Guerra in Sudan, cosa succede e perché: i motivi dell'evacuazione degli italiani e degli europei
Da 9 giorni la situazione nel Paese è precipitata: i morti sono più di 400 e i feriti superano le migliaia. Gli Stati hanno richiamato i propri cittadini perché temono che gli scontri si trasformino in una sanguinosa guerra civile
In Sudan gli scontri stanno progressivamente aumentando di intensità. Molti Paesi, fra cui Italia, Spagna e Francia, hanno evacuato i propri cittadini per ragioni di sicurezza. I morti hanno superato le 4 centinaia e i feriti sono nell'ordine delle migliaia; molti sono bambini. Cosa sta succedendo nel terzo più grande Stato d'Africa?
Guerra in Sudan: cosa succede?
Il Sudan è quel lembo di terra quasi quadrato che occupa 1.844.797 chilometri quadrati di Africa. Gli Stati confinanti sono l'Egitto a nord, il Ciad a ovest, il Sud Sudan a sud e l'Eritrea e l'Etiopia a est. È il terzo Paese più grande del continente e il sedicesimo su scala mondiale. La capitale è Khartum, quasi nel centro, dove il Nilo Bianco e il Nilo Azzurro si congiungono nel Nilo egiziano che poi sfocia nel Mediterraneo.
La guerra di oggi è figlia di decine di altre. Il Sudan è stato battezzato nella guerra e le violenze hanno caratterizzato (fino ad oggi) la storia di un paese fragile e povero. Nel 1956 lo Stato è diventato indipendente dal Regno Unito, ma già dal 1955 era in corso la prima guerra civile, che proseguì fino al 1972.
I morti sono stati mezzo milione. Nel 1983 è scoppiata la seconda che è durata fino al 2005 e ha fatto altri 2 milioni di morti, falcidiati non solo dalle armi, ma anche dalla fame, dalla sete e dalle malattie epidemiche. Al potere si sono susseguiti regimi militari: i colpi di Stato sono stati nel 1958, 1969, 1985, 1989, 2019 e 2021.
La maggioranza etnica è araba e la religione più diffusa è l'Islam. Dal 1989 al 2019 lo Stato si fondava sulla Sharia e sulla concentrazione dei poteri. La dittatura ha portato a frequenti rivendicazioni, anche armate, di diritti. L'esempio più lampante delle violenze che attraversano il Paese sono quelle hanno portato alla separazione del Sud Sudan, di etnia principalmente sub-sahariana e cristiani, nel 2011 dopo anni di scontri armati.
La discriminazione di alcuni territori è anche la ragione per cui la regione del Darfur, a sud, è stata insanguinata da più di 500.000 morti fra 2003 e 2005. Per combattere i ribelli il governo ha assoldato i Janjawid, un gruppo di miliziani arabi di etnia baggara, che razziavano villaggi e distruggevano abitazioni. Gli sfollati sono circa 2 milioni e mezzo.
Guerra in Sudan oggi, perché?
Il gruppo paramilitare Janjawid ha consolidato il proprio potere tanto da essersi evoluto nel Rapid Support Force (RSF) che oggi combatte contro l'esercito ufficiale per la guida dello Stato presieduto dal presidente Fattah al Burhan. A comando dell'RSF vi è il vicepresidente Mohamed Hamdan Dagalo, noto anche come Hemedti.
Gli scontri sono scoppiati sabato 15 aprile dopo settimane di tensioni. I due generali hanno preso il potere nel 2021 ribaltando il breve governo democratico instauratosi dopo la caduta della dittatura ventennale di Omar al Bashir nel 2019. Le potenze internazionali hanno fatto pressioni affinché Burhan e Hemedti transitassero verso una forma di democrazia, ma i due avevano idee profondamente diverse.
I tafferugli di ordine politico si sono presto trasformati in guerra armata aperta, con colpi di artiglieria e bombardamenti, soprattutto (ma non solo) nella capitale Khartum. Le violenze sono cominciate soprattutto vicino a una base militare a sud della città, controllata dalle RSF, e poi si sono estese al palazzo presidenziale, alla sede della tv di stato sudanese e all’aeroporto. Sono tutte infrastrutture di cui entrambe le parti, l’esercito regolare e RSF, rivendicano il controllo. I bombardamenti hanno distrutto edifici civili, infrastrutture, la sede del governo e quella del ministero dell’Istruzione e della Ricerca.
I morti hanno già superato i 400 e i feriti le migliaia. Si teme che lo scoppio della guerra influirà molto sui flussi migratori, europei e non. Già in 400.000 si sono riversati nel vicino Ciad.
Il 17 aprile la situazione è diventata pericolosa anche per il personale diplomatico: Aidan O’Hara, a capo della delegazione diplomatica dell’Unione Europea in Sudan, è stato aggredito in casa sua nella capitale.
Evacuazione italiani in Sudan
Le persone residenti in Sudan provenienti dall'Italia e da molti altri Paesi si sono diretti alle ambasciate per essere evacuati d'emergenza. Fra domenica e 23 e lunedì 24 gli italiani sono stati riportati a Roma con aerei militari facendo scalo in Gibuti. Oltre all’Italia, anche Francia, Spagna, Germania, Belgio e Paesi Bassi hanno evacuato i propri cittadini: sui voli spagnoli c'erano anche persone da Irlanda, Portogallo, Polonia, Argentina, Colombia, Messico e Venezuela, quelli italiani alcuni svizzeri.
Stati Uniti e Regno Unito erano stati i primi a procedere alle evacuazioni, occupandosi inizialmente del personale delle ambasciate, seguiti dal Canada. Anche la Giordania ha organizzato voli di rimpatrio per i propri cittadini presenti in Sudan. Circa 150 persone provenienti soprattutto dal Golfo Persico, ma anche da Egitto e Pakistan, avevano invece lasciato il paese via nave sabato, diretti verso il porto di Gedda, in Arabia Saudita.
Per questi giorni era stata organizzata una tregua umanitaria, ma fonti interne raccontano che a Khartum gli scontri non si sono fermati. Le operazioni sono state ulteriormente complicate dall'inagibilità dell'aeroporto internazionale della capitale, devastato dalle violenze.