Carlo Messina (Intesa Sanpaolo): "Tra €1,4 trilioni di ricchezza gestita e €1,5 miliardi di utili destinati alla comunità nel 2023-27"

Il ceo sottolinea il ruolo strategico della banca per l’Italia, con 600 miliardi di titoli da collocare ogni anno e 137% il rapporto debito/Pil, puntando a crescita, coesione sociale e sostegno alle famiglie

Carlo Messina, da 12 anni consigliere delegato e ceo di Intesa Sanpaolo, ha come regola di comportamento il proverbio il silenzio è d'oro, ma quando parla è abituato a lasciare il segno. E, reduce dal riconoscimento di banchiere europeo per l'anno 2024 ottenuto una decina di giorni fa in Germania, lo conferma nell'intervista a tutto campo che segue.

Perché è importante l'uscita dell'Italia dalla procedura d'infrazione europea?

È una priorità strategica per il Paese. Significa la discesa del deficit sotto la soglia del 3 per cento sul prodotto interno lordo, che consentirà al governo di avere disponibilità adeguate per incidere sull'eccesso di diseguaglianze esistente oggi in Italia. È un obiettivo importante e i tempi sono maturi, grazie anche all'ottimo lavoro sul debito pubblico fatto dal presidente del consiglio Giorgia Meloni.

Il presidente del consiglio Meloni ha dichiarato che lei era d'accordo sul contributo che le banche potevano dare al risanamento dei conti pubblici. Può spiegarne il presupposto?

Senza dubbio negli ultimi anni a favore del sistema bancario hanno giocato diversi fattori, a partire dai tassi d'interesse elevati. Anche per questo le banche da subito si sono dette disponibili a dare una mano. Grazie all'ottimo lavoro di Giorgia Meloni sui conti pubblici, l'uscita dalla procedura d'infrazione comporterà un miglioramento delle condizioni strutturali del Paese di cui beneficia anche il settore bancario. Ma questo non significa essere messi sotto scacco come sta accadendo da almeno un paio di mesi, accusati di pensare soltanto agli utili immediati. Si trascura il fatto che siamo il pilastro del Paese e che il nostro settore rappresenta un'eccellenza in Europa. Non solo. Banche e assicurazioni hanno avuto, hanno e avranno un ruolo fondamentale per la tenuta dei conti pubblici. Sarebbe bene non dimenticarlo.

Qual è stato il contributo decisivo?

Abbiamo sostenuto il debito pubblico in momenti difficili, quando era fuori controllo e lo spread puntava quota 500. Il giudizio delle agenzie di rating era negativo e l'indice di gradimento dei titoli di Stato italiani era ai minimi. Banche e assicurazioni hanno fatto la loro parte quando i collocamenti di titoli pubblici andavano deserti. Così come, in tempi più recenti, abbiamo sottoscritto emissioni a tassi molto bassi, con conseguenti minusvalenze che ancora oggi nel bilancio di Intesa Sanpaolo superano i benefici di cui ho parlato prima.

E attualmente?

La richiesta dei supervisori europei è di ridurre la quantità dei titoli di Stato italiani che abbiamo in portafoglio. E insistono molto nel chiederlo. In Europa siamo un unicum. Banche e assicurazioni tedesche, ma anche francesi, sono a livelli di circa la metà. Questa è la ragione principale per cui non si fa l'unione bancaria. Senza il ruolo svolto da banche e assicurazioni nel finanziare il debito, lo Stato Italiano si troverebbe in condizioni molto più complesse. Attualmente, nel possesso di BoT e BTP, come Intesa Sanpaolo, siamo secondi solo alla Bce che, peraltro, sta riducendo la sua posizione. 

Che aria tira per il futuro? 

Si dovrebbe tenere a mente che banche e assicurazioni non sono controllate dallo stato. Quindi non sono condizionabili. Per questo occorre il gioco di squadra. Perché dobbiamo essere soltanto noi a pagare quando è necessario far quadrare i conti pubblici? Ci sono oggi, in Italia, 22 aziende con oltre 1 miliardo di utile netto all'anno. E soltanto 9 sono banche e assicurazioni. Metà delle altre sono a partecipazione pubblica. In un'ottica di sostegno ai conti pubblici, perché non pensare a una platea più ampia? Vedo un rischio nell'additare banche e assicurazioni come portatori di profitti da tassare in maniera eccessiva, anche se straordinaria. 

Quale Rischio? 

Indebolire l'asse portante della crescita del Paese. Negli USA sono le grandi aziende hi-tech, in Italia sono le Banche. 

La Loro redditività è molto elevata. È una virtù o un peccato grave? 

Le banche andrebbero considerate come risorse, non indebolite. Prendiamo l'esempio di Intesa Sanpaolo. Siamo grandi promotori della coesione sociale: riteniamo giusto che una parte degli utili servano per contrastare le diseguaglianze. Nel periodo 2023-27 quelli trasferiti dagli azionisti alla comunità saranno pari a 1,5 miliardi. E sarebbe un peccato doverli ridurre. Forse non tutti sanno che ogni anno destiniamo risorse rilevanti per aiutare i più deboli. Non solo, il 20% del capitale della banca è controllato da fondazioni, che a loro volta contribuiscono con sostegni al territorio. Poco meno del 20% fa capo a famiglie italiane, in buona parte pensionati che hanno investito nei titoli Intesa Sanpaolo, perché la reddittività delle azioni integra la previdenza. Perché inceppare o depotenziare questo meccanismo virtuoso? Ripeto, ritengo sbagliato questo atteggiamento nei confronti del sistema bancario in un Paese che deve ancora risolvere il problema del debito pubblico. 

Può ricordarlo?

In rapporto tra debito e prodotto interno lorde rimane elevato, intorno al 137%, un moloch da 3 trilioni di miliardi da fronteggiare. Significa 2,5 trilioni di finanziamenti con l'emissione di titoli che rendono necessario il collocamento annuale di 600 miliardi. La Bce sta riducendo la quota ed è scesa da 750 a circa 550 miliardi, il settore assicurativo a 250 miliardi, 50-100 miliardi i fondi d'investimento. Ricordiamo che le quantità acquistate dalla Bce continueranno a ridursi, mentre per le famiglie si prospetta la diminuzione dei tassi d'interesse. E, ricordo, ogni anno devono essere assorbite emissioni, al netto delle scadenze, per 160 miliardi. Se dovessero tornare situazioni d'emergenza, certo non potremmo contare sugli investitori esteri. Rimangono banche e assicurazioni italiane, che "gestiscono le terre rare del made in Italy": il risparmio degli italiani. Siamo un'azienda solida, in grado di creare valore per gli azionisti e per la comunità, un leader a livello europeo. Anche per questo, il giudizio delle agenzie di rating sub Intesa Sanpaolo è migliore di quello sullo stato italiano. Più esattamente per Moody's la classificazione è A contro Baa2, peraltro aumentata nei giorni scorsi, e per Fitch A- contro BBB+, premiando così la nostra credibilità e affidabilità.

Nella manovra in arrivo occorre fare di più per lo sviluppo economico? 

Il nostro Paese deve screscere di più. Solo con un aumento del PIL del 1,5%, record per l'Italia, nei prossimi 20 anni, arriveremmo a un rapporto tra debito e pil intorno al 100% 

Come sostenere la crescita? 

Di sicuro il Pnrr è servito e serve ancora, ma non basta. Fondamentalmente è il rapporto con la Germania, da cui dipende 1/3 dell'industria manifatturiera italiana. dopo due anni di recessione, la Germania imboccherà la strada della ripresa ed è prevedibile un'accelerazione. PEr noi può significare una spinta equivalente a quella data dal Pnrr. Occorre inoltre approvare
incentivi pubblici per sostenere gli investimenti delle imprese, esattamente come avviene in tutto il mondo: dagli Stati Uniti alla
Cina, dalla Germania alla Francia. Ciò dev'essere previsto nella manovra finanziaria in arrivo, insieme a interventi radicali per la sburocratizzazione e per la riduzione del costo dell'energia.
Occorre uno sforzo di semplificazione. L'importante è che queste risorse arrivino a chi ne può fare un motore di sviluppo, cioè alle imprese. E qui vorrei anche ribadire l'assoluta necessità di un intervento che riduca il debito pubblico grazie alla dismissione di immobili dello Stato e degli enti locali: in un arco pluriennale sarebbe possibile una valorizzazione fino a 200 miliardi.

L'accusa principale alle banche è di guadagnare grazie alla forbice dei tassi e alla gestione del risparmio, rendendo marginale l'attività tradizionale di concessione dei crediti. Cosa risponde?

Sono accuse strumentali e false. Come Intesa Sanpaolo stiamo facendo la nostra parte, perché ci consideriamo una banca per la crescita. Nei primi nove mesi del 2025 abbiamo aumentato del 40 per cento le erogazioni di finanziamenti alle imprese e, a fronte di un ulteriore impegno collettivo, siamo pronti a fare di più. Gli investimenti però non sono aumentati del 40 per cento... È vero, il credito erogato non va tutto in investimenti. Evidentemente non ci sono condizioni generali che spingano gli imprenditori a puntare ancora di più sulla crescita. Occorre accendere i motori dello sviluppo del Paese, di cui Intesa Sanpaolo si ritiene un pilastro, un'ancora imprescindibile.

Serve altro per dare una spinta allo sviluppo economico?

Una emergenza è l'aumento dei salari per i lavoratori e, in particolare, per i giovani. La considerazione è elementare:
senza risorse disponibili le famiglie non spendono. E se non spendono l'intero sistema virtuoso s'inceppa. Occorre pagare di più chi lo merita, valorizzare il capitale umano. È un errore grave non riconoscere adeguatamente l'apporto delle persone alla creazione di valore delle aziende. L'Italia è rimasta indietro in Europa su questo fronte, il terreno perso va recuperato. A partire dai giovani. Va contrastato il combinato disposto uscita dei giovani - calo delle nascite, che ha numeri preoccupanti. 

Cambiano i governi, ma l'evasione fiscale resta intorno al centinaio di miliardi l'anno. È accettabile? 

Nonostante gli sforzi per contrastarlo, resta un importo mostruoso, una vergogna per il nostro Paese. Oltre il 72% degli italiani dichiara redditi lordi fino a 29 mila euro, poco più del 5% ha redditi superiori a 55 mila euro e sopra i 100 mila euro risultano soltanto due italiani su 100. Ci rendiamo conto? Aggiungo che, secondo la corte dei conti, nel 2024 sono entrati nelle casse dello stato 12,8 miliardi di evasione a fronte di 72,3 miliardi accertati. Sono numeri imbarazzanti. 

Come è necessario intervenire sulle aliquote Irpef per le diverse fasce di reddito? 

C'è bisogno di una revisione complessiva, sempre tenendo fermo il principio della progressività delle aliquote in base ai redditi. 

Cosa pensa della patrimoniale? 

Non la condiviso come misura. Stiamo parlando di temi di notevole complessità. Ciò detto, personalmente sarei favorevole a dare il mio contributo, a condizione che il maggior ricavato vada a ridurre le diseguaglianze e non a finanziare la spesa pubblica improduttiva. 

Chi sono oggi i ricchi in Italia? 

Quelli identificati dal fisco sono certamente minori da quelli reali. Di sicuro la fotografia di chi paga le tasse non corrisponde alla realtà: vengono considerati ricchi i contribuenti che dichiarano tra i 60 e 100 mila euro di redditi lordi all'anno, peraltro una netta minoranza fatta soprattutto da pensionati e lavoratori dipendenti. Solo lo 0,2% degli italiani ha un reddito complessivo superiore a 300 mila euro lordi all'anno. Sono dati che parlano da soli. Alcuni provvedimenti, inoltre, sono discutibili: chi ha redditi elevati e riporta capitali in Italia se la cava pagano 200 mila euro all'anno di tasse, ora portati a 300 mila. Con delle conseguenze che trovo ingiuste. In alcune città, come Milano, si assiste a una bolla immobiliare. Dobbiamo accelerare la crescita ma senza generare ingiustizie.

Quanto valgono i capitali ottenuti illegalmente dagli italiani all’estero?

Secondo le ultime stime, non recentissime, risultano intorno ad almeno 200 barra 300 miliardi di euro. Ma occorre anche considerare le società che hanno trasferito le sedi in paesi, anche europei, dove la tassazione è più conveniente.
E anche in questo caso non è accettabile, occorre intervenire. Sono tanti tasselli da sistemare. Il governo Meloni sta gestendo bene i conti pubblici, ma sono ancora molti nodi da affrontare.

Qual è la strada per favorire il rientro di capitali?

Servono accordi con le banche internazionali in cui vengono custoditi i capitali italiani, soprattutto svizzere.

È preoccupato dalla situazione geopolitica?

Certamente è diventato un tema strategico anche per le banche e le imprese, una variabile destinata a rimanere strutturale. A partire dalla contrapposizione strategica tra Stati Uniti e Cina.spero che le guerre in corso finiscano al più presto, perché la pace è un valore irrinunciabile.

C’è un problema di povertà in Italia?

Sì, drammatico anche per questo c’è bisogno di crescita, di aumentare i salari, di lavorare sui giovani che non studiano e non lavorano. Occorre ridare quelle speranze che sono andate perse. Il paese non può permettersi uno spreco totale di risorse.

L’Europa non regge il ritmo di Stati Uniti e Cina nell’intelligenza artificiale nella difesa. È condannata alla marginalità?

Prima di tutto il problema europeo è la governance. I paesi europei non sono sempre d’accordo sulla strada da seguire e le decisioni non riescono a essere prese, perché condizione indispensabile è l’unanimità.il risultato, troppo spesso, è l’immobilismo. I punti di forza ci sono, a partire dal capitale umano e dal risparmio.ma proprio sull’utilizzo della ricchezza europea è necessario intervenire, perché oggi viene investito in maniera significativa all’estero.

Un problema anche italiano...

Esattamente. L'ordine di grandezza dell'uscita dei capitali in Italia, in questo caso perfettamente legale, è intorno a 50 miliardi. Risorse che, se impiegate nel nostro Paese, darebbero sostegno a iniziative imprenditoriali, occupazione, crescita.

C'è la tentazione tedesca di rimettere in discussione gli accordi che hanno portato alla nascita dell'Unione europea?

Movimenti anti Europa si trovano in tutti i Paesi. Non credo che alla Germania possa convenire separare la propria strada da quella europea. La forza tedesca è la connessione con altre industrie manifatturiere europee, a partire da quella italiana. L'alternativa e rappresentata dallo stringere sempre di più i collegamenti con Russia e Cina, ma e un percorso che si è rivelato perdente. Per questo vedo una Germania destinata a integrarsi sempre di più con l'Europa. La recente visita a Berlino di Sergio Mattarella ha confermato la solidità delle relazioni tra i due Paesi e il valore del ruolo del nostro presidente.

La Spagna, che secondo gli ultimi dati europei sta crescendo del 2,6 per cento, è diventata un modello di sviluppo. Come lo spiega?

Hanno puntato sulla crescita e sull'immigrazione che ha portato risorse importanti, ridotto la burocrazia che ostacola gli investimenti, dato opportunità adeguate di crescita al Sud del Paese. Nella sostanza è un modello da imitare anche se per quanto riguarda il Mezzogiorno italiano qualche novità si sta vedendo: il gap con il Nord sta diminuendo.

Il pendole della storia si sta spostando da Occidente e Oriente?

Per ritmi di sviluppo economico e crescita demografica è la cronaca di un evento annunciato. La differenza tra i Paesi asiatici, non soltanto India e Cina, e quelli occidentali è evidente. Credo che l'Occidente rimarrà protagonista, per elementi di forza quali capitale umano, mercati finanziari rilevanti, capacità di innovazione tecnologica e stato di diritto.

Il numero di nascite all'anno in Italia è ormai stabilmente sotto le 400 mila all'anno, considerato dai demografi il punto di non ritorno. Come rimediare?

E importante che ci sia consapevolezza della necessità e dell'urgenza d'intervenire. Ma occorre farlo con la determinazione e la progettualità necessaria: serve un pacchetto di iniziative, non singoli provvedimenti. E senza tabù, che significa intervenire promuovendo anche un’immigrazione intelligente.ci sono nel mondo bacini capitale umano a cui attingere, come appunto sta facendo la Spagna. I servizi sanitario nazionale era un modello per tutto il mondo. 

Oggi la tutela della salute è diventata forse la vera emergenza nazionale. Come uscirne?

Una delle ragioni per le quali, come banche ci siamo convinti a sostenere la manovra in arrivo e propria la necessità di sostenere i servizi sanitari nazionale. Più c’è povertà più si creano disuguaglianze che compromettono perfino il diritto alla salute. Il rischio e la tenuta sociale del sistema.

La sostenibilità e l’inclusione non sono più di moda. Ritiene che siano valori da archiviare?

Per la verità è soprattutto il green a essere meno di moda. Noi, come intesa Sanpaolo, continuiamo ad essere convinti che sostenibilità e inclusione rappresentino valori assoluti. Sempre mettendo al centro le persone e la loro dignità. Proprio le persone e quella dignità che rappresentano la priorità del nostro lavoro quotidiano.

La partita più importante per intesa Sanpaolo è il piano industriale che verrà annunciato in febbraio e che ha come carne nel completamento della trasformazione digitale. Significherà riduzione del personale necessità di professionalità diverse?

Il nostro modello di banca è costruito partendo dalle persone basato sulla massima tutela dell’occupazione e sulla creazione di nuovi mestieri, come nel settore del sociale dove lavorano già 1000 persone. Proseguiremo investire in tecnologia, dopo aver impiegato 5 miliardi di euro sostenuti nell’ultimo piano in via di conclusione. L’obiettivo rafforzare i servizi digitali e ai clienti risparmiare sui costi. Così la trasformazione digitale sarà completata trasferendo internamente le attività bancarie su cloud, cioè archiviando dati e utili utilizzando servizi senza necessità di memorizzarli o installarli.

Il problema della sicurezza vi preoccupa?

Abbiamo investito tanto continueremo a farlo. Il tema CEE è gestibile.

le banche hanno un nuovo concorrente: Revolut la società di tecnologie finanziarie con sede nel Regno Unito che offre servizi bancari che sta crescendo a ritmi potenziali.il sistema bancario italiano deve preoccuparsene?

Per quanto performanti, le tecnologie avanzate non riusciranno mai a sostituire la forza delle persone, del rapporto diretto con i clienti. Ecco perché il capitano umano per intesa Sanpaolo è strategico. Revolut nel rispetto della norma di vigilanza europea, può essere competitiva per alcune fasce di clientela come quella di giovani abituati alle tecnologie avanzate. Noi puntiamo sviluppare la nostra piattaforma Isytech. Resto convinto che la tecnologia, anche la più avanzata non potrà sostituire una banca come intesa Sanpaolo, il motore economico e sociale del paese.

Il provvedimento europeo sul golden Power è arrivato a giochi fatti oppure può riaprire la partita delle operazioni bancarie?

A fronte di un provvedimento per ora generico, il governo sta preparando i necessari chiarimenti. Credo che potrà avere conseguenze, favorendo alcune operazioni nel 2026. Troverei paradossale che il risultato fosse la vendita di una tra le principali banche italiane a un gruppo bancario francese, dopo averne bloccato l’acquisto da parte di un’altra banca italiana.

Vede stabilità nello scenario di quattro poli bancari come Intesa, Unicredit, MPS-Mediobanca e BPER-Sondrio più BPM?

Ancora non c’è un assetto destinato a durare e c’è spazio per nuove iniziative di aggregazione.

Anche per intesa Sanpaolo?

Per tutti tranne che per noi, in quanto le regole antitrust non ci lasciano spazio.

Crescerete in Europa?

Da un punto di vista strategico, c’è il rischio che una nostra scarsa diversificazione geografica venga vista come debolezza; abbiamo considerato diverse opzioni senza però procedere. Nonostante ciò, le agenzie di rating continuano a premiarci, perché il nostro punto di forza è la diversificazione delle attività: dei servizi alle imprese alle gestioni patrimoniali, dall’investimento banking alle assicurazioni.

Nel prossimo piano industriale saranno previste operazioni in Europa? No.

Intesa Sanpaolo è l’unico gruppo bancario vicino a ai 1000 miliardi di ricchezza in gestione. Quali sono le opzioni per un salto dimensionale a livello europeo?

In realtà siamo a quota 1,4 miliardi, perché vanno considerati i depositi delle famiglie. La crescita sarà per le linee interne.

L’unione con il risparmio gestito di generali creerebbe un grande polo italiano.

È una possibilità Siamo due business diversi. Un assicurativo l’altro bancario. Nulla del genere è allo studio anche se nell’asset management cresceremo.

Nell’anno in corso i bilanci delle assicurazioni hanno subito meno i danni delle catastrofi naturali. Hanno ragione i negazioniste sulla crisi climatica?

Sbagliano perché occorre tenere alta attenzione ai temi ambientali anche se forse in passato si è esagerato.

Le quotazioni attuali delle borse internazionali, molto elevate, autorizzano qualche Preoccupazione?

Non c’è dubbio che siano ai massimi di sempre. In particolare, le società high-tech che, almeno in alcuni casi, hanno quotazioni molto elevate. Il rischio bolla non si può illudere ma va tenuto presente che sono in larga parte aziende autofinanziate. La scommessa è duplice. Una è se studenti intelligenza artificiale riusciranno a reggere il ritmo di enorme investimenti, necessaria garantire una redditività adeguata in linea con la tesi.l’altra è se l’energia disponibile sarà sufficiente ad alimentare i Center. Se la doppia scommessa verrà vinta gli effetti potranno essere straordinari.

Fonte: Il Sole 24 ore 
autore: Fabio Tamburini