Perchè è difficile sconfiggere l'Iran. Le radici ancestrali mito-storiche dell'idea di Impero Persiano
Come gli archetipi siano fattori di coesione e di motivazione. L'Europa li ha persi. La Persia li ha conservati
Quando al Liceo ci spiegavano cosa successe alla morte di Alessandro Magno la narrazione ufficiale liquidava uno snodo epocale della storia umana in poche righe: l'Impero alessandrino fu smembrato tra i generali del grande condottiero: i "Successori"("Diadochi"). In Occidente si ricorda Tolomeo che ebbe l'Egitto e si fa un veloce accenno al Regno Macedone e poi basta. L'Egitto si ricorda perchè piace a tutti e dai Tolomei viene poi l'ultima regina, già pop: la famosa Cleopatra. I più colti ricordano la Biblioteca d' Alessandria d'Egitto e la questione viene chiusa, archiviata. Per questo la memoria occidentale è così debole, fallace, fragile. Quasi nessuno si ricorda di Seleuco, uno dei generali successori di Alessandro Magno. Seleuco fu fondamentale e le conseguenze del suo operato giungono fino a noi e la sua figura ci spiega la grandezza della potenza persiana. Mentre infatti l'Egitto alessandrino ereditò la potenza culturale greca ma rimase una nazione debole e mentre il Regno Macedone ereditò la forza delle falangi e Roma ci mise più di un secolo e ben quattro guerre per piegarlo (Pirro re dell'Epiro si considerava erede di Alessandro) ecco che agli europei sfugge sempre la percezione di un dato fondamentale, molto semplice: l'80% dell'immenso Impero alessandrino-persiano restò e resta intatto e continua organicamente con Seleuco I. Mentre noi banalmente ci consideriamo eredi dell'universalità geniale di Alessandro Magno ha molto più senso storico ritenere la Persia più diretta e più autentica erede di Alessandro il Grande e della sua magnifica sintesi culturale tra le tecniche militari greche e la raffinatezza orientale. Gli "Immortali" di Dario divennero i "Diecimila" di Alessandro: un caso unico al mondo di perfetta fusione nel sangue e nell'educazione dei migliori giovani di due culture prima distanti: l'aristocrazia greco-macedone e l'aristocrazia persiana e orientale. Un Impero che rimase fedele ai suoi archetipi di fuoco e di luce e che da Seleucide poi diventa Partico, Sassanide e infine Islamico ma non cambia per nulla la sua coesione, omogeneità e fierezza. Prova ne è che le formidabili legioni romane non riuscirono mai a sconfiggere i Parti ne Costantinopoli riuscì a vincere i Sassanidi che giunsero persino ad assediarla. Serve poco quindi bearsi con i ricordi dei Trecento di Leonida (che il cinema ci ripropone ogni due o tre mesi, come soft power anti-Iran): mentre l'Europa è lontana anni luce dalle virtù spartane e macedoni la Persia è rimasta sostanzialmente se stessa per cinquemila anni. Non pochi. E come in ogni Impero l'idea imperiale rappresenta un fattore spirituale di coesione, catalizzazione e proiezione strategica. Le conseguenze della sintesi alessandrina tra grecità e carismi persiani le troviamo nei secoli nei Regni greco-buddisti della Battriana e dell'India settentrionale fino alla stessa figura di Tamerlano che si presenta quale nuovo ed eterno Imperatore del mondo e financo nell'alleanza tra Yemen e Iran la quale deriva dal periplo della penisola araba che l'ammiraglio Nearco realizzò per Alessandro Magno. L'Imperatore macedone aveva capito le potenzialità commerciali e geopolitiche del Golfo Persico e dell'India e intendeva costruisce una flotta militare e commerciale presso l'estuario dello Shaṭṭ al-ʿArab. Possiamo dire quindi che non sono invenzioni recenti ma frutto di migliaia di anni di storia le influenze persiane in Mesopotamia, Siria, Cappadocia e Yemen. Gli archetipi sembrano scherzare ma sono scherzi molto seri: duemila anni fa i Parti sconfiggevano i Romani con una veloce cavalleria di arcieri muniti di corazza integrale (per cavallo e cavaliere); oggi l'Iran sfida il predominio israeliano-statunitense con l'equivalente attuale della guerra a distanza: missili e droni. Sempre figure di fuoco, sono.