La questione palestinese, immagine di una divisione tra razze elette e reiette, di una specie schifata dal proprio tratto umano

Chi ancora una volta osserva la questione dividendo le due parti in maniera semplicistica e manichea è un ignorante, nel senso che ignora che la questione palestinese si trascina da più di 75 anni

Nella mia condizione di privilegiato, dal mio studio con vista sul lago Maggiore, voglio iniziare questa riflessione come si conviene a un viziato milanese en déplacement.

Considero il regista Andrew Niccol un genio: Gattaca e In time sono due straordinari capolavori. Nel secondo, Niccol ci porta in un futuro distopico dove i poveri vivono ammassati in quartieri degradati, privati di tutto, costretti a pagare con il proprio tempo il necessario per la mera sussistenza, circondati da check point presidiati da soldati armati. Una situazione estrema, penserà qualcuno. No, la normalità palestinese.

Lasciamo perdere per un istante l’oscenità di una nazione fondata su una religione che reputa i suoi adepti la razza eletta, dimentichiamoci – secondo i dettami della cancel culture tanto in voga – la Storia. Limitiamoci a osservare le condizioni di vita dei palestinesi. Ci accorgeremo che l’esperimento sociale è molto più che una questione religiosa: è un osceno tentativo di nascondere i poveri sotto il tappeto. Poveri, diversi perché musulmani, discriminati, ghettizzati proprio come furono ghettizzati gli ebrei.

Chi ha subito atrocità non per questo è innocente quando le commette. Chi ancora una volta osserva la questione dividendo le due parti in maniera semplicistica e manichea è un ignorante, nel senso che ignora che la questione palestinese si trascina da più di 75 anni. In questi 75 anni (lo Stato di Israele è nato il 14 maggio 1948, con l’assunzione da parte di Ben Gurion della Presidenza del Consiglio di Stato Provvisorio di Israele), Israele ha sistematicamente ignorato il diritto internazionale, forte dell’appoggio degli Stati Uniti.

In questi 75 anni, i palestinesi sono nati, cresciuti e morti in una condizione subalterna, discriminati.

In quest’ottica, sposare la causa palestinese significa sposare la causa dei poveri del mondo. Qualcuno vuole nascondere i poveri sotto il tappeto, perché è brutto, in una Nazione prospera, abitata da gente istruita, vivere fianco a fianco con i poveri.

In questo presente neomalthusiano, la parola d’ordine è salvare il pianeta. I poveri abitano in canili sovraffollati, sporcano, inquinano e non credono nei valori del progresso scientifico. Durante le pandemie sono addirittura infetti. I filantropi premono per una soluzione finale, “Se lavoreremo bene coi vaccini…”, “La terra è una navicella spaziale progettata per non più di due miliardi di viaggiatori…”, “Il rapporto sui limiti dello sviluppo ci insegna che il più grave problema è il consumo delle risorse non rinnovabili…”, “Il climate change ha origine antropica, non ci sono più dubbi…”, “Ci saranno miliardi di mangiatori inutili”: i motivi per farla finita coi poveri sono tanti, i media ci bombardano quotidianamente con i loro slogan contro l’umanità. Come specie ormai ci facciamo schifo, al punto che ci vediamo come predatori al culmine della catena alimentare, distruttori della biodiversità, animali senza una coscienza (o un’anima) non diversi dalle iene.

Seguendo i cattivi maestri (guarda caso il più importante è israeliano, Yuval Noah Harari), arriveremo a trovare normale che gli esseri umani si dividono in razze elette e razze reiette, senza mai cercare di metterci nei panni delle reiette. Arriveremo a trovare normale che un’élite ci spossessi di tutti i nostri averi in nome del risanamento del deficit pubblico, per fare godere ancor di più le 26 persone più ricche del pianeta che posseggono ricchezze pari a quelle dei 3,8 miliardi più poveri.

Io non sono mai stato comunista, non ho mai creduto nell’uguaglianza (se non in quella davanti alla legge), non mi illudo che le sperequazioni possano essere risolte. Ma ho mantenuto un senso di giustizia che mi consente di indignarmi davanti alla protervia dei più forti nei confronti dei più deboli.

Qualche volta, non qui in Italia (siamo vecchi e imbelli), succede che i poveri, i discriminati, si ribellino. Fanno uso di una violenza oscena, rivoltante, vomitevole per un pacifista come me. Ma la mia nausea me la curo qui, comodamente seduto in poltrona, davanti al lago sempre uguale, uomo libero nel mio Paese natale. Quindi non giudico, mi astengo dal condannare e cerco di comprendere come si sia giunti a preferire la morte a una vita da miserabili.

di Alfredo Tocchi, 9 ottobre 2023