La dipendenza dal contesto, quando l’individuo smette di scegliere: la coscienza come un atto di resistenza
L’essere umano è, per sua natura, permeabile al contesto. Ma è anche capace di riflessione, rielaborazione, trasformazione. La sfida delle società contemporanee è coltivare questa seconda facoltà, senza negare la prima
1. Il potere invisibile delle condizioni esterne
La società contemporanea esalta l’idea dell’individuo autonomo, razionale, pienamente responsabile delle proprie scelte. Ma la psicologia, le neuroscienze e la sociologia ci mostrano una realtà diversa: l’essere umano è strutturalmente sensibile al contesto. Il suo comportamento, le sue credenze, le sue emozioni sono fortemente modellate dall’ambiente in cui è immerso.
Nel mondo attuale, segnato da insicurezza economica, precarietà relazionale e iperstimolazione digitale, questa influenza si è fatta più profonda e pervasiva. Ciò che chiamiamo “libera scelta” è spesso una risposta adattiva a vincoli invisibili, a pressioni sistemiche che indirizzano, premiano, normalizzano.
Viviamo in un’epoca in cui la libertà apparente maschera forme sofisticate di condizionamento sociale: algoritmi che selezionano ciò che vediamo, mercati che decidono ciò che desideriamo, linguaggi normativi che stabiliscono ciò che è accettabile.
2. Psicologia del contesto: adattamento, conformismo, anomia
Numerose ricerche psicologiche hanno evidenziato quanto il comportamento umano sia plasmabile dal contesto sociale. Classici esperimenti (come quello di Asch sul conformismo, Milgram sull’obbedienza o Zimbardo sulla prigione di Stanford) dimostrano che la percezione del giusto e dello sbagliato, del lecito e dell’illecito, può variare drasticamente in funzione delle aspettative ambientali.
In condizioni di pressione sociale, l’Io tende a cedere all’adattamento, talvolta fino alla completa alienazione. Il rischio maggiore, nel mondo iperconnesso di oggi, è lo sviluppo di un Io relazionale condizionato, dove l’identità non nasce da un’elaborazione interiore ma da una costante reazione esterna.
Quando il contesto diventa normativo – e non riflessivo – genera anomia, come la definì Émile Durkheim: una perdita di orientamento etico, affettivo e simbolico. In questo vuoto di significato, l’individuo non agisce più: reagisce. Non costruisce: si adatta.
3. COMMENTO CLINICO – Quando il contesto diventa dipendenza
Dal punto di vista clinico, la dipendenza dal contesto assume forme specifiche e osservabili. Non si tratta solo di pressione sociale, ma di strutture psichiche che si organizzano sulla base del bisogno di approvazione e di appartenenza, fino a generare sintomi veri e propri:
- Ansia sociale e identitaria, in soggetti che vivono la loro autostima in funzione dello sguardo altrui;
- Disturbi del comportamento e del controllo degli impulsi, generati da contesti ambientali instabili, coercitivi o incoerenti;
- Disturbo di adattamento e crisi di senso, sempre più frequenti nei giovani adulti in contesti altamente performativi.
Le persone più vulnerabili – per storia familiare, esperienze traumatiche o contesto socioeconomico – risultano maggiormente esposte al rischio di iperadattamento patogeno: una forma clinica di perdita del sé.
In questo senso, il contesto non è neutro. È principio attivo. E la società che lo produce è responsabile delle sue ricadute psichiche.
4. La dipendenza sistemica: economia, media e ideologia del controllo
Nel contesto economico-politico attuale, la dipendenza dal contesto assume una forma sistemica. L’instabilità lavorativa, la frammentazione delle reti familiari, l’accelerazione digitale e la crisi climatica creano un ecosistema emotivamente tossico, dove la percezione di incertezza cronica diventa norma.
Le piattaforme digitali, attraverso meccanismi di ricompensa dopaminergica (slot machine comportamentali), alimentano dipendenze da esposizione, consenso e confronto, facilitando una perdita progressiva del contatto con il sé autentico. La sorveglianza algoritmica, come nel modello del social scoring, orienta i comportamenti verso la performance sociale e non verso la verità soggettiva.
Anche il discorso politico contemporaneo, in molti casi, sfrutta questa vulnerabilità: propone identità chiuse, semplificazioni morali, nemici simbolici, per rassicurare un cittadino spaventato, che cerca certezze più che verità.
5. Dalla dipendenza alla consapevolezza: ripensare la formazione etica
Una società che voglia contrastare la dipendenza dal contesto deve educare alla consapevolezza critica. Questo significa:
• Restituire spazi di riflessione profonda nella scuola, nella famiglia, nelle istituzioni;
• Formare cittadini emotivamente consapevoli, capaci di distinguere tra ciò che sentono e ciò che “devono” sentire;
• Sostenere l’autonomia affettiva, attraverso politiche che riducano la vulnerabilità economica, relazionale, simbolica.
Come in psicoterapia, anche a livello sociale, solo chi riconosce il proprio condizionamento può liberarsene. La libertà non è un dato naturale: è un progetto continuo.
6. CONCLUSIONI – Una libertà fragile, da coltivare
L’essere umano è, per sua natura, permeabile al contesto. Ma è anche capace di riflessione, rielaborazione, trasformazione. La sfida delle società contemporanee è coltivare questa seconda facoltà, senza negare la prima.
In tempi di crisi, il bisogno di certezze rende l’individuo più malleabile, più manipolabile. Ma una giustizia matura, un’educazione profonda, una cultura della complessità possono aiutarlo a recuperare la capacità di scegliere.
Perché non esiste libertà senza coscienza.
E non esiste coscienza che non sia, almeno in parte, un atto di resistenza al contesto.
Di Edoardo Trifirò