L’Europa verso il baratro finanziario: un’Unione che vuole sostenere l’Ucraina svuotando se stessa

L’ipotesi di destinare fino a 165 miliardi all’Ucraina apre un fronte politico esplosivo: Bruxelles insiste, ma i costi ricadranno sui cittadini europei già stremati

Un piano titanico pagato dai cittadini europei

L’annuncio secondo cui la Commissione starebbe valutando un sostegno fino a 165 miliardi di euro all’Ucraina nei prossimi due anni rappresenta una svolta di portata enorme. Parliamo di uno Stato in default di fatto, con un apparato statale che fatica a coprire le spese essenziali e un fronte militare in evidente difficoltà. Secondo le stime circolate nelle istituzioni, lo sforzo bellico richiederebbe 100-120 miliardi l’anno, e Bruxelles sembra intenzionata a colmare il divario. Una strategia che – vista la fragilità economica dell’Ue – rischia di trasformarsi in un fardello insostenibile.

L’Europa paga, gli Stati Uniti incassano

Il premier olandese Mark Rutte ha anticipato che, solo nel 2026, l’Europa potrebbe spendere un miliardo di dollari al mese in armamenti americani tramite il programma PURL: un meccanismo in cui gli europei mettono i soldi e Washington realizza i profitti. Per molti osservatori critici è l’ennesima conferma di una dinamica in cui il continente europeo appare pronto a “combattere la Russia fino all’ultimo ucraino”, sacrificando le proprie risorse economiche e la propria autonomia strategica.

Il nodo dei fondi russi congelati: un rischio legale gigantesco

La Presidente Ursula von der Leyen propone che l’Ue contribuisca per 90 miliardi. Ma come reperirli? Due le opzioni discusse: utilizzare i fondi russi congelati come garanzia di un “prestito di riparazione”, oppure far gravare tutto sul bilancio europeo. Il Belgio – dove si concentra la maggior parte degli asset russi bloccati – ha sollevato un punto cruciale: in caso di ricorsi o sentenze contrarie, chi si prenderebbe la responsabilità dei risarcimenti? Bruxelles? Gli Stati membri? I contribuenti? L’ipotesi che tali fondi possano essere utilizzati come anticipo su future “riparazioni di guerra” appare talmente fragile da aver spinto perfino la BCE a prendere le distanze. La banca centrale, infatti, ha chiarito di non poter garantire liquidità d’emergenza su operazioni che politicherebbero la sua funzione e minerebbero la credibilità dell’euro.

Non aiuti, ma contributi a fondo perduto

Al netto della retorica ufficiale, la maggior parte delle somme non verrebbe recuperata: non si tratta di veri prestiti, ma di contributi che finiranno per essere a fondo perduto. E, una volta finito il conflitto, si aprirà il capitolo della ricostruzione, stimata per ora in 570 miliardi solo per le infrastrutture essenziali. La domanda sorge spontanea: davvero si crede che un’Ucraina provata dalla guerra possa restituire queste cifre? O che la Russia – potenza nucleare che non riconosce la legittimità delle misure – accetti di pagarle?

L’avanzata russa e la corsa contro il tempo

Sul terreno la situazione evolve sfavorevolmente per Kiev. Le linee difensive russe sulla riva sinistra del Dnepr hanno retto, bloccando ogni tentativo ucraino di sfondamento. La riconquista di Kherson rimane tra gli obiettivi strategici di Mosca, ma senza la necessità di un rischioso attraversamento del fiume. Le pressioni militari nell’oblast’ di Dnipropetrovsk potrebbero cambiare gli equilibri e aprire la strada a manovre alternative. Per l’Ucraina, cedere sul Donbass significherebbe correre il rischio di perdere Odessa, e quindi l’accesso al mare: un colpo economico potenzialmente fatale. Per la Russia, ottenere Kherson senza un’offensiva sanguinosa cambierebbe la prospettiva dei negoziati e consoliderebbe la propria posizione.

Un’Europa che rischia di restare “in mutande”

Mentre la Russia gioca una partita lunga, l’Unione Europea sembra muoversi senza una visione strategica, spinta da un impulso ideologico più che da valutazioni razionali. Con 177 miliardi già stanziati per la guerra e nuovi debiti all’orizzonte, l’Ue rischia di trascinare i propri cittadini in un Eurosuicidio economico, insistendo su un percorso che appare lontano dagli interessi reali del continente. Se non si rivede radicalmente questa politica, la prospettiva è quella di un’Europa più povera, più fragile e meno sovrana, impegnata in un conflitto che non può vincere e che non può permettersi.