Ops UniCredit-Banco BPM, il Parlamento Ue solleva dubbi sul golden power: "Criticità legali, economiche e rischio conflitti Ue-Italia"
Un’analisi tecnica dell’ufficio studi dell’Europarlamento evidenzia tensioni tra normative nazionali ed europee e mette in discussione l’efficienza delle misure imposte dal governo
Un’analisi dell’ufficio studi del Parlamento europeo solleva osservazioni critiche sull’utilizzo del golden power nel caso dell'operazione tra Unicredit e BancoBpm. Il documento, redatto dall’unità Economic Governance and EMU Scrutiny e firmato da Ronny Mazzocchi e Kai Gereon Spitzer, è stato preparato in vista di un’audizione della presidente della Vigilanza Bce, Claudia Buch. Pur non riflettendo una posizione politica ufficiale dell’Europarlamento, il testo rappresenta un parere tecnico circostanziato. Secondo quanto si legge, l’attivazione del golden power in questa vicenda «solleva questioni critiche» dal punto di vista legale, «mina la logica» economica dell’operazione ed «evidenzia un conflitto potenzialmente grave tra approcci regolatori europei e nazionali».
In particolare, l’analisi segnala che l’intervento del governo «estende significativamente la logica originale della disciplina che è stata concepita come uno strumento per limitare interferenze straniere in settori strategici». Sebbene la normativa consenta l’applicazione del golden power anche a operazioni domestiche, secondo i tecnici del Parlamento Ue questo sarebbe «il primo caso significativo in cui il governo ha imposto condizioni vincolanti in un deal tra banche italiane».
Le implicazioni economiche: vincoli alla logica di mercato
Oltre agli aspetti giuridici, l’analisi parlamentare si sofferma sugli effetti economici delle condizioni imposte dal governo italiano. Viene riconosciuto che le operazioni di fusione «mirano a generare sinergie, sbloccare efficienze di scala e consentire un’allocazione del capitale più agile», ma si osserva come, in questo caso, «le condizioni imposte dal governo italiano interferiscono con questi obiettivi». In particolare, viene considerato penalizzante il requisito di mantenere per cinque anni il rapporto prestiti/depositi di BancoBpm, una clausola che – secondo il report – «può impedire a Unicredit di ottimizzare le strategie di finanziamento e prestito in risposta all’evoluzione dei mercati». La nota prosegue affermando che «una tale rigida restrizione non è solo economicamente inefficiente, ma mina anche la possibilità per la banca di ricalibrare l’attività di prestito in linea con i cicli di liquidità e l’andamento dei tassi».
Un’ulteriore criticità riguarda l’obbligo imposto alla società di gestione del risparmio Anima di mantenere l’investimento in titoli di Stato italiani. Secondo il documento, «imporre questa condizione obbligatoria trasforma ciò che dovrebbe essere una decisione di investimento basata sul mercato in uno strumento di policy de facto. Inoltre tali condizioni distorcono l’indipendenza degli asset manager». Tali vincoli, dunque, interferirebbero con la libertà operativa degli attori finanziari e con l’efficienza del mercato.
L’uscita dalla Russia: un vincolo non interamente sotto controllo
Tra i requisiti previsti dall’intervento statale vi è anche l’obbligo, per Unicredit, di uscire dalla Russia entro nove mesi. Su questo punto, l’analisi evidenzia che «la chiusura o la vendita di attività bancarie nel Paese non è esclusivamente sotto il controllo di Unicredit, ma è soggetta all’approvazione delle autorità russe». Viene quindi messo in luce un potenziale limite operativo, in quanto il rispetto della condizione potrebbe non dipendere integralmente dalla volontà della banca, ma essere subordinato a fattori geopolitici e normativi esterni.
Divergenze regolatorie tra Italia e Ue: il rischio di contenzioso
Il documento segnala anche un possibile contrasto tra il quadro normativo nazionale e quello dell’Unione Europea. Secondo i tecnici dell’ufficio studi del Parlamento, la situazione «potrebbe portare a un più ampio confronto legale con possibili procedimenti di infrazione o rinvii alla Corte di Giustizia» ed «evidenzia la sfida di conciliare gli interessi nazionali con i principi del mercato unico, in particolare in settori sensibili come quello bancario e finanziario». L’analisi si inserisce quindi in un dibattito più ampio sulle implicazioni della sovranità economica rispetto ai vincoli europei e alla coerenza normativa all’interno dell’Unione.
La soglia di default e il mancato intervento dell’Eba
Infine, la nota richiama anche la questione della soglia oltre la quale un credito viene considerato deteriorato. In particolare, viene evidenziato che l’Eba non ha dato seguito al mandato politico del Parlamento e del Consiglio Ue, che avevano chiesto una modifica della soglia di ristrutturazione (attualmente fissata all’1%) – richiesta sostenuta anche dall’Abi. L’assenza di un adeguamento in tal senso viene implicitamente letta come una mancata risposta alle preoccupazioni espresse dalle istituzioni europee e dal sistema bancario italiano.