Gli effetti distorsivi dell'IMU sull'economia reale

Uno "spettro" si aggira per l'Europa ed è l'imposta patrimoniale.

In Italia la conosciamo già con il famigerato acronimo di I.M.U.

Introdotta dal governo Monti risultava strutturata come una vera e propria imposta patrimoniale in quanto assoggettava a tributo l'intero patrimonio immobiliare degli italiani: abitazioni, negozi, uffici, capannoni, aree edificabili.

In tal modo l'allora governo Monti assecondava quello che da sempre era stato l'obiettivo europeo: e cioè quello di far cassa sul patrimonio immobiliare degli italiani in quanto, esempio più che unico in Europa, di appartenenza, quasi per la totalità, ai privati cittadini personalmente o a mezzo veicoli societari.

L'obiettivo europeo di "spremitura" della proprietà immobiliare italiana con una patrimoniale strutturale rimaneva però in parte frustrato per due motivi che ancora l'Europa non ci perdona.

Il primo derivante dalla pervicace e vittoriosa volontà politica del Presidente Berlusconi di escludere la prima casa dal perimetro di applicazione dell'I.M.U. ed il secondo dalla mancata armonizzazione del sistema catastale italiano strutturato in forma reddituale e non patrimoniale.

Con il governo Monti l'Europa ritornò alla carica per riportare l'IMU quale imposta patrimoniale nel perimetro originario (che comprendesse anche le prime case) ma che soprattutto fosse funzionale ad un gettito di gran lunga superiore a quello, pure notevole, dell'IMU originario.

Siccome non si poteva parlare in un governo di coalizione come quello di Draghi di imposta patrimoniale ci si inventò la "perculata" della revisione delle rendite catastali.

Facendosi scudo della richiesta della Commissione Europea la quale nelle sue raccomandazioni aveva richiesto al nostro Paese, in un astuto gioco di sponda, di rivedere i valori catastali non aggiornati.

Con il plauso naturalmente di tutta la sinistra forcaiola, manettara e di tassazione del patrimonio altrui che si faceva forte del principio, apparentemente di buon senso, che le rendite catastali attuali penalizzassero gli immobili di periferia per favorire quelli situati in zone più centrali.

Tale argomentazione, purtroppo propugnata dallo stesso premier Draghi, aveva (ed ha) un unico pregio: quella di non essere vera.

Il nostro Catasto è una delle macchine della pubblica amministrazione più efficiente e dotato delle migliori tecnologie informatiche .

Le metodologie di accatastamento, i criteri di censimento, la velocità di recepimento delle variazioni del catasto sono performanti  ed altamente digitalizzate. 

E allora perchè addossare ad una amministrazione efficiente la "colpa" di una inesistente inefficienza?

Il vero problema era (ed è) l'IMU.

L'IMU che nessuno aveva il coraggio di chiamare "imposta patrimoniale" viene calcolata, all'attualità, sulla rendita catastale la quale per dettato normativo risponde a criteri reddituali e non patrimoniali.

Di cui la necessità per rendere la rendita catastale, di fatto, una imposta patrimoniale dell'utilizzo di coefficienti di moltiplicazione della rendita catastale variamente modificati nel tempo.

Il problema quindi non è la rendita catastale (che assolve benissimo il suo dovere).

Il problema è l'IMU che per essere in tutto e per tutto una imposta patrimoniale necessita, come base di calcolo, del valore di mercato dell'immobile e non della rendita catastale.

Quindi nell'ottica europea e, spiace dirlo, del governo Draghi dietro l'innocente (e furbesca) locuzione "riforma del catasto" deve leggersi imposta patrimoniale".

In buona sostanza quello che l'Europa e le sue truppe ascare si ostinano a non voler dire è il fatto che la rendita catastale non è, normativamente, una rendita "di valore commerciale" ma di "valore reddituale" questo perchè il legislatore del dopoguerra aveva ben presente che fenomeni imponderabili (le guerre e le pandemie) oggi come allora potessero abbattersi sul valore commerciale degli immobili fin quasi ad azzerarli e che quindi parametrare l'imposta su un valore variabile come quello di mercato rispetto ad un valore da assumere come fisso per la durata di decenni avrebbe comportato (stante l'impossibilità anche per il miglior Catasto del mondo di cambiare rendite continuamnte ed in tempo reale) enormei ingiustizie fiscali. 

Si scelse quindi il metodo cosiddetto "reddituale" (ed è per questo che si chiama "rendita catastale") che parametra l'imposizione fiscale sull'immobile ad una rendita figurativa che proiettava su tempi mediamente lunghi consente di contenere se non di eliminare, il problema delle oscillazioni che presenta invece il valore di mercato. 

Ed è pure, economicamente più corretto in quanto il valore dell'immobile è dato, soprattutto, da quanto esso messo a profitto può "rendere".

La vittoriosa volontà politica del Presidente Berlusconi e l'impianto normativo catastale rendono quindi all'attualità l'IMU un'imposta patrimoniale che, secondo l'Europa, non produce i redditi sperati in tema di gettito fiscale.

Da qui la pervicacia con cui l'Europa cerca, in ogni modo, di riestendere il perimetro applicativo dell'IMU non solo anche alle prime case ma anche sostituendo il metodo reddituale catastale a quello patrimoniale.

Il governo Draghi ci provò.

Ma l'ostinazione del Presidente Berlusconi (e delle altre componenti del centro - destra) impedì l'introduzione dell'IMU quale patrimoniale generalizzata.

Ma ha senso per l'economia italiana l'IMU attuale che finisce per gravare esclusivamente su negozi, capannoni, aree di sviluppo edificatorio e seconde case?

La risposta, come al solito, la dà l'economia reale.

Ora nell'economia reale il valore di un bene è direttamente parametrato non tanto e non solo alle sue caratteristiche estrinseche (ubicazione, pregio costruttivo, vetustà) ma soprattutto al canone locativo: e cioè a quanto esso può rendere.

La ferocia dell'IMU (alla quale sono state tolte milioni di unità immobiliari) si abbatte pertanto su negozi, uffici e capannoni produttivi di reddito e comunque funzionali al commercio, all'impresa ed al terziario nonchè delle seconde case.

Naturalmente il peso dell'IMU diviene parte integrante del canone di locazione (il quale a sua volta, come detto, diviene il parametro del valore dell'immobile) con una sostanziale inevitabile traslazione del peso del carico fiscale dalla proprietà al conduttore.

E' di tutta evidenza che tale traslazione, quale legittima difesa del contribuente, diviene possibile per quei negozi ed uffici maggiormente appetibili per il mercato (per di più collocati nelle aree centralissime delle grandi metropoli).

Per i negozi ed uffici periferici l'IMU rappresenta una sostanziale agonia  in quanto il canone di locazione non può naturalmente essere inferiore all'IMU medesima ed alle altre imposte fondiarie che, in tali realtà, spesso superano il canone di locazione richiesto.

Da qui la necessità per gli uffici di un ritorno ad uso abitativo che consenta di poter riportare quelle unità nel perimetro di esclusione dell'IMU e per i negozi rimane la chiusura e l'abbandono o la locazione a "stranieri" più o meni regolari che, quantomeno, assicurino di "coprire le spese".

In alcune zone di Roma soprattutto sul versante della Casilina (ma non solo) non vi sono quasi più negozi gestiti da italiani.

Per le seconde case la difesa del contribuente dalla patrimoniale IMU risulta differenziata dall'ubicazione dell'immobile.

Nelle grandi città d'arte le seconde case possono costituire un valido mercato per i cosiddetti "affitti brevi" i cui introiti riescono a compensare la ferocia impositiva della patrimoniale.

Fanno sorridere le lamentele di quei sindaci che si lamentano del fenomeno.

Con l'IMU con cui "affliggono" le seconde case le affittassero loro, quelle di loro proprietà, a prezzi calmierati.

Ma normalmente tali sindaci non sono proprietari sono affittuari di qualche ente e quindi poco sensibili al tema in quanto non direttamente interessati al pagamento del tributo.

Per coloro invece le cui seconde case, spesso ereditate, risultano lontane dai centri storici delle città d'arte o situati in piccoli borghi (di cui spesso non si ricorda più nemmeno il nome) sono "condannati a vita" al pagamento.

Qualcuno ha tentato la via dell'abbandono liberatorio.

Ma la giurisprudenza tributaria, more solito, è corsa in soccorso dell'amministrazione finanziaria dichiarando che da un immobile non si può "divorziare", il rapporto è a vita per sè, successori ed aventi causa.

Per i capannoni industriali la situazione risulta ancora più paradossale essendo funzionali all'impresa.

Le attuali tendenze rendono evidente che, per quanto concerne il patrimonio abitativo, vi sarà sempre più ricorso all'utilizzo della prima casa per sottrarre le abitazioni ad una patrimoniale forzosa.

Rimarranno solo i negozi: per cui potremmo assistere alla strampalata ipotesi di immobili in via centralissime e bellissime con 50 appartamenti, prime case, che non pagano l'IMU e 3 negozietti, magari di vicinato, che debbono reggere l'intera IMU per fabbricato. Se non fosse tragica farebbe ridere.

Rimane l'ultima, non dico obiezione ma argomentazione. E come faranno i comuni senza IMU?

Quelli delle grandi città come Roma hanno dei debiti consolidati e storici di miliardi, decine di miliardi, con incassi negativi sia nelle partecipate che nello sfruttamento del loro immenso patrimonio edilizio.

Se fossero società sarebbero già tecnicamente fallite.

Puoi pomparci dentro tutti i miliardi di Euro di tutti gli Emirati e la situazione non cambierebbe.

L'IMU rappresenta per i comuni quello che l'alcool e la droga sono per gli alcolisti ed i drogati.

Non li si cura dandogli più alcool e più droga, li si cura togliendoglieli negli appositi centri di recupero.

Senza i quattrini dell'IMU, che arrivano senza fatica i comuni sarebbero costretti a costruire i termovalorizzatori per cui i rifiuti diverrebbero una risorsa e non un costo, a far rendere il proprio immenso patrimonio immobiliare ed a riportare in attivo le partecipate.

Per provare l'esistenza dei buchi neri (da cui si dice non riesca ad uscire nemmeno la luce) non c'era bisogno della equazione di Hawking: bastava guardare nei bilanci dei comuni.