INTERVISTA - Dopo i meritati applausi a Venezia Strippoli porta anche al Festival di Busan il suo film misterioso
Nel cast Michele Riondino, Romana Maggiora Vergano, Paolo Pierobon, Roberto Citran e Giulio Feltri
Durante il Busan Film Festival in Corea, IGDI ha intervistato in esclusiva Paolo Strippoli regista del film enigmatico La Valle Dei Sorrisi. Il film che era stato presentato anche al Festival del Cinema di Venezia parla di Remis, un paesino nascosto in una valle isolata tra le montagne. I suoi abitanti sono tutti insolitamente felici. Sembra la destinazione perfetta per il nuovo insegnante di educazione fisica, Sergio Rossetti, tormentato da un passato misterioso. Grazie all’incontro con Michela, la giovane proprietaria della locanda del paese, il professore scopre che dietro quest’apparente serenità si cela un inquietante rituale: una notte a settimana, gli abitanti si radunano per abbracciare Matteo Corbin, un adolescente capace di assorbire il dolore degli altri. Il tentativo di Sergio di salvare il giovane risveglierà il lato più oscuro di colui che tutti chiamano l’angelo di Remis.
D: Da dove parte questa situazione paranormale?
R: La situazione paranormale parte da un’idea nata con i miei co-sceneggiatori Jacopo Del Giudice e Milo Tissone nel lontano 2017; abbiamo iniziato a scrivere questo film quando stavamo finendo il centro sperimentale di cinematografia alla scuola del cinema che abbiamo fatto, che ci ha fatto conoscere. L’idea nasce con la figura di Matteo Corbin il giovane protagonista del film, un ragazzino che tutti chiamano santo. Noi ci siam chiesti: “Può esistere un santo adolescente?”, in adolescenza ci sono delle pulsioni e sentimenti che si fanno fatica a tenere a bada, ogni adolescente deve cercare la sua strada, tentare di trovarla a tutti i costi, ma se viene chiamato santo allora la strada l’ha già tracciata qualcun altro. Noi volevamo raccontare un adolescente messo in gabbia da superpoteri che alcuni credono miracolosi ma per lui sono una condanna.
D: Come avete disegnato questo tipo di ‘’santo’’, che santo è nel vostro immaginario? Qual è stato il piano?
R: Questo è proprio il gioco del film. Per tutta la sua durata ci sono dei personaggi che credono che questa figura sia una figura cristologica, un salvatore, l’angelo di Remis (il paese fittizio dove abbiamo ambientato la storia), mentre c’è chi legge in lui l’anticristo, quello descritto nell’apocalisse. Nessuno, però, riesce a trovare la giusta definizione per Matteo, che fa parte dell’ignoto, il significato stesso della fede: ognuno crede secondo i propri dogmi, i propri principi. C’è una battuta molto importante nel film, pronunciata dal padre di Matteo: “Per quanto abbia assecondato la credenza che tutti in questo paese hanno, di riconoscere in Matteo una figura biblica, di un angelo mandato da Dio a salvare questo paese sfiancato dalla tragedia. Io ho cercato mio figlio nei testi sacri ma non l’ho mai trovato. Io stesso che ho cresciuto questo ragazzo non so esattamente cosa sia”. In questo senso vedo il mio disegno di Matteo: bisogna vedere in lui l’impossibilità di definirlo, l’irrazionale va accolto e non va a tutti i costi definito.
D: Quale ruolo ha il professore di ginnastica?
R: Il ruolo del maestro di ginnastica è quello di disturbo nei confronti della comunità, però è un ruolo di mentore per Matteo, un mentore che non ha mai avuto a che fare con il sovrannaturale, con le cose che escono fuori dalla dimensione concreta della vita, per questo motivo non ha abbastanza cura di quello che è Matteo e nel tentativo di liberarlo dalla gabbia che gli ha messo attorno il paese lo trasforma in una figura pericolosa. È un mentore sbagliato, goffo, ma resta pur sempre un mentore, quello che Matteo ha cercato per tutta la vita: un padre che lo trattasse da figlio.
D: Nel paese ci sono diversi personaggi strani, come li ha inseriti?
R: Ognuno ha diversi gradi di sopportazione del dolore, e a seconda del grado di sopportazione del proprio intimo dolore si rapportano a Matteo e di conseguenza si rapportano anche a Sergio, il professore, in quanto egli è un disturbo. Quando Sergio mette in pericolo il rapporto esclusivo del paese con il ragazzo, diventa più minaccioso e violento. Gli abitanti di Remis sono un catalogo di umanità che si riconosce a seconda della loro singola sopportazione del dolore: chi sfocia nella violenza o nelle azioni malvage, non è perché è cattivo, ma perché non riesce a sopportare di essere allontanato da Matteo che è l’unico dispositivo di compensazione del dolore, il loro unico farmaco contro ciò che li attanaglia.
D: Per questa storia ha tratto ispirazione da qualcosa, un film, un fatto di cronaca…?
R: Io e gli sceneggiatori abbiamo studiato diversi fenomeni extra-canonici in particolare quello del “Glorioso Alberto” in Basilicata. L’Italia ne è piena di questi fenomeni, l’ultimo noto è fenomeno controverso in quanto è stato già smascherato che è quello della Madonna di Trevignano. Per noi sono stati questi fenomeni d’ispirazione, non abbiamo preso ispirazione altri film o racconti. È ovvio che nello sviluppare la storia e poi io nell’andarla a girare, ho messo dentro la mia passione dei coming of age raccontati attraverso il filtro dell’horror: come “Lasciami entrare” di Thomas Alfredson, “Thelma” di Joaquin Trier, “Carrie” nella sua versione letteraria di Stephen King che in quella di cinematografica di Brian De Palma.
D: All’inizio c’è un fatto soprannaturale che per lo spettatore non è ancora chiaro......
R: Certo, per lo spettatore quello che succede non ha ancora un significato, eppure vediamo qualcosa che nl corso della storia diventerà chiaro. Quello che succede all’inizio è che vediamo una donna, la madre di un bambino che poi scopriremo essere Matteo Corbin, a un certo punto spegnersi, cadere dalla sedia, e iniziare a gattonare verso la finestra, dove poi sale e si butta. Non è chiaro quello che sta accadendo, è ammantato di mistero, ma poi capiremo che il responsabile di quel gesto all’apparenza irrazionale di quella donna è proprio il bambino.
D: Abbiamo una comunità omogenea, nessuno sfugge da questa trappola, come mai non c’è una persona che con un gesto di ribellione cerca di fuggire?
R: Loro, in realtà, non vogliono fuggire da Remis perché è l’unico posto dove possono stare bene, loro hanno iniziato ad abbracciare Matteo molto prima dell’inizio della storia e se dovessero lasciare il paese non potrebbero più abbracciarlo. Come se qualcuno prendesse uno psicofarmaco molto potente, che ne richiede una regolare assunzione e poi smettesse improvvisamente di prenderlo; allo stesso modo loro devono assumere regolarmente l’abbraccio di Matteo.
D: Casting, cosa voleva?
R: Il casting degli adulti è stato molto facile, ho avuto la possibilità di provinare tanti attori che amo e che stimo, parlo ovviamente del protagonista Michele Riondino, di Romana Maggiora Vergano, Paolo Pierobon, Roberto Citran, Sergio Romano…attori meravigliosi di cinema e di teatro che sono poi andati a comporre il cast del film. Cito anche Sandra Toffolatti che interpreta la preside. Paolo Pierobon in particolare è sempre stato la mia prima scelta per il personaggio di Mauro, il padre, ho scritto la sceneggiatura pensando a lui. Per quanto riguarda i ragazzini, invece, sono stati trovati attraverso una street casting: il personaggio di Lorenzo (l’amico/nemico di Matteo) lo abbiamo trovato con la casting director e l’assistente in uno skate park di Udine, scegliendolo dopo diversi provini. Il protagonista, invece, Giulio Feltri, lo abbiamo trovato dopo che la casting director ha visto uno spettacolo teatrale e ha notato questo ragazzino, lui ha affrontato ben 4 provini prima di essere scelto, è stato molto bravo. Io cercavo una fisicità che fosse quel punto d’incontro perfetto tra bambino e adulto, quell’adolescente informe con il corpo allungato e gli occhi ancora da bambino, Giulio aveva esattamente questa caratteristica quando l’ho selezionato, con una sensibilità e intelligenza emotiva davvero spiccate.
D: Direzione e regia’ ha seguito molto la sceneggiatura, dato spazio alla improvvisazione…qual era il piano d’azione?
R: Avevamo una sceneggiatura sulla quale abbiamo lavorato per diversi anni, è chiaro che quando si arriva sul set c’è qualcosa che si scopre di dover cambiare, un po’ per necessità produttive e un po’ per ragioni artistiche, poiché magari arriva un’intuizione migliore, delle battute risultano morte rispetto alla lingua viva che parlano gli attori. Bisogna essere pronti, attenti, accoglienti di ogni intuizione e suggerimento dato dagli attori e dai vari capireparto. Bisogna essere attenti perché quando vai a scrivere un film, può essere perfetto sulla carta ma resta comunque morto, il film diventa vivo e deve diventare vivo mentre lo giri. Devi essere pronto all’intuizione e ad ogni stimolo che la materia umana e viva del set ti dona.
D: È stato sempre un set tranquillo o ci sono stati momenti d’inciampo?
R: È stato un set di gente molto affiatata, ovviamente quando vai a raccontare il paranormale devi chiedere uno sforzo molto grande agli attori, perché devono gettarsi nel vuoto, devono accogliere l’ignoto e devono pensare non sempre in maniera razionale. Ci vuole un po’ di coraggio da parte degli attori e una guida ferrea da parte della regia. Io devo molto ai miei attori perché mi hanno seguito in questa follia, si sono fidati e affidati e hanno fatto questo salto nel vuoto con me.
D: Mi parli del paese ora?
R: Abbiamo fatto uno scouting delle location molto lungo e abbiamo individuato due zone del Friuli, due montagne diverse, una al confine con la Slovenia, nella zona di Tarvisio, l’altra a Sappada e dintorni, nel confine con il Veneto. Quello che poi si vede nel film non è n unico paese ma una geografia ricreata girando in diversi paesi, che sembrano uno solo, ma che sono diventati Remis.
D: Perché “La valle dei sorrisi”?
R: Perché così viene presentato Remis all’inizio. Sia con la scritta sul cartello di benvenuto, sia con la presentazione vera e propria: sono tutti sereni, tutti tranquilli, nascondono un dolore profondo, un trauma profondo dietro sorrisi di facciata. Chiaro che è un titolo che presenta un inganno, Remis non è una valle dei sorrisi, ma è come vorrebbe apparire.
D: Pensa che in futuro continuera’ nel filone del paranormale?
R: Il mio prossimo film non ha a che fare in maniera profonda col paranormale. Non sarà horror, sarà una saga familiare thriller. Si tratterà sempre di un thriller psicologico, in linea con i film che ho fatto prima. In futuro spero di poter lavorare a nuove storie che affrontano il paranormale, anche se come parola non mi piace: è più “l’irrazionale e l’ignoto”, “il mistero di quello che non si può definire”. Spero di poter raccontare altre storie, in futuro, che trattino questa materia, poiché la sento una materia fertile e da cui possano nascere storie molto affascinanti e che possano fare da specchio alla contemporaneità. Quello che cerco di fare da sempre, ovvero utilizzare il soprannaturale e il genere per raccontare qualcosa di molto concreto e vicino a noi: la nostra natura e il nostro modo di stare al mondo.