Pedro Sanchez eletto premier di Spagna per la terza volta con 179 sì e 171 no, appoggio degli indipendentisti catalani in cambio dell'amnistia per la tentata secessione del 2017

L'appoggio degli indipendentisti, per quanto necessario all'ottenimento della maggioranza, rischia nei prossimi mesi di mettere in crisi il governo Sanchez, poggiato su pochi voti di scarto dalle opposizioni ed impossibilitato a perdere anche un solo alleato

Pedro Sanchez è stato eletto premier di Spagna per la terza volta, grazie a 179 voti favorevoli e 171 contrari. Una maggioranza molto risicata, quella della coalizione guidata dal suo partito socialista (Psoe) in parlamento, ma che regala al dominus della sinistra iberica un ulteriore mandato, prima delle elezioni in realtà insperato visto che il precedente esecutivo era stato da lui stesso sciolto per la picchiata dell'appoggio popolare. Grande sorpresa, quindi, nel vedere la coalizione di centrodestra non riuscire alle elezioni ad ottenere una maggioranza netta, ma solo parziale, sugli avversari di centrosinistra, lasciando ancora una volta gli indipendentisti (catalani, in particolare) a giocare la parte di ago della bilancia della cosa pubblica spagnola.

Pedro Sanchez eletto premier di Spagna per la terza volta, ad appoggiarlo anche gli indipendentisti

Il governo spagnolo, che appena pochi mesi fa era dato come di certo orizzonte conservatore, torna dopo settimane di discussioni interpartitiche nelle mani di Pedro Sanchez, leader del Psoe. Non si può tuttavia dire che ci torni saldamente: la nuova coalizione guidata dal premier socialista poggia infatti su appena 179 voti, contro i 171 dell'opposizione (il cui nucleo principale è rappresentato dai moderati di centrodestra del Partito Popolare e dai radicali di Vox).

Non solo i numeri risicati, poi, impediscono al (nuovamente) premier di dimostrarsi troppo sereno all'alba della legislatura. Anche la "qualità", di tali numeri, porta con sé corollari che nei prossimi mesi potrebbero mettere in non piccola difficoltà la sopravvivenza dell'esecutivo. La fiducia a Sanchez, infatti, oltre che dal proprio partito, è arrivata da altre sette forze politichela coalizione di sinistra Sumar, i partiti indipendentisti catalani Erc e Junts, quelli baschi Bildu e Pnv, il partito galiziano Bng e quello delle Canarie CC. Proprio l'appoggio dei numerosi partiti indipendentisti, necessario al mantenimento della maggioranza parlamentare, potrebbe essere un problema. Soprattutto quello dei catalani.

Dopo il tentativo di secessione operato dalla Catalogna nel 2017 e guidato da Barcellona dai partiti Erc e Junts, sembrerebbe che l'appoggio di tali soggetti al Psoe, dichiaratamente unionista (seppur timido sul sostegno monarchico), potrebbe essere stato "comprato" con l'amnistia accordata ai leader della fallita rivolta indipendentista, in questi anni esiliati all'estero. Un presunto "mercanteggiare" su cui l'opposizione conservatrice ha già alzato il volume delle polemiche, accusando Sanchez di svendere la legge spagnola e l'unità del Paese in cambio del sostegno al suo premierato.

Al di là del dibattito politico locale, comunque, sono molti gli osservatori che sottolineano che, una volta concessa l'amnistia, sono ben poche le leve di pressione utilizzabili da Sanchez per tenere unita la coalizione, oltre, ovviamente, all'apertura a riforme tese ad una maggiore decentralizzazione del potere da Madrid ai territori locali. Una politica pericolosa in un Paese come la Spagna, Paese la cui omogeneità nazionale è in molti casi succube della geografia