Mercato auto, ancora lontana invasione dei marchi cinesi in Italia, oggi valgono solo l’1,5% e il futuro resta incerto

I marchi cinesi rappresentano un misero 1,5% del mercato auto nazionale, nonostante le vetture cinesi, a parità di caratteristiche tecniche, costino un 15-30% in meno della media di mercato del Vecchio continente

Da alcuni anni si parla di una invasione cinese nel mercato automobilistico europeo. Con l’Italia esposta più di altre nazioni, avendo sostanzialmente perso il grande presidio un tempo rappresentato dalla Fiat. Ma le cose stanno davvero così?

Dando una occhiata alle puntuali tabelle prodotte da Unrae (Unione nazionale rappresentati autoveicoli esteri) per gli autoveicoli immatricolati in Italia nei primi quattro mesi del 2025, la presenza cinese non è poi così preoccupante. Quanto ai marchi nativi cinesi, e quindi percepiti come cinesi anche dagli acquirenti meno attenti, il più importante è Byd, con 5.654 veicoli venduti tra gennaio e aprile 2025 e una quota di mercato dello 0,97% praticamente conquistata solo nel 2025 (nel 2024 il brand era sostanzialmente assente); poi c’è Omoda&Jaecoo con una quota dello 0,51% (pure questa raggiunta nel solo 2025) e 2.995 automobili vendute; infine Lynk&co con lo 0,03% di quota, dimezzata rispetto allo 0,06% del primo quadrimestre 2024, e appena 151 auto vendute.

Tutto qui, un misero 1,5% del mercato auto nazionale. Le altre griffe cinesi, tipo Dfsk, Aiways, Nio o Xpeng hanno numeri talmente piccoli in Italia da non essere neppure citate.

Insomma, siamo ancora lontani dal 14,1% di quota conquistato invece in Italia dai marchi giapponesi nel primo quadrimestre del 2025 (Toyota con il 7,63%, Nissan 2,63%, Suzuki 2,05%, Mazda 0,65%, Honda 0,53%, Lexus 0,39%, Subaru 0,13% e Mitsubishi 0,1%), o dal 5,6% dei brand della Corea del Sud (Hyundai al 2,87%, Kia al 2,73%, Ssangyong allo 0,01%).

Attenzione, tuttavia, a trarre conclusioni errate.

I cinesi, infatti, per penetrare il mercato italiano lavorano su un doppio fronte: da un lato si affidano ad assemblatori italiani che poi si propongono sul mercato come brand nazionali, anche se in realtà non fanno altro che terminare sulla Penisola il montaggio di vetture fabbricate sostanzialmente in Cina. E’, ad esempio, il caso di Dr Automobiles, la società di Isernia, che è presente col suo brand Dr (quota dello 0,95% nel primo quadrimestre 2025, in calo rispetto al’1,01% del 2024), e che poi commercializza pure altri propri marchi, sempre però di origine cinese, come Evo (0,41% di quota, in crescita con 2.414 automobili venute tra gennaio e aprile 2025) e Sportequipe (0,12% di quota, stabile). Inoltre c’è la società bresciana Emc, che, pure lei, assembla in Italia auto prodotte in Cina e ha una quota dello 0,14% (0,08% nel 2024). E anche Cirelli fa lo stesso, ma i suoi numeri sono ancora troppo piccoli per essere rilevati.

L’altra strada utilizzata da Pechino per arrivare sui mercati occidentali è stata l’acquisizione di marchi storici, come Volvo, MG, Lotus o Smart. Le cui vetture conservano il loro sapore svedese, inglese o tedesco. Ma sono in buona parte realizzate in Cina.

MG è quello in crescita più prepotente: nel primo quadrimestre 2025 ha conquistato in Italia una quota del 3,58% delle immatricolazioni, con 20.844 vetture vendute (+53,6% sullo stesso periodo del 2024). Volvo è invece in calo allo 0,86% di quota (1,22% nel 2024), Lotus è una extra nicchia da 93 auto vendute (-22% sul 2024), mentre Smart non va oltre le 300 auto vendute ed è in caduta libera del 74,6% rispetto al 2024.

Giusto per rendere ancora più labili i confini del significato di “auto cinesi”, va infine ricordato che i grandi gruppi cinesi sono azionisti o hanno partnership con la gran parte dei colossi automobilistici asiatici, europei e americani. Per esempio, il maggiore azionista di Mercedes Benz group, col 10%, è il cinese Shu Fu Li, presidente di Geely e di Volvo. Molte Tesla, Polestar, Dacia, Citroen e Bmw, per citare solo alcuni marchi, sono costruite a Pechino o Shanghai.

In conclusione, secondo AlixPartners, nel 2030 i brand cinesi avranno comunque una quota del 70% del mercato automobilistico interno e raddoppieranno il loro peso in Europa (dal 6 al 12%). Al momento le vetture cinesi, a parità di caratteristiche tecniche, costano un 15-30% in meno della media di mercato del Vecchio continente. Ma l’introduzione di dazi e una frenata dell’elettrico, tuttavia, potrebbero rallentare tutto.

Di Claudio Plazzotta