Attacco Israele 7 ottobre, l'errore degli 007 di Tel Aviv: "Non intercettavano Hamas da un anno, così l'organizzazione ha colpito indisturbata"
Troppa fiducia da parte dell'Unita 8200 israeliana, che non ha mai preso in considerazione l'ipotesi di un attacco da parte di Hamas
Gli 007 di Tel Aviv, ossia l’Unità 8200 che avrebbe dovuto prevedere l'attacco ad Israele del 7 ottobre scorso, aveva smesso da circa un anno di monitorare le comunicazioni radio dei mujaheddin di Hamas. Tanti gli errori commessi in questa storia, a partire dalla sottovalutazione del nemico. In un anno non sono mai stati colti i lunghi preparativi da parte di Hamas. Un errore che si somma alla troppa fiducia nei propri mezzi, specie tecnologici, e nella poca, in questo caso, fiducia nel nemico. Oltre a questo sono stati ignorati diverse avvisaglie, che potevano cambiare decisamente questa storia.
l'attacco ad Israele del 7 ottobre e gli errori degli 007 di Tel Aviv
Gli 007 israeliani, ossia l'Unità 8200, aveva smesso di monitorare le comunicazioni radio dei mujaheddin di Hamas da circa un anno. Lo ha rivelato il New York Times. Un errore costato carissimo. L'intelligence israeliana infatti pensava che fosse "poco" utile monitorare le unità in addestramento di Hamas, in quanto il traffico era di piccole unità. Questa è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso.
La cronostoria del fallimento israeliano
Come riporta il Corriere della Sera, nel maggio del 2021 "il Consiglio di Sicurezza israeliano redige un’analisi dove ritiene che la fazione non rappresenti il pericolo più alto. L’attenzione è rivolta a Iran e Hezbollah libanese". Nel luglio 2022, invece, ci sono "contatti diretti tra il ministro degli Esteri iraniano Abdollahian ed esponenti di alto livello delle fazioni amiche". A gennaio si tiene un nuovo meeting a Damasco tra il ministro e l'emissario di Hamas, Usama Hamdan. "Seguiranno intensi contatti telefonici tra le diverse anime dell’Asse della Resistenza in Siria, Iraq, Palestina", si legge.
I mesi più caldi: febbraio-luglio
Il 6 febbraio esce il rapporto 2023 sulle minacce globali dello spionaggio Usa: "non è citata Hamas ma solo Teheran e le milizie alleate in Medio Oriente. Secondo il New York Times l’intelligence statunitense avrebbe smesso da tempo le intercettazioni sui palestinesi in quanto riteneva che lo facessero già ampiamente gli israeliani". Il 6 aprile si tiene un vertice in Libano tra Hezbollah, Hamas e il comandante della Divisione Qods dei pasdaran iraniani, Ismael Qaani. Un probabile “gabinetto di guerra”. Una notizia non proprio nascosta. Chi deve sapere lo sa, non ignora che l’alto ufficiale tira le fila di piani dove è previsto il ricorso alla violenza, mossa destinate “a spaccare”. Il 14 aprile il Wall Street Journal racconta del summit libanese: non si esclude che sia stato organizzato in vista di un conflitto su più fronti. La storia, a questo punto, raggiunge un pubblico vasto". A fine luglio, il 24, il capo dell’intelligence militare va in Parlamento "e avverte i deputati sulle nuvole nere che si addensano sulla regione, esiste la possibilità di una crisi maggiore".
L'avvertimento dell'Egitto e della Cia
A fine settembre gli egiziani mettono in guardia Israele. Sanno che sta per accadere “qualcosa di grosso”. Una versione sostiene che vi sarebbe stata una telefonata del direttore dell’intelligence Abbas Kamal a Netanyahu ma l’ufficio del premier smentisce. Rischi confermati anche dalla Cia, che diffonde una nota e sottolinea il rischio di nuovi lanci di razzi, mettendo in guardia su un’escalation attorno a Gaza. "Il file non contiene riferimenti a operazioni speciali, incursioni o tattiche diverse dal solito “ciclo” visto negli anni scorsi attorno a Gaza. Qualche settimana prima lo spionaggio americano non aveva escluso però un’offensiva istigata da Teheran motivata dall’ostilità storica e dalla volontà di vendicare le azioni clandestine del Mossad in territorio iraniano. È uno scenario e non una certezza", si legge sul Corriere della Sera.
La vigilia dell'attacco
Arriviamo al 5 ottobre. Secondo report della Cia il livello di tensione sale dopo uccisione di due militanti di Hamas in Cisgiordania, ma Gerusalemme continua a pensare che la fazione palestinese non sia interessata ad una ripresa delle ostilità. "In realtà diverse sentinelle di guardia davanti ai monitor avevano annotato il training intenso dei mujaheddin, con elementi travestiti da contadini per osservare da vicino. Altri giravano in moto e altri ancora testavano cariche esplosive. I soldati lo comunicano ai superiori ma non c’è vera reazione". Il 6 ottobre, gli americani "rilanciano una segnalazione dello spionaggio israeliano, riguarda movimenti anomali a Gaza. I soldati di alcuni avamposti confermano movimenti inusuali del nemico. Nota: tre palloni aerostatici, dotati di “sensori” utilizzati per spiare la Striscia, erano fuori uso da tempo".
Il 7 ottobre e la pioggia di razzi di Hamas
Nella notte tra il 6 e il 7 ottobre c’è fermento nella Striscia. "Alle 3 di notte Ronen Bar, direttore dello Shin Bet (servizi interni) tiene un consulto con la Difesa. Sono fasi di grande incertezza, la valutazione finale è che non è necessario dichiarare lo stato d’allarme. Infatti, il premier non è svegliato (scrive il giornale Usa) e l’unica mossa è quella di inviare a sud il “Team Tequila”, un piccolo nucleo di agenti. Il nulla rispetto alla grande onda". Si arriva così al 7 ottobre, quando Hamas colpisce. Alle 6.30 "la difesa emette comunicato dopo la prima salva massiccia di razzi contro lo Stato ebraico". Alle 7.40 la difesa conferma un’infiltrazione di mujaheddin da Gaza". Il resto è storia.