Iran, la protesta indolore del "taglio delle ciocche per solidarietà” contro "il taglio delle teste": sembra la réclame di cosmetici

“Un gesto non risolutivo ma giusto” in Iran, dicono i vanesi che si accorciano le chiome sui social. Giusto, ma per chi lo fa: alla gioventù iraniana, che ha il problema di sopravvivere, neanche arriva questa assurda “solidarietà” dei coetanei – e non solo - occidentali.

I frati di San Giovanni Rotondo sono più saggi dei fedeli che vanno in pellegrinaggio e a quelli particolarmente fanatici consigliano moderazione: no, tu non puoi fare come san Pio o san Francesco, non puoi digiunare, non siamo nel Milleduecento, il corpo è diverso, il metabolismo è diverso, caschi stecchito: invece perché non scegli altri tipi di digiuno, per esempio dalla televisione o da internet? A quel punto i devoti vanno via un po' delusi: saltare qualche pasto passi, ma se la vita non è costantemente in diretta, anche se oggi si dice on line, che vita è? Ci pensavo vedendo lo spettacolo inverecondo delle fanciulle e le madame che si tagliano le ciocche per solidarietà con le iraniane, alle quali invece tagliano le teste: pantomime letteralmente oscene, nel senso che usava Carmelo Bene: fuori di scena (nonché oltre il porno). C'era ad un programma del pomeriggio una conduttrice che ostentava il taglio insieme alle ancelle o vallette, tutte in favor di telecamere: tre secondi dopo cantavano a squarciagola “Ricominciamo” con Adriano Pappalardo, il cantante da un solo successo. A Miss Italia hanno messo, su Instagram, il video delle concorrenti che si spuntavano la chioma, ma appena appena, e si capiva la fatica di riuscire bene, con la giusta espressione, la giusta angolazione, il gioco di luci sapiente. E poi le influencer con le forbici in mano. Chissà quanto saranno contente le donne dell'Iran, e quanto preoccupati gli ayatollah che le fanno fuori.

Perché in Italia deve sempre finire tutto in vacca? Non solo in Italia, questo è chiaro, nell'Occidente tutto, ma qui c'è sempre come una patina un po' rancida, sarà il combinato disposto di pretenziosità hollywoodiana e dimensione provinciale. Nessuna azione concreta, nessuna dichiarazione, che poi ci si compromette e magari ti tolgono i prodotti da sponsorizzare. Però una bella acconciata, così le doppie punte spariscono. Quanto sarebbe stato più incisivo uno sciopero dai social di una giornata? Quanto avrebbe effettivamente messo in crisi il mercato delle epifanie effimere? Cerco in Rete e si trovano scenette avvilenti. A Merate, in Brianza, in un istituto superiore si sono filmate per due giorni mentre si tagliavano a vicenda quelle benedette ciocche. Non solo le ragazzine, anche le insegnanti, la preside, le bidelle. Una festa. All'Università dell'Aquila hanno inaugurato l'anno accademico allo stesso modo, anche i maschietti, salvo quelli inopinatamente rapati. Una eurodeputata svedese, di origine irakena, se l'è scorciate le ciocche mentre parlava all'Europarlamento e poi ha fatto girare il video. “Da Belen a Claudia Gerini il taglio di capelli è virale”. Sarebbe questa la solidarietà a Masha Amini, eliminata dalle autorità iraniane perché dal velo spuntava un ciuffetto? Alle disgraziate come lei?

Vale la pena di ricordare che la persecuzione delle donne in Iran dura da decenni, dal ritorno della teocrazia degli ayatollah; e nessuno, nessuna aveva mai fatto una piega, aveva mai smesso di cantare, ballare, scosciare. Anzi, il regime spietato veniva contestualizzato, perfino sostenuto in quanto antiamericano: quante parlamentari oggi s-cioccate si son fatte vedere sedute a fianco al sommo sacerdote di turno, velatissime, coperte da capo a piedi? E chi osava sollevare la benché minima critica passava in fama di servo della Nato, della Nasa, dello zio Sam, del generale Custer, del negazionismo vaccinale e di quello climatico. Neppure la vicenda, atroce, di incidibile strazio, di intollerabile barbarie di Saman Abbas trucidata dalla famiglia a Novellara aveva suscitato la minima reazione. Pakistana, non iraniana, ma la logica era identica. Come lei, prima di lei, altre dieci, venti, cinquanta solo in Italia.

Andava tutto bene in Iran, fino a che qualcuno o qualcuna non ha deciso che si doveva “mandare un segnale”. Si sa come succede nel tempo dei social: una vip o morta di fame qualunque s'inventa una trovata, un gesto “simbolico”, come dice la Littizzetto, e parte la carica dei bisonti. “Gesto simbolico” vuol dire che a nessuno importa se non a chi lo fa per ragioni personalissime che contemplano lo sfruttamento delle altrui disgrazie, tragedie, sciagure; e che, facendolo gli altri, non si può restare indifferenti ma occorre emulare, replicare, se possibile andando oltre. Poi, dopo qualche ora, si passa a un'altra buona causa, con un altro gesto simbolico. Che non costa niente e, se ben orchestrato, rende anche parecchio. Fateci caso, i gesti simbolici non sono mai nel senso di privarsi di qualcosa, di “digiunare”: vanno nella direzione opposta, nella bulimia di sé, nel dilatarsi, nell'esasperare la pulsione narcisistica. Meglio se in lingerie o in posa allusiva, sul laido pubblicitario. Dicono gli universitari aquilani della loro smania seduttiva: "Un piccolo gesto, simbolico, non risolutivo ma sentiamo che questa protesta è giusta. Lo chiedono le ragazze e i ragazzi che amano il loro Paese". Più che non risolutivo, è del tutto inutile; e che lo chieda la gioventù iraniana della rivoluzione verde già affogata nel sangue (grazie ai social manipolati dalla dittatura, che poteva intercettare le proteste e risalire agli oppositori), è una fandonia. Laggiù tutto quello che chiedono è di poter studiare, amare, vivere senza soffocare, in tutti i sensi. Delle ciocche delle sciocche, per dire gli ipocriti europei, non sanno proprio che farsene.