Mar Baltico, Kursk 23 anni fa l’affondamento del sottomarino russo, quando, probabilmente, si sfiorò un confronto militare tra Russia e U.S.A.
Morirono tutti i 118 membri dell’equipaggio: la maggior parte poco dopo l’esplosione, mentre almeno 23 tra ufficiali e marinai morirono invece per asfissia alcune ore dopo che il sottomarino Kursk era affondato sul fondo del mare, a oltre 100 metri di profondità e circa 150 chilometri dalla base di Severomorsk, in Russia
Ventitré anni fa il 12 agosto del 2000, il sottomarino russo K-141 Kursk affondò nel mare di Barents, a nord della Russia, a causa di due esplosioni durante un’esercitazione militare. Morirono tutti i 118 membri dell’equipaggio: la maggior parte poco dopo l’esplosione, mentre almeno 23 tra ufficiali e marinai morirono invece per asfissia alcune ore dopo che il sottomarino Kursk era affondato sul fondo del mare, a oltre 100 metri di profondità e circa 150 chilometri dalla base di Severomorsk, in Russia. Il K-141 Kursk era un sottomarino a propulsione nucleare della Flotta del Nord appartenente alla classe Oscar, entrato in servizio nel 1995 presso la base di Severomorsk, era in grado di trasportare e lanciare missili a testata nucleare. Il sottomarino era impegnato nel Mare di Barents in un'esercitazione militare navale nella quale avrebbe dovuto lanciare dei siluri da esercitazione (senza carica esplosiva) contro l'incrociatore nucleare, classe Kirov, Pjotr Velikij. Alle 11,30 circa locali furono lanciati dei siluri di prova, ma vi fu un'esplosione, probabilmente di uno dei siluri del Kursk, all'interno o nei pressi del sottomarino. A causa delle lesioni allo scafo dovute alla esplosione il sottomarino si adagiò sul fondo a 108 metri di profondità. Una seconda esplosione avvenne all'interno dello scafo 135 pochi secondi dopo la prima. Ancora oggi non si sa quanti fossero i membri dell’equipaggio e quanto tempo alcuni di loro sopravvissero nel sottomarino. Solo due giorni dopo l'esplosione il governo russo diede notizia dell'incidente. I primi soccorsi al Kursk arrivarono con alcuni giorni di ritardo, a causa di difficoltà tecniche e per via dell’iniziale rifiuto da parte del governo russo di accettare aiuti stranieri. Il 21 agosto Mikhail Motsak, comandante della Flotta Nord della marina militare russa, comunicò che a bordo del Kursk non c’era nessun sopravvissuto. Non è ancora chiaro cosa provocò le esplosioni, alla prima seguì una seconda molto più potente. La maggior parte delle 118 persone a bordo del Kursk morirono subito; almeno 23 riuscirono a rifugiarsi nella parte posteriore del Kursk, evitando la morte per annegamento. L’onda sismica della seconda esplosione fu percepita dai sismografi della regione, in cui si trovavano anche sottomarini stranieri, e fu rilevata fino in Africa. Per 48 ore la Russia non spiegò l’accaduto e ci mise circa 15 ore per determinare la posizione del Kursk sul fondo del mare, e altre 15 per far partire il primo tentativo di salvataggio. La Russia tentò inutilmente alcune operazioni di salvataggio e soltanto il 17 agosto, cinque giorni dopo l’affondamento, accettò l’aiuto offerto dal governo britannico e da quello norvegese. Il 19 agosto la nave norvegese Normand Pioneer, che trasportava il batiscafo britannico LR5, arrivò nelle acque in cui si trovava il Kursk. Dopo vari tentativi alcuni si riuscì a raggiungere il Kursk, accertando la morte dell’intero equipaggio. Nell’ottobre del 2001 una parte del sottomarino fu recuperata dal fondo del mare e trasportata alla base navale di Roslyakovo, in Russia. Un’altra parte rimase sul fondo del mare e lì fu distrutta dalla Russia: secondo il governo russo fu distrutta perché lasciarla lì o tentare di spostarla sarebbe stato pericoloso; secondo altri il governo russo lo fece per evitare che altre nazioni avessero informazioni sui suoi sottomarini. L'inchiesta sull'affondamento del sottomarino si concluse nel giugno del 2002: il procuratore generale Vladimir Ustinov diede la colpa dell’incidente a un siluro difettoso e non individuò nessun responsabile. Ustinov disse che quello all’interno del Kursk c’era stato un “inferno” e spiegò che i 23 membri dell’equipaggio sopravvissuto alle esplosioni morirono dopo poche ore, soffocati dal monossido di carbonio. Secondo un'altra teoria, illustrata da un documentario franco-canadese del 2004 intitolato “Kursk: A submarine in Troubled Waters”, il Memphis avrebbe dovuto svolgere la funzione di osservatore, mentre il Toledo avrebbe dovuto pedinare il Kursk. Il Toledo avrebbe urtato il sottomarino russo, senza tuttavia causargli gravi danni. Il Toledo, danneggiato, avrebbe tentato di allontanarsi, aiutato dal Memphis. Rilevando che il Kursk stava attivando i sistemi d'arma, il Memphis avrebbe lanciato un siluro di tipo Mark 48, colpendo in pieno la prua del sommergibile russo, che conteneva i siluri. Ciò avrebbe creato una reazione a catena innescando le cariche dei siluri del Kursk. Sempre secondo questa tesi gli Stati Uniti e la Federazione Russa si sarebbero successivamente accordati e i primi, responsabili dell'incidente, avrebbero indennizzato la Russia cancellando un debito di 10 miliardi di dollari. I sostenitori di questa teoria indicano come prova le immagini del relitto del Kursk recuperato che mostrano un foro circolare rivolto verso l'interno, presente sulla fiancata e vicino al luogo dell'esplosione. I siluri come il Mark 48 sono progettati per esplodere in prossimità dello scafo, non essendo in grado di penetrarlo e quindi impossibilitati a indurre "fori circolari" nello scafo. All'ipotesi del siluro ufficiali U.S.A. si opposero affermando che le loro unità erano distanti non meno di alcune miglia, il Toledo non sarebbe stato danneggiato, uno scontro con un mezzo delle dimensioni del Kursk avrebbe creato gravi danni o l’affondamento dell'unità statunitense. Ma, probabilmente, nella versione ufficiosa e non ufficiale, in realtà, si sfiorò uno scontro aereonavale tra Russia e U.S.A.