"Il posto scelto", dal ciclo “Racconti assurdi” (situazioni anomale e inconsuete che potrebbero verificarsi nel mondo reale)
Salì a bordo. Accese il quadro, ma non mise in moto. Restò lì. A guardare il telefono. O forse solo a fissare il vuoto attraverso lo schermo, come se la superficie riflettente potesse rivelare qualcosa d’altro. Qualcosa che si nascondeva sotto le app, sotto le parole, sotto tutto. Fu allora che la vide arrivare. Una seconda macchina.
C’era un silenzio vasto nel parcheggio. Non quello rassicurante dei luoghi sereni, ma un silenzio esteso, sospeso, come una lastra di vetro tesa sopra il mondo. L’asfalto si dilatava in tutte le direzioni, piatto e perfetto, solcato da righe bianche che sembravano disegnate per contenere il nulla. Decine, centinaia, forse migliaia di posti vuoti. E uno solo occupato.
Era lì, come un punto fermo su una pagina bianca. Una macchina verde scuro, di un colore talmente neutro da sembrare assente. L’unica presenza. Silenziosa. Inerte. Come un pensiero abbandonato.
Il protagonista — chiamiamolo così, perché non si sa altro di lui — camminava verso quella macchina. L’aveva parcheggiata lui, certo. Ma ora sembrava quasi diversa, come se l’avesse scelta lei, quella posizione, come se non fosse lui a guidarla, ma l’auto stessa a dirigere le sue intenzioni.
Salì a bordo. Accese il quadro, ma non mise in moto. Restò lì. A guardare il telefono. O forse solo a fissare il vuoto attraverso lo schermo, come se la superficie riflettente potesse rivelare qualcosa d’altro. Qualcosa che si nascondeva sotto le app, sotto le parole, sotto tutto. Fu allora che la vide arrivare. Una seconda macchina.
Nessun rumore. Nessun preavviso. Solo il movimento, irreale, di un altro veicolo che avanzava attraverso il deserto del parcheggio, ignorando le centinaia di possibilità, i posti vuoti che si offrivano come letti inutilizzati in una città abbandonata.
Eppure no. Quella macchina veniva lì. Solo lì. Si posizionò esattamente dietro. Fermandosi. Aspettando. Il protagonista si girò, stupito. C’era l’imbarazzo di chi si chiede se sta disturbando. Ma disturbare cosa? Aveva forse infranto una regola che non esisteva?
Il tempo passava. L’auto dietro non si muoveva. Poi: un lampo. Gli abbaglianti. Una, due volte. Come occhi che sbattono le palpebre troppo in fretta. Poi il suono. Non un clacson normale: un richiamo sottile, lungo, come un grido lontano che attraversa una gola meccanica. Un’eco innaturale nel silenzio del parcheggio.
Il protagonista provò un brivido. Aveva mille alternative, pensò. Quel guidatore poteva scegliere ovunque. Ma no. Voleva quel posto. Il suo. La logica si sgretolava. Il mondo intero — con le sue regole, le sue possibilità, i suoi spazi — sembrava collassare in quell’unico, assurdo desiderio.
Il protagonista decise allora di andarsene. Mise in moto. Lentamente. Fece manovra. Uscì dal posto. Imboccò il viale che costeggiava il parcheggio. Ma dopo pochi metri, rallentò. Poi si fermò. Come trattenuto da un filo invisibile, teso dal cuore alla nuca. Era la paura — no, non un terrore definito, ma un'ansia liquida, una vertigine d’incomprensione. Come se voltando le spalle a quel momento, lo avesse reso definitivo e irreversibile.
Rimase lì, a motore acceso, senza sapere se stesse aspettando qualcosa o semplicemente non riuscisse ad andare via. Fu in quel momento che vide la portiera aprirsi. L’uomo uscì. Non aveva fretta. Non sembrava nemmeno guardarsi intorno. Camminava diritto, tranquillo, verso di lui. Una figura normale. Fin troppo normale. E proprio per questo, spaventosa.
Il protagonista sentì il battito accelerare. Una voce dentro gli diceva di ingranare la marcia e andarsene. Ma restò fermo. Incollato al volante come se fosse parte del cruscotto. L’uomo si avvicinò. Sorrise appena, accennando un gesto. Estrasse dal portafoglio una banconota. Non voleva nulla di strano. Solo sapere se poteva cambiarla. Aveva bisogno di monete. Per pagare il parchimetro.
Il protagonista lo guardò, sbarrando gli occhi. Ci mise un attimo a capire. Sembrava che le parole fossero state dette in una lingua antica, o sussurrate nel sogno di qualcun altro. Poi, lentamente, quasi con tremore, aprì il portafoglio. Rovistò. Trovò il resto esatto. Glielo diede. L’uomo ringraziò con un cenno. Sincero. Sereno. Se ne tornò alla sua macchina come se nulla fosse. Il protagonista per un certo momento restò impietrito. Poi salì sulla sua auto e uscì dal parcheggio più veloce che poté. Corse più veloce che mai per giungere a casa. Dentro di sé era ancora incredulo. Non vedeva l’ora di archiviare quella storia tanto grottesca.