Omicidio JFK, nuova rivelazione dall'ex-agente: "Ho raccolto io il 'proiettile magico', c'era un secondo cecchino"

Landis dichiara di essere stato profondamente scosso in quei giorni, non riuscendo a dormire per cinque notti, il che potrebbe aver influenzato la sua ricostruzione potenzialmente imprecisa dei fatti

Il 22 novembre 1963, il mondo assistette attonito all'assassinio del presidente John F. Kennedy, un evento che ha lasciato un segno indelebile nella storia americana. Quel giorno, Kennedy stava attraversando la Dealey Plaza a Dallas, Texas, a bordo di una decappottabile, accompagnato dalla moglie Jackie Kennedy, dal governatore del Texas John Connally Jr. e dalla moglie Nellie Connally. La tragedia colpì duramente gli Stati Uniti e il mondo intero.

Omicidio JFK, nuova rivelazione dall'ex-agente: "Ho raccolto io il 'proiettile magico', c'era un secondo cecchino"

La commissione Warren, istituita dal presidente Lyndon B. Johnson per indagare sull'omicidio di Kennedy, concluse che l'ex marine Lee Harvey Oswald fosse l'unico colpevole dell'assassinio. La commissione condusse una dettagliata inchiesta basandosi su testimonianze oculari e prove balistiche, tra cui l'analisi dei proiettili e dei bossoli ritrovati sulla scena del crimine. 

In particolare, la Commissione Warren identificò tre colpi sparati durante l'attacco: il primo non raggiunse il suo bersaglio, colpendo una parete, mentre il terzo fu fatale, colpendo la testa del presidente. Il secondo proiettile entrò nella schiena di Kennedy, uscì dalla sua gola, penetrò la schiena del governatore Connally, uscì dal petto di quest'ultimo e ferì anche il suo braccio e la gamba.

L'ex agente dei Servizi Segreti, Landis, ha pubblicato nel suo nuovo libro intitolato "L'Ultimo Testimone" una versione dei fatti un po' diversa da quella scritta dalla Commissione, sollevando nuovi dubbi e domande in merito all'omicidio di John F. Kennedy.

Landis, considerato da tutti come una persona affidabile e scettica verso teorie cospirative sull'assassinio di Kennedy, aveva inizialmente sostenuto la tesi dell'unico colpevole, Lee Harvey Oswald. Ma a distanza di molti anni, cambia versione e la nuova non coincide con quella confermata dalle autorità, ma dà molta più credibilità alle teorie complottiste elaborate in passato.

La ricostruzione degli eventi fornita dalla commissione era coerente con i tempi di sparo e ricarica del fucile utilizzato, un Mannlicher-Carcano C2766. Inoltre, era supportata dai tre bossoli trovati nella stanza da cui erano stati sparati i colpi. Di particolare rilevanza fu il ritrovamento di un proiettile quasi intatto su una barella in cui era stato trasportato Connally in ospedale, suggerendo che il proiettile potesse essersi staccato dal corpo del governatore durante i frenetici sforzi di soccorso. E' proprio di questo proiettile che tratta il libro di Landis: egli sostiene infatti di averlo rimosso dal sedile della macchina in cui il presidente americano fu assassinato, per paura che qualcuno potesse spostarlo o addirittura portarlo via.

Racconta di come quel giorno fatidico gli agenti fossero tutti concentrati su Kennedy e di come la scena del crimine si fosse trasformata in uno "scempio", con la folla così vicina al luogo del delitto che avrebbe potuto benissimo contaminarla. Secondo la sua versione, una volta arrivato in ospedale aveva visto dentro alla limousine presidenziale un proiettile praticamente intatto e, forse per lo shock, aveva deciso di posarlo sulla barella.

Inoltre, la questione riguardante il proiettile ritrovato sulla barella di Kennedy e successivamente su quella di Connally presenta un'ulteriore complessità. Darrell Tomlinson, un tecnico sanitario interrogato dalla commissione Warren, aveva dichiarato di aver visto il proiettile su un'altra barella vuota nello stesso corridoio, non su quella di Connally. Tuttavia, la sua testimonianza non venne presa in considerazione nella ricostruzione degli eventi. Questo solleva l'ipotesi che la barella identificata dalla commissione come quella di Connally potesse in realtà essere stata utilizzata inizialmente per Kennedy, poiché era logico che il proiettile fosse stato trovato accanto all'ultima persona colpita.

Durante l'autopsia di John F. Kennedy, condotta in presenza di agenti dell'FBI, Frank O'Neill fece una rivelazione intrigante davanti alla commissione del 1978. Egli affermò che la ferita al collo del presidente non era coerente con quella alla schiena. Secondo i medici presenti, la ferita al collo sembrava essere stata aperta dal personale dell'ospedale di Dallas nel tentativo disperato di salvare la vita di Kennedy. Tuttavia, quando vennero informati che questa ferita era già presente quando il presidente fu portato in ospedale, i medici a Washington modificarono l'autopsia, indicando che la ferita al collo poteva essere considerata il punto d'uscita del proiettile. 

L'ex agente e la sua versione originale dei fatti

Tuttavia, come riportato dal capo corrispondente della Casa Bianca del New York Times, Peter Baker, la nuova narrazione di Landis presenta alcune incongruenze. In particolare, il racconto attuale di Landis entra in conflitto con la testimonianza che egli stesso rilasciò poco dopo l'attentato. All'epoca, Landis affermò di aver udito solo due colpi e non tre, non menzionò mai il dettaglio della pallottola rimossa e sostenne che nella "trauma room", dove giaceva il morente Jfk, era entrata solamente Jackie Kennedy. Egli era rimasto fuori dalla stanza, il che, se vero, avrebbe reso impossibile deporre la pallottola sulla barella.

Oggi Landis dichiara di essere stato profondamente scosso in quei giorni, non riuscendo a dormire per cinque notti. Questo potrebbe aver influenzato la sua ricostruzione superficiale e potenzialmente imprecisa dei fatti. Altri dubbi emergono riguardo alla mancanza di interventi da parte sua per correggere la versione della commissione Warren. Egli afferma che gli investigatori non lo chiamarono mai a testimoniare e che, nel frattempo dimessosi dai Servizi Segreti, non lesse il rapporto conclusivo. Solo una decina di anni fa, si rese conto della situazione ma ebbe timore di esporsi, temendo possibili accuse di rimozione di prove cruciali dalla scena del crimine.