Ex Ilva Taranto, rottura governo-ArcelorMittal: rifiutata proposta aumento capitale da 320 milioni e crescita partecipazione Invitalia al 66%
Dovevano concordare un aumento di capitale per far proseguire le attività delle acciaierie, ma l'ultima riunione ha portato a una rottura definitiva. Nuovo tavolo con i sindacati per giovedì 11 gennaio
Nel corso del pomeriggio di lunedì, una riunione tra alcuni membri del governo e i rappresentanti di ArcelorMittal ha messo fine alle possibilità di accordo tra lo Stato e la multinazionale franco-indiana che detiene la maggioranza azionaria di Acciaierie d'Italia, noto come ex ILVA, l'importante impianto siderurgico situato a Taranto. L'incontro aveva l'obiettivo di affrontare le difficoltà economiche dell'ex ILVA e valutare la possibilità di incrementarne il capitale per fronteggiare una seria crisi di liquidità aziendale. Ma l'intesa non è stata trovata.
Attualmente, ArcelorMittal possiede il 62% delle azioni dell'ex ILVA, mentre il restante 38% è in mano allo Stato tramite Invitalia, l'ente governativo preposto agli investimenti statali. Era atteso che entrambi i partner concordassero su un piano di risanamento, prevedendo un significativo investimento di liquidità e un aumento del capitale (circa 320 milioni di euro), con una partecipazione maggiore da parte dello Stato. Tale accordo avrebbe portato, al termine dell'operazione, ad una quota di almeno il 66% di proprietà statale dell'azienda. Tuttavia, non è stato raggiunto alcun accordo, e il governo ha annunciato di aver preso atto dell'indisponibilità di ArcelorMittal ad assumere impegni finanziari e di investimento. Di conseguenza, il governo ha incaricato Invitalia di assumere le decisioni necessarie attraverso il proprio team legale.
Ex Ilva Taranto, rottura stato-ArcelorMittal: "Necessari 1,5 miliardi di euro per ristabilire la situazione finanziaria"
L'ex ILVA è afflitta da gravi difficoltà finanziarie da anni, con l'aggiunta di una crisi di liquidità che si è manifestata negli ultimi mesi. Secondo un'analisi della società di consulenza specializzata nelle materie prime T-Commodity le acciaierie europee ad altoforno guadagnano in media meno di 200 euro per ogni tonnellata di acciaio laminato a caldo. Ai picchi del 2021 questo numero era pari a 800 euro, per gran parte del 2022 è stato sopra i 300 euro. In questo contesto internazionale, che rende più impervio il salvataggio di un impianto sceso ai minimi in termini di produzione e con due altoforni su quattro spenti da tempo, il governo di Giorgia Meloni aveva deciso di finanziare nuovamente l'ex Ilva senza, per il momento, estromettere l'azionista di maggioranza ArcelorMittal.
La società si è però trovata incapace di coprire i debiti, sostenere la produzione e garantire le necessarie operazioni di manutenzione, con il risultato che gran parte degli impianti è stata progressivamente fermata. Per riavviare la produzione e preservare i posti di lavoro, sono richiesti ingenti investimenti che ArcelorMittal non è disposta a garantire, nemmeno in misura minima.
Stime indicano che circa 1,5 miliardi di euro sarebbero necessari per ristabilire la situazione finanziaria dell'ex ILVA. I soci hanno cercato di raggiungere un accordo in diverse riunioni nel mese di dicembre, senza successo. La soluzione di questa critica crisi aziendale, caratterizzata da profonde divergenze tra i partner, rimane incerta, e il governo ha convocato i sindacati per discutere della situazione giovedì 11 gennaio.
Ex Ilva Taranto, rottura governo-ArcelorMittal: i sindacati chiedono la nazionalizzazione della società
Si è anche discusso della possibilità di nazionalizzare l'azienda nelle ultime settimane, una mossa richiesta soprattutto dai sindacati. Tale scenario avrebbe permesso all'ex ILVA di continuare le attività. Attualmente, la gestione di Acciaierie d'Italia è nelle mani di rappresentanti di ArcelorMittal, come azionista di maggioranza. La società aveva acquisito l'ex ILVA all'asta nel 2018, assumendosi l'onere di risanare un'azienda gravemente compromessa da anni di indagini per danni ambientali.
Nonostante i piani di ristrutturazione, la situazione non si è risolta e alla fine del 2020 lo Stato aveva intrapreso l'iter per diventarne il principale proprietario. L'acciaieria di Taranto, di proprietà dell'ex ILVA, è la più grande d'Europa e continua a essere considerata strategica proprio per questo motivo. La sua chiusura avrebbe conseguenze sociali ed economiche gravi, visto che impiega 10.500 dipendenti senza contare l’indotto, ossia tutte le aziende a cui vengono affidati lavori non direttamente collegati alla produzione di acciaio, come la manutenzione degli impianti.
Nel dicembre del 2020, era stato approvato un accordo per rilanciare l'azienda, prevedendo che entro maggio 2022 lo Stato avrebbe detenuto il 60% delle azioni, ma tale passaggio è stato posticipato di due anni. Recentemente, si è discusso della possibilità che lo Stato anticipi non solo la maggioranza ma possibilmente raggiunga una quota ancora più elevata, ipotizzando l'85%. Durante l'incontro di lunedì, invece, è stata proposta la cifra del 66% poi appunto rifiutata.