo, quel movimento che va a braccetto con il pensiero nazi ecologico della piccola Greta (o Gretina?), con la cancel culture che definisce Dante un omofobo, e con la liquidità di genere che vuole i nostri figli tutti bisex? Ecco, poniamoci una domanda: questa cloaca indefinibile può essere mai usata per una giusta causa? No, e i recenti avvenimenti ce lo confermano. La regista milanese Andrée Ruth Shammah, insieme a Silvia Grilli (giornalista di La5), Alessandra Kustermann (fondatrice del centro antiviolenza Violenza Sessuale e Domestica) e Anita Friedman (fondatrice di Jewish Family), ha avviato una raccolta di firme chiamata poeticamente “Non si può restare in silenzio”, per far dichiarare la data del 7 ottobre come “femminicidio di massa”.
A dire del nostro comitato degno del CERN, un atto dovuto di condanna contro le nefandezze perpetrate dai miliziani di Hamas sulle donne israeliane violentate, mutilate e uccise. É pacifico che di commenti su questa supercazzola ce ne sarebbero tantissimi da scrivere, ma vogliamo limitarci alla più elementare delle analisi, per certi versi Andreottiana perché va a pensar male. Tutta la storia degli stupri del 7 ottobre nasce dal New York Times. Più precisamente stiamo parlando della storia di una certa Gal Abdush, secondo le presunte testimoniane violentata e uccisa dai miliziani, una storia a cui si sono sommate altre testimonianze su testimonianze, nessuna supportata da un repertorio video o fotografico, ma che hanno creato una “nuova verità”.
Tutto questo fino al primo gennaio di pochi giorni fa quando, intervistato in televisione sul canale 13 di Israele, il cognato di Gal, ovvero Nissim Abdush, ha dichiarato serenamente che la donna non è mai stata violentata, ma uccisa con un colpo di mitra durante l’assalto, senza considerare il resto delle smentite che si sono susseguite, tutte univoche nel negare che ci siano mai stati stupri, violenze e mutilazioni, un po’ come la grande menzogna dei bambini decapitati, stesso film. Ciò premesso, preso atto di come si stanno evolvendo i racconti sui fatti, è ovvio che siamo di fronte a una delle ennesime e probabili “grandi balle” costruite a tavolino da Tel Aviv, c’è allora da chiedersi quale onestà intellettuale possa vantare un gruppo di attiviste nel momento in cui decidono di avallare un’iniziativa contro una violenza di genere probabilmente mai avvenuta.
La verità è un’altra, e va detta senza paura e senza timore. Come da copione, le comunità ebraiche italiane (solo le nostre, perché nel resto del mondo la vedono in modo diverso), al notare i primi scricchiolii del supporto nei loro confronti, furbescamente giocano l’invincibile carta del vittimismo, ma visto che la carneficina di Netanyahu a Gaza è uno tsunami di sangue che non si può più nascondere, si buttano sul versante vaginale che ha sempre un suo perché.
Di Aldo Luigi Mancusi.