Manovra, Irap per le banche in aumento del 2% (da 4,65% a 6,65%), verso accordo con il Governo per l’anticipo di liquidità
Il governo e le banche hanno trovato un accordo per bloccare un ulteriore aumento dell'Irap agli istituti di credito, che arriverà quindi al 6,65%, grazie a un altro ricorso all'anticipo di liquidità
Banche e governo avrebbero raggiunto un accordo per il contributo alla manovra finanziaria. L’Irap verrà aumentata come previsto dal testo originale, del 2% quindi e non del 2,5%. Per compensare questa decisione lo Stato dovrebbe fare nuovamente ricorso all’anticipo di liquidità sulle Dta, come già accaduto nelle scorse leggi di bilancio.
Accordo governo-banche sulla manovra, verso l’Irap al 2%
Dal vertice dello scorso venerdì sarebbe emerso un accordo tra governo e banche per il contributo che gli istituti di credito dovrebbero dare alla manovra. In totale, l’esecutivo cerca 4,5 miliardi di euro, buona parte dei quali sono già inseriti nel testo originale della legge di bilancio uscito dal Consiglio dei ministri.
Le novità dovrebbero riguardare alcuni fondi aggiuntivi, ancora da stimare, che inizialmente la maggioranza avrebbe voluto ricavare da un ulteriore aumento dell’Irap. La manovra già prevede che l’Imposta regionale sulle attività produttive passi dal 4,65% a 6,65%. Alcuni emendamenti, spinti soprattutto dalla Lega, avevano però proposto un ulteriore innalzamento dello 0,5%.
Forza Italia si è però opposta, come spiegato dal capogruppo al Senato Gasparri: “Si dovrebbe arrivare a un’intesa che dovrebbe mantenere il rialzo Irap di due punti e non del 2,5% e si proseguirà, poi, sulla via delle intese per individuare altre soluzioni legate ai flussi di cassa”.
L’ultima frase di Gasparri è stata interpretata come un possibile ritorno dell’anticipo di liquidità sulle Dta. Le banche hanno una serie di crediti e vantaggi fiscali che mettono a bilancio perché permetteranno loro, in futuro, di pagare meno tasse. Sono le cosiddette imposte differite attive o Dta.
Il governo vuole chiedere alle banche di rimandare, per il 2026, i vantaggi previsti. Questo porterebbe gli istituti a pagare più tasse il prossimo anno, ma non avrebbe effetti negativi sui loro bilanci, visto che sarebbe soltanto, appunto, rimandare l’effetto di benefici che non vengono cancellati. Non sarebbe la prima volta che il governo Meloni ricorrerebbe a questo strumento: la stessa norma è già stata inserita nelle ultime due manovre finanziarie.