Scala di Milano, inaugurato il bassorilievo "Sipario" di Daniele Milvio per la torre di Via Verdi alla presenza di Giuseppe Sala

"Sipario" di Daniele Milvio invita il pubblico a interrogarsi sulla soglia tra il visibile e l’invisibile, hanno ricevuto menzioni speciali della giuria i progetti di Arcangelo Sassolino e Nico Vascellari

Nuova torre di via Verdi 3, inaugurato il bassorilievo "Sipario" di Daniele Milvio alla presenza di Giuseppe Sala e Tommaso Sacchi. Si terrà lunedì 15 dicembre alle ore 12, alla presenza del Sindaco e Presidente della Fondazione Giuseppe Sala, dell’Assessore alla Cultura del Comune di Milano Tommaso Sacchi e del Sovrintendente e Direttore Artistico Fortunato Ortombina, l’inaugurazione ufficiale del bassorilievo destinato all’ingresso della nuova torre di via Verdi 3, progettata dall’architetto Mario Botta insieme all’architetto Emilio Pizzi, che interverrà all’inaugurazione. Il progetto vincitore, firmato dall’artista Daniele Milvio, sarà svelato nella sua collocazione definitiva sulla facciata della nuova palazzina, a conclusione del percorso iniziato con il concorso indetto da ARIA (Azienda Regionale per l’Innovazione e gli Acquisti).

L’opera, intitolata “Sipario”, è stata selezionata dalla commissione giudicatrice nel dicembre 2024 in ottemperanza alla Legge 717/49, che prevede la realizzazione di opere d’arte negli edifici pubblici. Il bando richiedeva di sviluppare il tema “Musica e Architettura” attraverso un lavoro inedito, capace di dialogare con le geometrie dell’edificio e di garantire durabilità nel tempo.

La scelta della giuria – presieduta dal Direttore della Comunicazione del Teatro alla Scala Paolo Besana e composta dallo stesso Mario Botta, dagli artisti Maurizio Cattelan e Marzia Migliora, e dalla dottoressa Roberta Gnagnetti (Soprintendenza Archeologia, Belle arti e Paesaggio) – è ricaduta sulla proposta di Milvio per la sua sintesi tra qualità artistica e coerenza con il contesto urbano e architettonico. Menzioni speciali sono andate ai progetti di Arcangelo Sassolino e Nico Vascellari

L’opera, realizzata in bronzo fuso a cera persa, “Sipario” è un bassorilievo di grandi dimensioni (102x319x18 cm) che riproduce fedelmente la parte centrale del sipario del Teatro alla Scala. La scelta del materiale e della tecnica di fusione ha permesso all'artista di restituire la ricchezza tattile dei tessuti, i ricami e la plasticità delle pieghe verticali tipiche dei drappeggi teatrali.

L'opera raffigura il sipario in una posizione leggermente socchiusa, catturando un momento preciso e carico di significato: l’istante in cui il diaframma tessile separa ancora il mondo reale da quello scenico, ma lascia intuire l’imminente incontro tra i due. Attraverso questa rappresentazione, l’artista ha voluto esplorare sia gli aspetti funzionali che quelli simbolici dell’architettura scenica, creando un elemento di connessione permanente tra la città e il teatro.

Daniele Milvio

Nato a Genova nel 1988, Daniele Milvio si è diplomato all’Accademia di Belle Arti di Brera nel 2011. Milvio espone regolarmente a Milano (Federico Vavassori), Basilea (Weiss Falk), Berlino (Supportico Lopez) e New York (Amanita). Nel 2022 la Fondazione Morra Greco di Napoli ha dedicato a Milvio una importante mostra personale, la prima in uno spazio istituzionale in Italia. Dal 2020 Milvio organizza presso il suo studio di Milano una programmazione espositiva che, tra gli altri, ha contribuito alla riscoperta di artisti tra cui Luigi Zuccheri e Antonio Rubino. Milvio è presente con tre lavori nella collezione del Castello di Rivoli.

Riportiamo di seguito la presentazione dell’artista e della sua opera firmata per il numero di febbraio 2025 della Rivista del Teatro da Milovan Farronato (Curatore indipendente, ha cofondato l’Archivio Chiara Fumai con sede a Bari e Milano e nel 2019 è stato il curatore del Padiglione Italia alla Biennale Arte di Venezia).

Di recente, mi è capitato di immaginare Daniele Milvio indossare i panni e anche la pelle della scultura intitolata Händler (Dealer) dell’artista tedesca Katharina Fritsch. Il simulacro datato 2001, dipinto integralmente di rosso fuoco, incarna il seducente personaggio del venditore d’arte e di mestiere: abile affabulatore, sempre sprezzante per cui lo sforzo esiste, ma non è mai manifesto, mercanteggia con diplomazia e competenza, dispensando conoscenze eteroclite, espressioni amabili dei suoi interessi diversificati. Lei lo immagina con i capelli raccolti in una coda di cavallo allineata alla spina dorsale fino al punto di tangenza con le scapole e in aggiunta gli impone un qualificante piede caprino che fa capolino sotto il completo impettito, sintomatico della natura potenzialmente diabolica del suo operare. Lui, invece, Milvio, possiede una capigliatura più stropicciata, refrattaria a essere perfettamente in asse e incline a fluire liberamente in ordine sparso sotto la nuca. Mentre il piede caprino lo riserva, si fa per dire, ai personaggi dei suoi dipinti e delle sue sculture, un Pantheon di figure spesso sinistre quasi sempre distorte, dalle dita allungate e dai corpi affusolati come prigionieri di un vortice. Si tratta di creature trasfigurate da alienazioni soffocanti che le disumanizzano rivelandone la profonda inquietudine esistenziale. Sono comete instabili di una galassia mitologica personale composta da divinità cadute: l’insegnante di geografia, il sarto, l’impiccato, l’obliteratore ma anche l’incidente, l’ultima cena e il presagio.

Milvio disdegna l’approssimazione o il qualunquismo, predilige di gran lunga gli approfondimenti quasi maniacali che nella sua mente spaziano in ambiti disparati, espressioni di una coralità affastellata di interessi che si interconnettono e riversano sulla pratica artistica. Tra i più recenti campeggiano le tecniche di potatura, le modalità giapponesi di dissezione, filettatura, eviscerazione e squamatura del pesce, le formule dei profumi dalle note basse a quelle alte, la letteratura italiana del Secondo Dopoguerra e la grafica patafisica. Non rinuncia a nessuna delle sue possibilità creative — anche per questo il rosso, che chiede costante attenzione e che infuoca molti dei suoi dipinti, gli è decisamente pertinente. L’artista naviga disinvolto tra i media espressivi per cui è impossibile definirlo con un unico termine, o attribuirgliene uno che lo rappresenti più di un altro. È tanto pittore quanto scultore, ad esempio! All’interno dei generi spazia nelle tecniche. Ci sono, certo, ricorrenze e credo anche predilezioni — come il bronzo fuso a cera persa —, ma pur sempre in una ampia varietà di sperimentazioni. Anche i temi evolvono così come i ruoli che assume. Da un po’ di tempo, ad esempio, ha trasformato il suo studio condiviso con Emanuele Marcuccio in uno spazio espositivo sempre più articolato in una proposta culturale che ha di certo contribuito alla riemersione di figure storiche come Luigi Zuccheri e Antonio Rubino, ma anche alla presentazione di giovani proposte, a lui coetanee. Se dovessi evidenziare un aspetto che lo contraddistingue maggiormente e che apprezzo in particolare citerei la sua indiscussa capacità di trovare strategie espositive uniche e ricercate, insieme a quella di stratificare contenuti che si presentano sotto mentite spoglie. Quadri che finiscono dentro botti di vino che ne valgono, in sezione, come cornici, come se le immagini galleggiassero al di sopra di un coma etilico. O una serie di porte a grandezza naturale con architrave, stipite e battenti che si aprono su immagini dipinte su carta e applicate a tessuti in tartan. Quadri monocromi come la scultura del mio incipit o formalizzati in bicromie contrastanti in pelle di serpente in un ambiente asettico come da un rivenditore di accessori di lusso. Frange per lavare pavimenti in bronzo che sorreggono su bastoni obliqui mappamondi che si illuminano come lampade da esterno. In questo paesaggio così dinamico, nulla è esattamente quello che sembra. Al contrario, tende ad assumere altre sembianze, nuovi ruoli ed equilibri in base alle prospettive interpretative che l’artista vuole stimolare. Dipende da quale punto si intende dipanare la matassa o guardare al groviglio.

Come leggere, ad esempio, una mostra di dipinti che si presenta in costante penombra dove ogni tela è illuminata unicamente dai calchi in bronzo delle mani dell’artista che li ha dipinti e che ora valgono come candelabri a parete? Sono tutti autoritratti attraverso i soggetti rappresentati? Comunque sia, che la mostra sia immersa nel tenebrore o nella foschia lacustre, si tratta sempre di molteplici narrazioni e della tensione palpabile tra il visibile e linvisibile, tra ciò che è rivelato e ciò che è taciuto. Questo aspetto ci porta a un’altra caratteristica distintiva: la teatralità intrinseca, la messa in scena che sfida le abitudini convenzionali e invita lo spettatore a interrogarsi sul proprio ruolo di osservatore.

Sipario si configura squisitamente lungo questa soglia di coinvolgimento attivo e di contrasto tra ciò che viene mostrato e ciò che resta velato. La scultura — in corso di produzione poiché vincitrice del bando pubblico per la realizzazione di un’opera per l’ingresso della nuova torre disegnata da Mario Botta in via Verdi — si presenterà entro quest’anno come un bassorilievo in bronzo fuso a cera persa a grandezza naturale di una porzione di un metro e pochi centimetri di lunghezza per tre metri circa di altezza del reale sipario del Teatro alla Scala. La resa minuziosa e lenticolare di ogni dettaglio, dagli elementi decorativi che la impreziosiscono alla resa visiva dei tessuti che la compongono corrisponderebbe, se fosse un profumo, alle note alte, quelle che per prime si impongono all’olfatto. Si tratta di una porzione del drappeggio che include la sezione che tocca il pavimento al fine di incorporare, in un pruriginoso compiacimento manieristico, tutto quell’universo di frange e ricami. Milvio intende restituire l’incarnato epiteliale del drappeggio nell’attimo in cui le due bande si incontrano lasciando solo un leggero spiraglio, un soffio di spazio, un attimo di tempo attraverso cui idealmente spiare in una direzione che solo ora diventa ambivalente. E qui arriviamo alle note basse della nostra fragranza profusa nel centro di Milano, quelle che dovrebbero persistere nella memoria e articolarsi nel pensiero: il passante è invitato a guardare la fessura senza essere certo di capire da quale parte si trova della soglia che ha di fronte.  Probabilmente è per questo motivo che è stato eliminato l’elemento di una mano che scosta un lembo del telo presente nel primo bozzetto. Resta ora più ambiguo immaginare da quale parte del sipario ci troviamo. Mentre il corpo dell’opera — sempre rimanendo nella metafora della creazione di un’essenza — è quello di configurarsi come molti altri lavori dell’artista, e più di altri suoi lavori, come un portale: un luogo e un momento di transito, tra il sacro e il profano, tra la vita e la sua rappresentazione. Sipario sta sul limite e quindi sub limen, verso il confine tra la relatività e la elatività. La nozione stessa di sublime implica una spinta verso l’alto guardando il basso, avendo il punto di partenza ben presente. È un viaggio inquieto nell’area delle perturbazioni per oltrepassare le moenia mundi e forse raggiungere i templa serena della conoscenza. O da un punto di vista meteorologico per superare l’aer, l’aria bassa e turbolenta e raggiungere l’aether limpido, sereno e possibilmente divino.

E poi, in conclusione, resta dominante il motivo del drappeggio, un elemento di per sé iconograficamente carico, dalle profonde simbologie, in grado di essere solo unità di misura del buio che si nasconde tra le sue anse e del mistero che lo attraversa. La Madonna della Misericordia di Piero della Francesca spalanca generosa il drappeggio del suo mantello che è un altro tipo di sipario e fa penetrare nel suo spazio personale i fedeli affranti per poterli consolare, o forse per accogliere le loro anime dopo la morte. Se così fosse, anche il portale mariano sarebbe unultima illuminazione pagata con la moneta della morte. In pegno della vita la vera epifania. Milvio, per ora e per il Teatro alla Scala, socchiude per far passare un soffio d’aria.

Milovan Farronato

Curatore indipendente. Ha cofondato l’Archivio Chiara Fumai con sede a Bari e Milano.

Nel 2019 è stato il curatore del Padiglione Italia alla Biennale Arte di Venezia