Serbia-Kosovo, guerra delle targhe: l’ultimo fronte geopolitico di Russia, Cina e Usa

Tensione nei Balcani dopo la proposta di una legge che vieta le targhe serbe in Kosovo. Il ruolo di Mosca e Pechino a sostegno di Belgrado e l’influenza di Washington su Pristina

La geopolitica internazionale si muove su diversi fronti. Passa per l’Ucraina, si sposta verso Taiwan e arriva nei Balcani. I principali attori, al di là delle questioni regionali, sono sempre gli stessi: Russia, Cina e Stati Uniti. Prendete la cosiddetta “guerra delle targhe”: nella notte tra il 31 luglio e il 1° agosto le autorità del Kosovo hanno chiuso due valichi di confine con la Serbia per le protese dei kosovari di etnia serba. Il motivo? L’entrata in vigore di una nuova legge che vieta documenti d’identità e targhe serbe in Kosovo. La disputa, all’apparenza, potrebbe sembrare futile. Non lo è. Perché da una parte c’è Belgrado, sostenuta da Mosca e armata da Pechino, mentre dall’altra c’è Pristina, che in parte deve la propria esistenza a Washington.

Serbia-Kosovo: il ruolo di Russia, Cina e Usa

Il Kosovo, per la Serbia, non esiste. Considerato da Belgrado una propria regione, resta un piccolo Stato balcanico a riconoscimento limitato. L’indipendenza della Serbia, dichiarata nel 2008, al momento è riconosciuta da 98 Paesi delle Nazioni unite su 193. A partire dalla guerra del 1999 il Kosovo aveva tollerato l’uso di targhe emesse dalle istituzioni serbe in quattro municipalità del nord del Paese, dove sono presenti maggioranze serbe. D’ora in poi, invece, sarà obbligatorio l’uso di targhe con l’acronimo Rks, vale a dire Repubblica del Kosovo.

Secondo il premier del Kosovo, Albin Kurti, le manifestazioni al confine con la Serbia non sarebbero state spontanee, ma sarebbero state organizzate da Belgrado “col supporto della Russia”. Ragione per la quale “il rischio che scoppi un nuovo conflitto tra Kosovo e Serbia è alto”. Il primo ministro serbo, Alexandar Vučić, ha utilizzato toni altrettanto duri. “I serbi del Kosovo non tollereranno altre persecuzioni”, ha incalzato. “Cercheremo la pace, ma lasciatemi dire che non ci arrenderemo”.

In questo scenario si inseriscono Russia, Cina e Usa. “Pristina sa che i serbi non rimarranno indifferenti quando si tratta di un attacco diretto alle loro libertà e si prepareranno a uno scenario militare”, ha detto il portavoce del ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova. La Nato, che ha nella politica degli Stati Uniti il proprio riferimento, ha replicato che i 3.800 soldati della missione internazionale Kosovo force (Kfor) sarebbero pronti a intervenire “se la stabilità fosse messa a repentaglio”.

E Pechino? La Repubblica popolare cinese guidata da Xi Jinping è uno dei principali partner militari di Belgrado, come dimostra l’ultima consegna di missili terra-aria Hq-22 che non a caso è stata accostata dalle autorità cinesi all’installazione dei Patriot a Taiwan da parte degli Usa. Altro particolare non da poco: la legge sulle targhe è stata annunciata cinque giorni dopo l’incontro a Washington tra Kurti e il segretario di Stato americano, Antony Blinken. Non solo: la norma sarebbe dovuta entrare in vigore quello stesso 1° agosto, il giorno delle proteste, ma è stata rinviata di un mese su spinta della Casa Bianca. Lo scontro, per ora è solo verbale. E potrebbe avere nuovi risvolti, positivi o negativi, nell’incontro in programma il 18 agosto a Bruxelles tra Vučić e Kurti, quando sarà l’Unione europea, tramite l’alto rappresentante per gli Affari esteri, Josep Borrell, a tentare di trovare una mediazione sull’ultimo fronte di questa fase geopolitica ad alta tensione.

Di Filippo Merli