Serbia e Kosovo, svolta in vista? Il teatro in cui l'Europa cerca davvero la pace

Nelle ultime settimane l’Unione Europea sta tornando a spendersi energicamente per una soluzione definitiva sulla diatriba Serbia-Kosovo. Il dialogo tra i due premier è aperto pur tra mille resistenze, ma l’implementazione reale del negoziato sembra ancora lontana

Il dialogo Belgrado-Pristina sembra essere “a metà del guado”. I progressi sono evidenti, ma resta ancora tanto da fare. L’approccio sembra comunque essere quello della ricerca concreta di un accordo tra le parti che possa garantire una pace risolutiva.

Dopo l’incontro tra il presidente serbo, Aleksandar Vucic, e il premier del Kosovo, Albin Kurti, convocati a Bruxelles dall’alto rappresentante Ue Josep Borrell, il dialogo tra Belgrado e Pristina ha compiuto dei “progressi evidenti”, ma resta ancora molto lavoro da fare.


La proposta dell’Unione per la normalizzazione dei rapporti tra i due paesi si compone di due parti inseparabili: la prima è la “proposta di base”, l’altra è “l’allegato di attuazione” che dettaglia la proposta e predispone gli step per l’implementazione effettiva. Nel corso della discussione, descritta da un funzionario europeo come “difficile, franca, a tratti emotiva”, il premier kosovaro ha chiesto, per ora, di firmare esclusivamente la proposta base, nell’amarezza dei mediatori europei, che invece avrebbero auspicato passi più concreti fin da subito. Sicuramente saranno necessari altri incontri. “Il lavoro – spiegano da Bruxelles – sarà terminato solo quando si sarà raggiunto un accordo sul protocollo di implementazione” per evitare “margini di ambiguità” che già in passato hanno minato l’avanzamento del processo. “È nel nostro interesse che l’accordo sia quanto più dettagliato possibile”, osservano, specialmente in virtù del “basso livello di fiducia tra le due parti”.


Una cosa è certa: se l’Unione Europea si spendesse per la pace in Ucraina tanto quanto sta facendo per l’auspicata normalizzazione dei rapporti tra Serbia e Kosovo, la Storia avrebbe già preso una direzione diversa. Questo dice molto sul reale margine di manovra di Bruxelles allo stato attuale, nonché del peso dell’Unione Europea come negoziatore all’interno della comunità internazionale. 

La disputa Belgrado-Pristina è ormai una questione regionale, un teatro minore, che è comunque da tempo parte della contrapposizione tra Russia e Nato e che, anzi, riveste un peso simbolico importante. Forse, l’unilaterale bombardamento ai danni della Serbia da parte della Nato nel 1999 ha fornito alla Russia un ottimo pretesto per tornare ad ambire a una dimensione globale dopo l’umiliazione subita alla fine della Guerra fredda e nel corso dei disastrosi anni della presidenza El’cin. All’epoca, era probabilmente ancora presto per la fragile Federazione poter avanzare una tale pretesa mentre, ora che il dado è tratto anche in Ucraina, potrebbe essere troppo tardi.

Un po’ di storia sulla faida tra Serbia e Kosovo


Ricordiamo che il Kosovo era parte della Serbia, a sua volta appartenente alla Repubblica federale di Jugoslavia fino al 1999, quando la Nato intervenne in difesa dei Kosovari albanesi, allontanando le forze serbe dal Kosovo. Seguì una risoluzione dell’Onu, la 1244, che sanciva l’inviolabilità territoriale della Serbia e la Nato, con una forza territoriale di peace keeping chiamata KFOR Kosovo Force diventava garante del mantenimento della pace nel luogo, su mandato delle Nazioni Unite. Insomma, l’Onu si serviva della Nato come suo braccio armato, scenario oggi sicuramente impraticabile. KFOR esiste ancora, ma quello che è cambiato e che il Kosovo ha dichiarato l’indipendenza in maniera unilaterale nel 2008. 

Nel nord del Kosovo, in particolare a nord del fiume Ibar, vive una minoranza serba, e questo è il sostanziale motivo delle mai sopite tensioni


Nel 2014, stesso anno dell’annessione della Crimea da parte russa, si è giunti al primo degli accordi di Buxelles grazie ai quali, pur non riconoscendo il Kosovo indipendente, sono state regolate una serie di relazioni reciproche e di vicinato. L’accordo prevedeva la costituzione dell’associazione delle municipalità serbe che doveva essere la garanzia per la tutela delle minoranze di etnia serba nella regione. Oggi, tra i filoni di lavoro per i negoziati facilitati dall’Unione Europea avrebbe dovuto essere affrontata anche la questione relativa alla circolazione delle targhe serbe vietate recentemente in Kosovo, fatto che aveva riacceso le tensioni nella primavera e nell’autunno scorso. A seguito di queste l’Italia aveva schierato in Kosovo un contingente ulteriore di carabinieri, circa 24 persone che sono parte della missione europea EULEX, impiegati nel controllo delle zone di confine a nord, proprio in risposta a questa crisi e al fine di evitare ulteriori escalation. Inoltre, l’Italia ad ottobre ha ottenuto il comando di KFOR, che attualmente detiene circa 4000 unità in tutto, con il Generale dell’Esercito Ristuccia. Il nostro paese ha attualmente in Kosovo più di 700 unità di personale poiché l’area è di rilevante interesse strategico per il nostro Paese, naturale sbocco per la propria sfera di influenza, sia per fattori storici, che geografici. Resta da vedere il reale ruolo che verrà riservato all’Italia nella mediazione. 

La proposta dell’Unione per un accordo tra Serbia e Kosovo

Il 27 febbraio l’Unione Europea ho proposto un accordo di normalizzazione delle relazioni tra Kosovo e Serbia, sostenuto, almeno a parole, da entrambe le parti contraenti. Queste “sono impegnate a contribuire a una proficua cooperazione regionale e alla sicurezza in Europa, nonché a superare le ostilità del passato, consapevoli che l’inviolabilità delle frontiere, il rispetto dell’integrità territoriale e della sovranità, e la protezione delle minoranze nazionali sono una condizione fondamentale per la pace”. Nel testo, le parti affermano che “svilupperanno tra loro relazioni normali e di buon vicinato sulla base della parità di diritti”, riconoscendo reciprocamente i rispettivi documenti e simboli nazionali, compresi passaporti, diplomi, targhe e timbri doganali”. Fondamentale anche l’impegno a ispirarsi “agli obiettivi e ai principi sanciti dalla carta delle Nazioni Unite, che viene richiamata in causa. “Le parti dovranno risolvere qualsiasi controversia tra loro esclusivamente con mezzi pacifici e astenersi dalla minaccia o dall’uso della forza”, si legge nel testo pubblicato dal Servizio europeo per l’Azione esterna (Eeas). La Serbia, inoltre, non si opporrà all’adesione del Kosovo a nessuna organizzazione internazionale e nessuna delle due parti “bloccherà, né incoraggerà altri a bloccare i progressi dall’altra parte nel rispettivo cammino verso l’Ue, sulla base dei propri meriti”. Nella proposta dell’Ue, Kosovo e Serbia si impegnano anche ad approfondire la collaborazione in vari settori, tra cui quello economico, dei trasporti, della scienza, delle forze giudiziarie, delle forze dell’ordine, della sanità e della religione, mediante accordi specifici. Le due parti si impegnano anche ad “assicurare un livello adeguato di autogestione per la comunità serba in Kosovo e la capacità di fornire servizi in settori specifici, compresa la possibilità di un sostegno finanziario da parte della Serbia e un canale di comunicazione diretto per la comunità serba con il governo del Kosovo”, in conformità con i pertinenti strumenti del consiglio d’Europa. Le parti formalizzeranno, inoltre, lo status della Chiesa serbo-ortodossa in Kosovo e garantiranno un forte livello di protezione ai siti del patrimonio religioso e culturale serbo. 

I serbi, infatti, considerano il Kosovo come un centro fondamentale della loro spiritualità: la regione della Metochia è valutata come la terra di origine della civiltà, cultura e identità serba, sviluppatasi qui tra il IX e il XIV secolo. Nel 1389 su questo territorio fu combattuta una celebre battaglia contro gli Ottomani, poi divenuta per i Serbi simbolo dell’eroismo nazionale.


Il percorso di integrazione europea della Serbia, lo stato di dialogo sul Kosovo tra Belgrado e Pristina e la situazione nella regione balcanica sono stati i temi di un colloquio telefonico che il presidente serbo ha avuto il primo marzo con la presidente della commissione europea Ursula von Der Leyen. Vucic, ha sottolineato la ferma determinazione della Serbia a proseguire nel processo di riforme promosse da Bruxelles, con l’obiettivo di migliorare lo stile di vita della popolazione e realizzare la piena integrazione del paese nell’Unione Europea, ringraziando la commissione per il sostegno nello sviluppo e nella modernizzazione del paese. In cambio, Vucic ha sottolineato che la parte serba resta impegnata nel negoziato con Pristina benedetto dall’Unione Europea, dichiarando di essere intenzionato a pervenire a una soluzione di compromesso.

Lato suo, il premier kosovaro Kurti ha dichiarato lo stesso giorno che la normalizzazione delle relazioni tra Kosovo e Serbia può avvenire “solo attraverso il riconoscimento reciproco”, prendendo parte al Forum economico di Skopje, in Macedonia del Nord. 

Lo zampino statunitense nella trattativa


Allo sforzo negoziale non manca certo il sostegno americano. Il rappresentante speciale dell’Unione Europea per il dialogo Belgrado-Pristina, Miroslav Lajcak non ha negato di star coordinando le fasi del prossimo incontro con l’inviato speciale degli Stati Uniti d’America per i Balcani occidentali, Gabriel Escobar, dopo gli incontri di lunedì scorso a Bruxelles con il presidente serbo e il presidente kosovaro. 

Quello che conta è concordare le modalità di attuazione del piano europeo sul Kosovo, non far semplicemente firmare e controfirmare le proposte da entrambe le parti. Lajcak ha dichiarato di aver incontrato il vice-premier del Kosovo, Besnik Bislimi, e di aver discusso con lui le modalità di attuazione della proposta. “Ho sottolineato l’importanza dell’allegato sull’attuazione, che garantisce che tutto quanto concordato sarà attuato”, ha scritto. Secondo i media, costui dovrebbe presto visitare Belgrado e Pristina in vista del prossimo incontro tra i due leader il 19 marzo, previsto in Macedonia del Nord. 

Si attendono sviluppi, dai quali ci si potrà render conto se la Serbia sia veramente intenzionata a completare il processo di integrazione europea, n e riconoscendo al Kosovo la piena indipendenza, oppure no. Se così sarà, anche Mosca, dovrà presto fare i conti con il nuovo assetto.  

di Lara Montaperto