Il Natale sta per arrivare e un uomo dai grandi valori e dai buoni propositi decide di fare qualcosa di veramente significativo

Dicembre arrivò come una promessa. Renato, con la barba bianca, la pancia gentile, e gli occhi che cercavano qualcosa, distribuì volantini nei portoni, infilò biglietti sotto le porte. “Babbo Natale a domicilio – gratuito – serio – silenzioso – per bambini veri.”

Era un giorno d’agosto, e il cielo sembrava in fiamme. Nella cucina stretta di un appartamento qualsiasi, sopra una tovaglia cerata piena di briciole, Renato Ruggini guardava un cucchiaino che girava da solo nel caffè. Fu in quel momento, tra il frinire delle cicale e la polvere che ballava nella luce, che gli venne da pensare:

"Quest’anno, voglio essere Babbo Natale."

Non come maschera, non come animatore da centro commerciale. Essere, davvero. Diventarlo per i bambini. Per uno. Per cento. Per qualcuno.

Fu un pensiero strano, venuto dal niente. Eppure, si sedette meglio sulla sedia. Come se quel niente avesse messo radici.

Iniziò da solo. Nessuno sapeva. Nessuno avrebbe capito.

Cominciò a mangiare, non per fame, ma per rotondità. Si riempiva di lasagne, pane caldo, biscotti inzuppati nel latte di sera. Il corpo cominciò a cambiare. E con lui, il passo. Ogni chilo era un mattoncino verso un sogno che non aveva ancora forma.

Poi lasciò che la barba crescesse. All’inizio era solo disordine. Poi divenne neve sul volto, una ragnatela di tempo e tenerezza. La toccava come si accarezza un’idea che sta germogliando.

Passava le serate a esercitare la voce. “O-ho-ho!” — diceva alla lampada, alla finestra, ai muri. A volte la voce gli usciva roca, spezzata. Altre volte, sembrava appartenere a qualcun altro.

Quando il cielo cominciò a farsi più corto e le giornate più fredde, Renato aveva già cucito il vestito rosso, pezzo per pezzo, con le mani goffe ma precise. Aveva anche costruito una slitta — o meglio, un carretto di legno rivestito con stoffa rubata all’infanzia. Sul fianco, scritte a pennello, le parole: “Per chi ancora crede.”

Dicembre arrivò come una promessa. Renato, con la barba bianca, la pancia gentile, e gli occhi che cercavano qualcosa, distribuì volantini nei portoni, infilò biglietti sotto le porte. “Babbo Natale a domicilio – gratuito – serio – silenzioso – per bambini veri.”

Qualcuno rise. Qualcuno lo chiamò.

E così, la notte della vigilia, si mise in cammino. Non come attore. Come presenza.

Casa dopo casa. Tappeti rossi stesi a metà. Alberi accesi come sogni. Lucine tremolanti sulle finestre. Renato entrava con lentezza, inchinandosi appena. Consegnava i pacchi preparati dai genitori, ma ci aggiungeva sempre qualcosa: una parola dolce, una carezza, una caramella nella tasca.

— Le renne mi hanno detto che sei stato coraggioso. — So che hai aiutato la mamma quando era triste. — Sei uno dei pochi che il Polo Nord tiene d’occhio.

I bambini lo ascoltavano senza fiatare. Lo guardavano come si guarda qualcosa che non si sa se è vero o se è sogno. E lui, in quegli occhi, si sentiva intero. Forse, per la prima volta da anni.

Poi entrò in quella casa.

Era piccola, ma ordinata. Una madre giovane, con le mani intrecciate, gli fece cenno di avvicinarsi. Un bambino lo aspettava sul divano, avvolto in una coperta azzurra, con un’aria così seria che sembrava più grande dei suoi anni. Non aveva lucine negli occhi, né tremolii di gioia. Solo una domanda muta. Renato sentì un fremito, un filo d’aria fredda lungo la schiena.

Si avvicinò con la sua solita voce: — O-ho-ho… che bello vederti ancora sveglio! Ma il bambino non sorrise.

— Sei tu… quello vero?

Il silenzio cadde nella stanza come neve improvvisa. Renato si bloccò. Qualcosa dentro di lui cedette. Non subito. Come una corda tesa da troppo tempo, che comincia a sfilacciarsi in silenzio.

Il bambino lo fissava come se stesse cercando un segreto dentro i suoi occhi.

Renato abbassò lo sguardo. La voce gli si spense in gola. Lì, in quell’attimo, qualcosa si sgretolò.

Non era solo il peso della bugia. Era tutto il viaggio che aveva fatto per diventare qualcosa di buono, di utile, di più grande di sé — tutto quel lavoro, i chili guadagnati, la barba cresciuta con pazienza, i giorni a costruire una carrozza che non sapeva se sarebbe servita a qualcuno.

E ora... Quel bambino chiedeva la verità, e lui non sapeva più se ce l’aveva.

Gli vennero in mente tante cose. Il padre che da piccolo gli diceva: "Babbo Natale non esiste, svegliati." Le vigilie passate a guardare il cielo sperando in un errore del mondo. Le sere da adulto, con la televisione accesa e il panettone aperto per abitudine. E quest’anno, quell’idea — folle, luminosa — di diventare qualcosa in cui non aveva mai avuto il coraggio di credere davvero.

Aveva pensato di portare gioia. Ma adesso aveva l’impressione di aver mentito anche a sé stesso. Aveva illuso un bambino. Ma forse il bambino, in fondo, era lui.

— No — disse, a voce bassa. Il bambino non si mosse.

Renato si inginocchiò, affondando le mani nel pelo della barba come per nascondersi. — Io non sono quello vero. — Ma… — fece il bambino. — Io ho solo cercato di esserlo. Con tutte le mie forze. Ma Babbo Natale… non esiste. È una storia. Una bellissima bugia.

La madre trattenne il fiato.

— Mi dispiace — sussurrò. E si portò una mano agli occhi. — Mi dispiace così tanto.

Restarono così. Tre presenze in una stanza troppo grande per la verità.

Il bambino lo guardò per un tempo che sembrò lungo come un inverno intero. Poi si avvicinò piano. Gli toccò la barba con dita leggere, come per verificare che fosse vera.

— Ma tu… sei venuto.

Renato annuì.

— Allora forse — disse il bambino — sei il Babbo Natale che poteva venire. E a me… va bene così.

 Fuori, la notte aveva steso la sua coperta nera sul mondo. Renato camminava nel gelo, tirandosi dietro la slitta vuota, le mani in tasca, il cuore che batteva piano, come dopo un addio.

Alzò gli occhi, come per chiedere scusa a qualcuno che non c’era. Ma il cielo gli rispose.

Un suono. Come campanelli immersi nel vento.

E poi, senza preavviso, una scia luminosa. Una slitta, in volo. Alta. Vera. Con renne che non toccavano terra. E un uomo in rosso che lo salutava con la mano.

Durò un istante. Forse meno. Ma fu.

Renato non disse nulla. Rimase fermo sotto quel cielo enorme, con la barba bianca e gli occhi pieni. Sorrise. E pianse un po’.

Poi riprese a camminare.

La slitta dietro di lui lasciava una traccia sottile nella neve. Come un segno. Come se qualcuno, da qualche parte, avesse firmato la notte.