Milano, cantieri bloccati, 150 progetti fermi, a rischio € 5mld nel breve e € 38mld di investimenti futuri; necessarie 9.300 case l’anno

Servono regole certe: il “Salva Milano” tenta di superare 80 anni di normative edilizie, ma restano dubbi sull’efficacia nel garantire sviluppo urbano; i prezzi alti escludono il ceto medio e le fasce vulnerabili dipendono dal pubblico

Milano è di fronte a una crisi immobiliare di proporzioni enormi: secondo Filippo Oriana, presidente di Aspesi, sono bloccati 150 progetti residenziali per un valore complessivo di 5 miliardi di euro. Questo stallo non solo frena lo sviluppo urbano ma mette a rischio un potenziale di 38 miliardi di euro di investimenti nei prossimi anni, secondo uno studio di Scenari Immobiliari.

L'analisi del professor Carlo Cottarelli evidenzia un dato allarmante: per rispondere alla crescita della popolazione, Milano necessita di 9.300 nuove abitazioni all'anno fino al 2039. Nel 2024, invece, ne sono disponibili appena 2.500, una produzione inferiore del 250% rispetto al fabbisogno reale.

Il mercato immobiliare al collasso

Per raggiungere l'obiettivo di 9.300 case all'anno, sarebbe necessario un mercato più dinamico. Oggi, meno del 12% delle abitazioni vendute è costituito da nuove costruzioni, una percentuale che dovrebbe triplicare per allinearsi alle esigenze della città. Tuttavia, i prezzi esorbitanti continuano a escludere il ceto medio, mentre le fasce più vulnerabili restano affidate esclusivamente all’intervento pubblico.

Secondo Oriana, ampliare l’offerta potrebbe contribuire a ridurre i prezzi, sia delle nuove abitazioni sia dell’usato. "Le case nuove non restano mai invendute", sottolinea il presidente di Aspesi. Le nuove costruzioni potrebbero essere concentrate oltre la terza cerchia filoviaria, dove i costi dei terreni sono più bassi e interi quartieri degradati potrebbero rinascere.

Un sondaggio Aspesi stima che, con interventi mirati su aree già di proprietà, potrebbero essere costruite 6.500 nuove abitazioni in periferia. Questo numero potrebbe raddoppiare coinvolgendo altri costruttori e soggetti finanziariamente solidi, a patto che il “Salva Milano” — il pacchetto normativo pensato per sbloccare la situazione — si riveli efficace.

Lo scoglio normativo: un'eredità del 1942

Uno dei principali ostacoli risiede nella normativa urbanistica. Le leggi fondamentali risalgono al 1942, integrate solo marginalmente dalla "legge ponte" del 1967. Tra il 2002 e il 2020 sono state introdotte nuove disposizioni per favorire demolizioni e ricostruzioni, ma senza modificare esplicitamente il quadro normativo originario.

La magistratura contesta questa discrepanza, sostenendo che le leggi più recenti non derogano quelle del 1942. Il “Salva Milano” cerca di colmare queste lacune con interpretazioni giuridiche più flessibili, ma resta da vedere come saranno applicate, specialmente per quanto riguarda la valutazione dell'interesse pubblico dei progetti.

La sanatoria, opzione esclusa per non danneggiare ulteriormente la credibilità del settore, avrebbe potuto alleggerire la pressione legale ma a un costo reputazionale altissimo, considerando anche l’attuale aumento dei tassi di interesse che scoraggia gli investitori.

Scia o permesso di costruire?

Un ulteriore nodo riguarda le modalità operative: oggi molti interventi di demolizione e ricostruzione avvengono tramite la Segnalazione Certificata di Inizio Attività (Scia), che accelera i tempi ma lascia i cantieri esposti a possibili stop del Comune.

Secondo Oriana, questo sistema è un compromesso. “Con il permesso di costruire, il Comune approva esplicitamente il progetto, garantendo maggiore certezza. Se fosse possibile ottenere autorizzazioni in tempi rapidi, come a New York, le imprese lo preferirebbero”.

Intanto, Milano resta intrappolata in una paralisi che soffoca le ambizioni della città e minaccia di trasformare una crisi abitativa in una vera e propria emergenza sociale.