INTERVISTA - La regista Laura Samani presenta con freschezza a Busan un film centrato sugli adolescenti
Giacomo Covi ha vinto il premio come migliore attore nella sezione Orizzonti della Mostra del Cinema.
IGDI ha intervistato in esclusiva durante il Festival di Busan Laura Samani, regista del film Un Anno Di Scuola presentato nella sezione Flash Forward. Siamo nel Settembre del 2007 a Trieste. Fred, diciottenne svedese esuberante e coraggiosa, arriva in città per frequentare l’ultimo anno di un Istituto Tecnico. Si ritrova a essere l’unica ragazza in una classe di soli maschi e catalizza l’attenzione di tutti, in particolare quella di tre amici: Antero, affascinante e riservato; Pasini, seduttore istrionico; Mitis, bonaccione protettivo. I tre sono legati tra loro da quando hanno memoria. L’arrivo di Fred sconvolge il loro equilibrio, mettendo a dura prova la loro amicizia. Mentre ognuno di loro la desidera segretamente per sé, Fred vuole essere ammessa nel gruppo, ma le viene chiesto continuamente di sacrificare qualcosa di sé per diventare una di loro.
D: È la straniera che non capisce gli italiani, o gli italiani che non capiscono la straniera?
R: All’inizio sono abbastanza pari. Penso che lei esca con più strumenti degli altri, non più strumenti del pubblico perché alla fine noi il viaggio lo facciamo con lei. Fred esce con un una comprensione maggiore rispetto ai ragazzi, infatti lei è la mela in questo racconto.
D: La ragazza commette una leggerezza e viene subito additata, partecipando al gioco, scatena una parte cruciale del film, come l’hai orchestrata?
R: Lei fin dall’inizio subisce le attenzioni, che poi sono angherie in realtà, di tutti quanti. Nell’essere riuscita ad entrare in questo gruppetto, diventa intoccabile per un momento, perché diventa di proprietà di qualcuno, di quella gang. Nel momento in cui scoppia il conflitto scoppia tra Antero e Pasini, di conseguenza anche con Mitis, quello che succede è che non solo non è più intoccabile, ma è anche la causa dello scioglimento del gruppo ai loro occhi. Per questo motivo nasce una caccia alle streghe ancora più esacerbata rispetto a quella iniziale, diventando il capro espiatorio dei danni, della rovina di tutti.
D: Le altre ragazze come mai rimangono escluse dal gruppo?
R: Le altre ragazze non sono ammesse: questo perché lei è svedese. Su questo grava una questione basica di immaginario, di fantasia, di sessualizzazione dell’esterofilia. Per quanto ognuna di loro abbia dei rapporti con i tre, chi fidanzata, chi simpatizzante...sono ragazze triestine e quindi non sono ammesse, non sono degne. Io ho passato tanto tempo, come Fred, ad essere l’unica ragazza in un gruppo di maschi, ci saranno stati altri motivi per cui avevo questo privilegio ma anche questo pregio di essere ammessa al gruppo, però crea molte invidie e al tempo stesso ti da un potere. Rispetto a questo poi ci sono dei ricatti, perché sei la mamma tante volte o l’amante, non riesci ad essere un’amica alla pari se parliamo unicamente di dinamiche etero e binarie.
D: Questa storia viene da una tua esperienza?
R: Viene dall’adattamento di un romanzo, molto libero, un romanzo breve di Giani Stuparich scritto nel 1929 e ambientato nei primi del ‘900. Io l’ho letto mentre frequentavo la storia in cui è ambientato e avevo l’età dei protagonisti, nella stessa situazione: ragazza sola e tre maschi. È stata forse la prima lettura fatta in età adolescenziale in cui non mi sono annoiata rispetto a quelle obbligatorie (Manzoni, Verga…); in secondo luogo mi sembrava che parlasse di noi e che spiegasse noi agli adulti, perché raccontava queste dinamiche. Nasce dal desiderio di adattarlo e ambientarlo 100 anni dopo e sicuramente è legato a cose accadute in vita.
D: Qual è il ruolo degli adulti invece? Cercano di dare consigli ma..
R: Ma non ce la fanno. Gli adulti a quell’età sono il nemico funzionale secondo me. L’ultimo anno di scuola è l’ultimo anno prima che degli adulti smettano di dirti “Ti devi alzare”, “Hai preso un brutto voto, devo andare al colloquio con i professori…”. È anche il motivo per cui tante volte, all’inizio della vita fuori dalla scuola superiore ci si deprime, perché non sai più a chi rivolgere quella rabbia e spesso finisci per rivolgerla contro te stesso. C’è una cosa molto intelligente e molto bella che ha detto Silvia Gallerano che interpreta la professoressa Banti: “Gli adulti in questo film sono come le gambe degli esseri umani in Tom e Jerry”, ovvero ci sono ma non sono il focus. Anche chi è bravo come essere umano, come la Banti, intuisce delle cose ma non ruota niente intorno a lei, perché gli adulti a quell’età sono imbarazzanti, un mondo a parte per i ragazzi di quell’età, perché siamo goffi, siamo inadeguati, diciamo sempre la cosa sbagliata.
Il padre di Fred è un altro personaggio che ci prova, io capisco cosa vuole dire lui quando parla dei kiwi e della mela, le sta anche facendo un complimento, ma non raggiunge l’obbiettivo. Forse è una questione di tempismo, come se nel contenuto di quello che le stava dicendo volesse esprimere di essere stato anche lui, a sua volta, un kiwi, una scusa di categoria quasi. Lei finisce per arrabbiarsi come una bestia. Ci si chiede il perché a questo punto, il padre di Fabris stava cercando di dirle una cosa che ha senso: ci sono dei tempi che non sono felici. Una cosa molto bella è anche il modo in cui esce di scena il padre, l’ultima volta che lo vediamo è con una carezza sulla testa, nulla di verbalizzato dove cerca di insegnare qualcosa, spiegare il mondo, ma un gesto di supporto lasciando lo spazio di lutto. Un personaggio assolutamente positivo.
D: La figura maschile come ne esce secondo te da questo film?
R: Ci tenevamo tanto, io ed Elisa Dondi, co-sceneggiatrice, a creare un film che non fosse un racconto in cui si schematizza dicendo: i maschi sono cattivi e le femmine sono buone. Secondo me siamo riuscite in questo intento, perché c’è una grande diversificazione su come ne escono i tre, presi come modelli: Antero ne esce più consapevole e più cambiato di tutti e tre; Pasini quello che rimane bloccato a scuola, come se ci volesse un altro motivo per imparare un po’ meglio, oltre che per raccogliere tutta la tristezza che aveva dentro; Mitis dovrà imparare a stare da solo senza il gruppo. Noi preferiamo Fred perché è la protagonista e i ragazzi sono ora compagni, ora oggetto del desiderio, ora protagonisti, molto sfaccettati. Credo che il pubblico ne uscirà con un po’ di riflessioni. Giacomo Covi, il ragazzo che interpreta Antero, ha detto una cosa molto bella in conferenza stampa: “Io sono contento soprattutto del fatto che in questo film si parli anche di fragilità maschile”. Una cosa che a noi viene concessa: piangere, essere deboli, fragili, ma tante volte agli uomini no. Mentre nel film lo vediamo succedere spesso a tutti e tre. Secondo me ne escono sfaccettati.
D: La scuola invece come l’hai voluta disegnare: un soggetto che educa ma non ci riesce, un soggetto rigido?
R: La mia idea è che la scuola cade a pezzi, al punto che un tubo scoppia e allaga la biblioteca, dove non siamo mai andati in tutto il film perché è una stanza inutilizzata. Il docente di disegno tecnico in sceneggiatura era uno di quegli adulti cattivi e frustrati, che si relaziona con i ragazzi castrando qualsiasi slancio vitale. Non solo non li educa ma rincara ancora di più questo loro desiderio di ribellione. Una questione di incanalare le forze, con rispetto e intelligenza ma soprattutto responsabilizzando le persone che studiano. La scuola la vedo come una istituzione totale, a scuola devi chiedere il permesso per andare in bagno, in che altro posto c’è la campanella? In fabbrica, che segna l’inizio e la fine del turno. Con questo non dico che debba esserci l’anarchia più assoluta, però penso che in questo momento la differenza la facciano le persone che fanno azioni individuali, a meno che non si organizzino in maniera indipendente da quello che è il sistema scolastico. Una come la Banti ha l’attenzione, il rispetto e la stima dai ragazzi per le sue caratteristiche di essere umano, che poi si declinano di conseguenza in deontologia, non perché a livello nazionale si creda che la politica giusta sia quella. Ora c’è il registro elettronico, se “fanno sega” a scuola i genitori lo sanno prima che se ne accorgano i professori. Questo è sorvegliare e punire. Io penso che sapere sempre tutto sia sbagliato, a volte è giusto che facciano anche loro delle cavolate. Io ho saltato scuola, non è una cosa solamente divertente, se succede qualcosa ne paghi anche tu le conseguenze, impariamo da questo.
D: C’è un dibattito sulla disciplina nelle scuole, dovuto anche a numerosi casi di cronaca…
R: Sono stata adolescente ma non ho figli, non saprei proprio cosa farei trovandomi in quelle situazioni. Credo però che si tratti di un caso di responsabilità collettiva il modo in cui una nuova generazione si comporta. Tante volte basterebbe chiedere cosa succede: avendo lavorato per tempo a stretto contatto con ragazzi di quell’età che sono appena usciti dalla scuola. Ci vuole pazienza, tempo e fiducia soprattutto. C’è un rimbalzo di responsabilità tra scuola e famiglie in questo momento, vogliamo accollarcela tutti assieme questa cosa invece? Nell’antica Grecia si teorizzava questa cosa di volerli crescere tutti assieme in comunità.
D: Com’è stata, secondo te, l’accoglienza di questo film in Corea?
R: Ho trovato un pubblico molto attento e preparato, molto tecnico. I Q&A sono stati molto partecipati, c’è un bel modo di porre anche le domande, molto diverso da quello italiano, espongono una teoria che si basa su un ragionamento profondo per poi chiederti un parere a riguardo. Questa formulazione delle domande mi piace molto. Penso che a loro questo racconto risulti molto esotico, perché il sistema scolastico coreano è molto diverso dal nostro, non soltanto nelle dinamiche interpersonali, ma innanzitutto rispetto alla scelta della scuola: non hanno una grande possibilità di scegliere. In questo film viene rappresentato un anno di scuola, ma non siamo mai a scuola, è solamente il tempo del racconto, perché per noi la scuola è anche altro: i primi amori, la gang, il farcela o non farcela a passare l’anno, era un contesto. Ne parlavo con una degli interpreti che mi ha seguito, che mi ha detto che non ne aveva idea che per noi la scuola fosse così. Ho avuto davvero un buon feedback, ho trovato un entusiasmo educato, una cosa che mi piace molto, li ho visti partecipi e trasportati dal racconto ma con una capacità fine ed elegante di porre le domande.
D:In futuro, in Asia, c’è spazio per questo tipo di storie?
R: Spero di sì, è in mercato che non conosco così bene, in queste aree non sono mai andata. In ogni caso è un teen movie, è abbastanza universale, ovviamente cambiano le regole d’ingaggio ma tutti siamo stati adolescenti e ci siamo innamorati una prima volta.
D: C’è stato qualcosa che ti ha particolarmente sorpreso venendo qui’?
R: Ti dico subito la cortesia. Mi sono sentita molto maleducata diverse volte trovandomi qua, per tutto: dalla postura, al parlare…c’è una disponibilità molto notevole, anche di capire che magari sei in difficoltà. Mi sta piacendo tutto tantissimo.
D: Ha in mente il prossimo progetto? Stai già pensando ad un film?
R: Il prossimo lavoro è ancora in fase embrionale, mi piacerebbe molto lavorare ad una serie. Diciamo che si tratta di un desiderio. Mi piacerebbe avere più tempo, un racconto più lungo e di lavorare di nuovo con tanta musica come in questo film. Tendo a fare le cose una per volta: per il momento devo completare un cortometraggio di un documentario ambientato a Gorizia, fatto quest’estate, per la capitale della cultura.