Croce, Rensi e Laterza: il fronte intellettuale che sfidò il fascismo, il coraggio contro pensiero unico che oggi non abbiamo

Era il 23 luglio 1942 quando Giovanni Laterza scriveva a Benedetto Croce una delle lettere più amare della sua carriera editoriale. L’eco dei passi dei poliziotti fascisti risuonava tra le stanze della villa barese dei Laterza, dove la cultura italiana, silenziosa ma resistente, continuava a respirare

Era il 23 luglio 1942 quando Giovanni Laterza scriveva a Benedetto Croce una delle lettere più amare della sua carriera editoriale. L’eco dei passi dei poliziotti fascisti risuonava tra le stanze della villa barese dei Laterza, dove la cultura italiana, silenziosa ma resistente, continuava a respirare. La polizia politica era certa che la casa editrice Giuseppe Laterza e Figli fosse il “ricettacolo di fermenti intellettuali antifascisti”. Un'accusa pesante, che tracciava un confine netto tra cultura e regime. L’accusato principale? Benedetto Croce, sorvegliato speciale del regime, promotore — secondo le autorità — di una “propaganda libero-socialista” che si irradiava da quelle stanze piene di libri.

Croce sapeva bene di essere nel mirino. Scriveva al Capo della Polizia il 22 luglio, con toni sferzanti: «So che agenti di Questura, appostati all’imbocco della stradetta che conduce alla villa Laterza, hanno preso i nomi dei vari visitatori, e tutti sono stati perciò diffidati». E aggiungeva con lucidità: «Questo fatto si commenta da sé, ed è un tentativo di farmi il deserto intorno». Era una battaglia culturale che si combatteva con penne e manoscritti, ma che il regime non sottovalutava affatto.

In quei mesi bui del 1942, furono in molti a pagare il prezzo dell’amicizia con Croce e della collaborazione con Laterza. Da Tommaso Fiore a Ernesto de Martino, da Aldo Capitini a Guido Calogero, fino a Carlo Ludovico Ragghianti. Tutti colpiti, perquisiti, diffidati. Tra loro, un nome si staglia con forza ambivalente: Giuseppe Rensi.

Filosofo “irrequieto” e pensatore radicale, Rensi fu un intellettuale che fece dello scetticismo una bandiera, fino a farlo assurgere a religione laica. La sua Apologia dell’ateismo (1925), pubblicata da Formiggini, fu un manifesto contro l’illusione di un ordine divino e razionale del mondo. Per lui, la verità — anche se esistesse — sarebbe comunque inconoscibile all’uomo. “La ragione umana è radicalmente incapace di distinguere il bene dal male”, scriveva, inserendosi nella tradizione scettica italiana da Dante a Leopardi, da Machiavelli a Pirandello.

Eppure, Rensi non fu sempre oppositore del fascismo. Nei primi anni del movimento mussoliniano, lo guardò con simpatia, sedotto — come molti — dalla promessa di rinnovamento. Ma già nel 1922 comprese l’inganno. Lungi dal chinare il capo, nel 1925 firmò il Manifesto degli intellettuali antifascisti redatto da Croce. Per questo pagò un prezzo altissimo: l’ostracismo accademico, la prigione, la marginalizzazione.

Il rapporto tra Croce e Rensi è la perfetta immagine della complessità del pensiero libero in un’epoca di repressione. Diversissimi nelle premesse metafisiche — Croce legato a una visione storicista e provvidenziale, Rensi immerso in un nichilismo radicale —, furono però uniti nella difesa della libertà di pensiero, in un’Italia che rischiava di perdere sé stessa sotto il giogo totalitario. Nel cuore di questa resistenza silenziosa, la casa editrice Laterza giocò un ruolo centrale. Come scrisse Luigi Russo: «Laterza ha riscattato la libertà e l’indipendenza della cultura italiana». Ma come ci riuscì? La risposta è in una scelta strategica e visionaria, frutto del sodalizio con Croce, iniziato nel 1901. Quando Giovanni Laterza, giovane tipografo barese, si recò a Napoli in cerca di consiglio, Croce lo indirizzò non verso la pubblicazione di libripopolari” o regionali, ma verso la “roba grave”: filosofia, politica, storia, arte.

Nasceva così uno dei binomi più importanti del pensiero liberale italiano: Croce e Laterza. Un tandem che avrebbe dato voce a un’intera generazione di intellettuali dissidenti, da Omodeo a Guido de Ruggero, da Giuseppe Lombardo Radice a Luigi Russo. La “Biblioteca di Cultura Moderna”, diretta da Croce, si affermò come il vero spazio libero della cultura italiana durante il ventennio. Un luogo dove le idee potevano ancora circolare, nonostante la censura, le minacce, le perquisizioni.

Anche Rensi trovò spazio, sebbene più defilato, in quell’ambiente. Le sue riflessioni pungenti, profondamente anti-dogmatiche, alimentavano il dibattito filosofico e culturale da un’angolazione diversa da quella crociana, ma non per questo meno utile. Condivideva con Croce, pur nelle differenze, una fede incrollabile nella necessità di pensare con la propria testa. La villa Laterza, le lettere intercettate, le visite annotate dai poliziotti, le pubblicazioni sospette: tutto questo racconta la storia di un’Italia che non si arrese al pensiero unico, ma che continuò a pensare, scrivere, discutere. E che proprio da quell’isola di resistenza intellettuale che fu Laterza, e dal pensiero coraggioso di uomini come Croce e Rensi, gettò le basi per il risveglio democratico del dopoguerra.

 

Di Riccardo Renzi