Dazi Usa al 15%, le strategie di marketing per salvare l’Agroalimentare Made in Italy: collaborazioni locali, vendita diretta e mercati alternativi

Nel giorno dell’entrata in vigore dei Dazi, nonostante le incertezze a cui ci ha abituati l’amministrazione Trump, bisogna elaborare nuove strategie per non sfilacciare il rapporto con i consumatori americani e per limitare le perdite di fatturato. Il marketing è sempre una buona soluzione per mettere in pratica delle azioni mirate a mantenere il mercato, oppure a trovarne di nuovi

Dal 7 agosto 2025, alle 6.00 ora italiana (mezzanotte per Washington), sono entrati ufficialmente in vigore i nuovi dazi USA del 15% sulle importazioni dall’Unione Europea. Una misura che, ancora una volta, colpisce in modo diretto e significativo il comparto agroalimentare italiano. In particolare, l’aumento delle tariffe riguarda prodotti simbolo del Made in Italy, come il vino, l’olio extravergine di oliva, la pasta, i formaggi DOP e i salumi. Settori chiave per l’economia italiana, trainanti per l’export e ambasciatori nel mondo della cultura enogastronomica nazionale.

Le previsioni sono preoccupanti: si parla di una perdita potenziale fino a 10 miliardi di euro entro fine anno, considerando anche l’impatto indiretto sul turismo e sulla domanda interna. In questo contesto, le imprese
italiane non possono limitarsi a subire passivamente il colpo. Occorre reagire con strumenti concreti e strategie intelligenti. Il marketing può essere una leva fondamentale: non solo per contenere gli effetti negativi, ma per rilanciare la competitività dei nostri prodotti e consolidare la presenza sul mercato statunitense.

Il Made in Italy soto pressione: tra valore percepito e posizionamento

I nuovi dazi si inseriscono in una politica protezionistica già nota da parte dell’amministrazione Trump, che mira a riequilibrare la bilancia commerciale americana. Tuttavia, il comparto agroalimentare italiano – che ha costruito negli anni una reputazione fondata sulla qualità, sulla tradizione e sull’identità territoriale – risulta particolarmente vulnerabile. L’incremento del 15% sui dazi doganali si traduce in un rincaro medio del 20-25% sul prezzo finale dei prodotti italiani sugli scaffali americani. Una condizione che rischia di far perdere competitività, in particolare alle PMI e ai prodotti di fascia alta.

La vera forza del Made in Italy, tutavia, risiede nel valore percepito: il vino, l’olio, la pasta o un formaggio italiano non sono semplici beni di consumo, ma simboli culturali. Per questo motivo è fondamentale agire sulla comunicazione del valore, affinché il consumatore statunitense continui a scegliere l’eccellenza italiana anche a fronte di un prezzo maggiore.

Diventa cruciale, dunque, rafforzare lo storytelling territoriale, migliorare la comunicazione visiva, rendere trasparente l’origine del prodotto, investire nella formazione del consumatore e contrastare in modo deciso il fenomeno dell’italian sounding. Una comunicazione più consapevole, autentica e coerente può fare da scudo contro l’impatto dei dazi, valorizzando la vera italianità rispetto alle imitazioni presenti sul mercato.

Strategie di marketing per reagire ai dazi: tra innovazione e adattamento

Affrontare l’aumento delle barriere commerciali richiede una revisione delle strategie di posizionamento e vendita. Un primo passo è la ristrutturazione dell’offerta: alcune aziende possono introdurre formati ridotti o confezioni intelligenti pensate per l’export, altre possono sviluppare edizioni limitate o packaging narrativi che ne elevino il valore simbolico. L’obiettivo è mantenere margini sostenibili senza uscire dal mercato.

Allo stesso tempo, si rende necessario accorciare la filiera, puntando sulla vendita diretta. Le tecnologie digitali offrono oggi la possibilità di dialogare direttamente con il consumatore americano, grazie a e-commerce proprietari in lingua inglese, marketplace verticali, social commerce e sistemi di tracciamento degli acquisti. Questo non solo permette di abbassare i costi intermedi, ma offre anche la possibilità di fidelizzare
il cliente e costruire una community attorno al prodotto.

Un altro fronte su cui è possibile intervenire è quello delle collaborazioni locali. Chef, ristoratori, micro-influencer e wine club americani rappresentano partner ideali per presidiare il territorio e attivare il
passaparola. In molti casi, il consiglio di un professionista o di un esperto locale può avere un impatto decisivo sulla percezione di un prodotto italiano.

Un esempio concreto di come le partnership sul territorio possano fare la differenza arriva dalla California, dove un consorzio di produttori vinicoli italiani ha stretto un accordo con diversi wine club locali e chef
rinomati per promuovere degustazioni e cene a tema. Questa sinergia ha permesso di far apprezzare il valore autentico del vino italiano, creando un passaparola positivo e una fidelizzazione duratura. Questo tipo di collaborazione va ben oltre la semplice attività commerciale: è una costruzione di relazioni che genera fiducia, aumenta la percezione del brand e sostiene la crescita a lungo termine. Aziende che investono in queste partnership riescono a presidiare meglio il mercato americano, soprattutto in un momento di difficoltà legato all’aumento dei dazi.

Infine, va potenziata la componente educativa: degustazioni guidate, masterclass online, contenuti culturali e storytelling di filiera possono aiutare il consumatore americano a comprendere il valore aggiunto del Made in Italy, oltre il prezzo. È proprio nei momenti di crisi che la qualità e la cultura del prodotto diventano strumenti strategici di differenziazione.

Parallelamente, è fondamentale esplorare mercati alternativi. Il calo della convenienza nell’export verso gli USA può e deve spingere le imprese italiane a guardare verso Sud America, Asia e Africa. L’area Mercosur
rappresenta un bacino interessante, grazie alla crescita della classe media e a una crescente domanda di beni alimentari europei. Allo stesso modo, l’Africa subsahariana – in particolare paesi come Nigeria, Kenya, Ghana
e Sudafrica – si sta affermando come nuovo polo di consumo per l’agroalimentare premium. In queste regioni, l’interesse per l’Italia è forte e ancora poco presidiato: cogliere questa opportunità ora significa guadagnare un vantaggio competitivo nel medio termine.

Dazi e protezionismo: un’arma a doppio taglio nella storia economica

La teoria economica ha più volte dimostrato che i dazi sono strumenti di breve periodo, pensati per proteggere le produzioni interne ma spesso destinati a creare distorsioni di mercato. Dalla teoria del vantaggio comparato di David Ricardo alle analisi contemporanee di Krugman, è evidente come il protezionismo finisca spesso per danneggiare anche chi lo impone.

Già nel 1930 gli USA e il Presidente Herbert Hoover introdussero la tariffa Smoot-Hawley, imponendo dazi su 20 000 merci per rilanciare l’economia dopo la crisi del 1929. Tuttavia, la misura aggravò la crisi interna,
provocando inoltre reazioni protezionistiche globali.

Come già accaduto, le conseguenze dei dazi non si faranno sentire solo sull’export europeo, ma anche sul mercato interno: i consumatori americani si ritroveranno con una scelta ridota e con prezzi più alti. Molte
associazioni di categoria negli USA – in particolare tra ristoratori, importatori e rivenditori – hanno già espresso preoccupazione per gli effetti a catena sulla filiera. Inoltre, l’adozione di barriere tariffarie tende a
incentivare i paesi colpiti a cercare nuovi mercati, riducendo progressivamente la dipendenza dagli Stati Uniti e accelerando la nascita di nuove alleanze economiche regionali.

In sintesi, i dazi raramente raggiungono gli obiettivi che si prefiggono. Anzi, possono risultare controproducenti per la stessa economia che intendevano proteggere. La storia lo insegna, e l’attualità lo conferma.

Incertezze e strategie politiche nascondono spesso delle opportunità

I dazi USA al 15% sulle eccellenze agroalimentari italiane rappresentano una sfida complessa e, per certi versi, ingiusta. Tuttavia, possono diventare anche un’opportunità per innovare, differenziare, comunicare meglio e
conquistare nuovi mercati. Il marketing inteso non solo come promozione, ma come leva strategica e culturale ha un ruolo chiave in questo processo.

Le imprese italiane devono ripartire dalla loro unicità: qualità, tradizione, narrazione e autenticità. Solo così sarà possibile non solo resistere, ma rilanciare il Made in Italy in uno scenario globale in continua evoluzione.
In fondo, vendere un vino, un formaggio o un olio non significa vendere un semplice prodotto, ma un racconto, uno stile di vita, una visione del mondo. E il mondo, nonostante tutto, ha ancora fame d’Italia.

di Nicola Durante