Turchia-Usa, Washington apre di nuovo alla vendita di F16 ad Ankara. A Biden serve il "sì" di Erdogan alla Svezia nella Nato

Biden costretto a tornare sui suoi passi e aprire di nuovo alla vendita di caccia F16 alla Turchia. In cambio Washington chiede ad Ankara di togliere il veto all'entrata svedese nella Nato

Il presidente americano Joe Biden telefona all’omologo Erdogan per complimentarsi del recente successo elettorale. Viene quindi discusso il tema della consegna di F16 alla Turchia, cessione per la quale Washington richiede in cambio il sì di Ankara all’entrata svedese nella Nato. Colloquio rimandato al vertice Nato di Vilnius, a luglio, nel quale non è però detto che la Turchia, sempre più sganciata dalla traiettoria dell’alleanza atlantica, vorrà soddisfare le richieste statunitensi.

Biden ed Erdogan discutono al telefono di F16 ed entrata della Svezia nella Nato

Telefonata tra il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ed il presidente turco Erdogan. Il colloquio tra i due, inizialmente motivato dalla volontà dell’americano di congratularsi per la recente vittoria delle elezioni, sarebbe in realtà velocemente deviato sul tema dei caccia bombardieri F16. Un tema che da diversi mesi è immagine dei freddi rapporti che corrono tra Washington e Ankara, sempre più considerata come un battitore libero in seno alla Nato.

La penisola mediterranea, infatti, non ha mai nascosto il proprio disinteresse per lo schieramento netto sulla questione del conflitto ucraino, continuando ad intrattenere i propri rapporti, comunque altalenanti, con Mosca anche dopo il febbraio del 2022. Una posizione invisa al di là dell’Atlantico, dove era stato deciso di escludere Ankara dal programma Nato sulla vendita di F16 agli alleati. Un affronto, agli occhi turchi, che ha contribuito a montare una certa dialettica anti occidentale in crescita soprattutto nell’entroterra del Paese, oltretutto aggravato dalla cessione dei velivoli, tra gli altri, alla Grecia, Paese storicamente avverso alla “Sublime Porta”.

Negli ultimi mesi si era quindi assistito ad un crescente affrancamento delle politiche turche da quelle dell’alleanza atlantica, a favore di una riscoperta traiettoria pan-turca, che ha portato Ankara a riassestare il proprio sguardo sull’asse orientale, piuttosto che sugli scenari mediterranei e atlantici, puntando come confine dei propri più proibiti desideri l’influenza sulle popolazioni turcofone dello Xinjang, oltre che di tutti i territori che separano la provincia cinese dall’Anatolia. Un cambio di rotta che a Washington odora di disimpegno, ma che ha in realtà dato i suoi frutti, il maggiore dei quali si ritrova nel patronato di Erdogan sugli ormai famosi accordi del grano, di fatto il solo patto diplomatico che si sia riusciti, o voluti, far sottoscrivere a Mosca e Kiev dall’inizio del conflitto.

Eppure la “Nuova Turchia” (concetto spesso evocato da Erdogan, non solo durante la campagna elettorale), presenta non pochi motivi di preoccupazione per gli Stati Uniti, terrorizzati dalla perdita, nel caso di una totale rottura con Ankara, della più grande linea di costa sul Mar Nero vantabile dall’alleanza atlantica. Ecco quindi Biden, forse deluso dalla sconfitta della fazione filo-occidentale di Kilicdaroglu, tornare sui propri passi, aprendo alla possibilità di cedere F16 anche a Erdogan, che solo nel 2021 chiamava con disprezzo “dittatore”.

In cambio, è la richiesta americana, il sì turco all’entrata della Svezia nell’alleanza, sulla quale Ankara continua a porre il veto. Il motivo sarebbero le centinaia di curdi attualmente rifugiati nel Paese nordico, che Erdogan vorrebbe fossero estradati in Turchia, dove, secondo molti osservatori, sarebbero processati per terrorismo. Opposizione del governo svedese, che non avrebbe nemmeno il potere per obbligare la magistratura a rimpatriare queste persone, e, per adesso, trattative impantanate.

Intanto la Turchia continua a giocare secondo le proprie regole, preparandosi al vertice Nato di Vilnius, a luglio, in cui si tornerà a discutere, di persona, di F16 e Svezia. È facile immaginare che per allora Ankara avrà ben ripassato la lista dei suoi interessi.