La scienza dell’amore, l’estate dell’eros e l’inverno delle emozioni; desiderio e infedeltà: un viaggio nella chimica delle relazioni

Perché non esiste benessere senza qualità nelle relazioni. Non esiste libertà senza consapevolezza emotiva

L’estate, si sa, è la stagione dell’amore.

E non solo per il romanticismo: la luce riduce la melatonina, aumenta il testosterone, l’aria è satura di corpi, incontri e possibilità. Ma anche qui, sapere cosa accade dentro di noi può aiutarci a scegliere consapevolmente, invece di agire per automatismi.
Non siamo schiavi degli ormoni, ma non possiamo neppure ignorarli. Siamo esseri in bilico tra natura e coscienza, tra pulsione e parola, tra chimica e significato.

Cosa succede nel nostro cervello quando ci innamoriamo? Perché certi sguardi ci incendiano l’anima, mentre altri ci scivolano addosso senza lasciare traccia? Cosa ci spinge a desiderare, a legarci, a tradire?
Nell’ultima puntata del suo programma, Alberto Angela ha affrontato uno dei temi più universali, misteriosi e, al tempo stesso, più fraintesi: i meccanismi dell’innamoramento, dell’attrazione sessuale e della fedeltà. Insieme al Professor Emmanuele Jannini, endocrinologo e sessuologo, ha guidato il pubblico in un viaggio affascinante tra neuroscienze e biologia evolutiva, esplorando le trame invisibili che legano emozioni e comportamenti affettivi. Un racconto che ha fatto luce su quanto siano intrecciati i meccanismi neurobiologici con le complessità relazionali.
La trasmissione ha avuto il merito di riportare al centro del dialogo una verità tanto semplice quanto rivoluzionaria: l’amore è anche biologia, ma non solo.

Una lezione che non si limita alla divulgazione scientifica, ma apre uno squarcio profondo sul funzionamento del desiderio umano, mostrando come la chimica dell’amore dialoghi con la storia evolutiva e personale, con la memoria affettiva inconscia, con le nostre fragilità e le nostre urgenze emotive.

La verità che emerge è tanto semplice quanto potente: l’amore è una danza continua tra biologia e storia interiore. È chimica, sì. Ma è anche psiche. Memoria. Ferita. Desiderio. Fuga. Appartenenza. E significato.
Da psicologo e consulente in sessuologia, ho accolto con entusiasmo e gratitudine questa scelta editoriale – coraggiosa e necessaria – di portare questi temi nelle case degli italiani, in prima serata, su una rete nazionale. È un segnale forte. Un atto politico, culturale, educativo. Perché parlare di amore, di sesso, di tradimento significa toccare la radice stessa dell’esperienza umana. È un invito a riprenderci un sapere che ci riguarda, ci attraversa e ci definisce.

Per questo mi unisco a quel racconto, offrendo a mia volta una lettura psicologica e relazionale che intreccia scienza e coscienza, corpo e neurobiologia, esperienze intime e dinamiche collettive, attraverso lo sguardo della mia esperienza umana e professionale. Amare, desiderare, essere fedeli o infedeli non sono mai scelte lineari. Sono architetture complesse, dinamiche invisibili, paesaggi emotivi in cui si intrecciano bisogni profondi, ferite antiche, memorie infantili, paure ataviche e slanci vitali. Tutto riconducibile a un bisogno incessante di appartenenza e di significato.

Parliamo di mappe del nostro inconscio, messaggi del corpo, tentativi spesso inconsapevoli di riconciliare mancanze, desideri e ferite.
Questo articolo vuole essere una bussola. Per orientarci nella mappa invisibile dei sentimenti. Senza ridurre l’amore a pura chimica, ma nemmeno dimenticando che siamo corpo. E il corpo parla. Quando non può parlare… desidera. Quando non può desiderare… si ammala. Sempre.

La chimica dell’attrazione e la danza invisibile degli ormoni

Quando ci innamoriamo, il cervello si accende come un cielo stellato.
Cosa accade, esattamente, quando scatta l’attrazione? Non è un mistero spirituale. È un processo biologico potente, governato da tre sistemi neurochimici principali:
• Il desiderio sessuale, alimentato da testosterone e dopamina. È il motore della ricerca, l’impulso primordiale che ci spinge verso l’altro.
• L’innamoramento romantico, dominato da dopamina, noradrenalina e una drastica riduzione di serotonina. È questa alterazione a renderci ossessivi, a farci pensare all’altro in modo quasi compulsivo.
• L’attaccamento, orchestrato da ossitocina e vasopressina. È ciò che stabilizza il legame nel tempo, rendendolo sicuro, affidabile, duraturo.
Innamorarsi — come è stato sottolineato nella trasmissione — è un fenomeno neurormonale, un’alchimia invisibile composta da dopamina, noradrenalina, ossitocina, vasopressina, serotonina e testosterone. È quella combinazione ipnotica che chiamiamo, romanticamente, colpo di fulmine.
• La dopamina è la scintilla, il brivido della novità, la sete di piacere. È ciò che ci sospinge verso l’altro, generando euforia, eccitazione, desiderio.
• La noradrenalina accelera il battito, fa tremare le mani, accende quella tensione sottile e magnetica che avvertiamo al primo appuntamento.
• L’ossitocina è l’ormone dell’attaccamento, dell’intimità, del contatto. Si sprigiona attraverso il tocco, lo sguardo, gli abbracci. Costruisce fiducia, sicurezza, vicinanza.
• La vasopressina, soprattutto nei maschi, cementa il legame. È la molecola della stabilità affettiva, quella che protegge la coppia, che costruisce appartenenza e continuità.
• Il testosterone sostiene il desiderio sessuale, la spinta pulsionale.
• La serotonina, al contrario, crolla. Ed è questo crollo a spiegare quella fame ossessiva d’amore, quella focalizzazione esclusiva sull’altro, tipica delle fasi iniziali dell’innamoramento.

Ognuna di queste molecole è un tassello della danza biochimica che trasforma un incontro casuale in un’esperienza destinata, talvolta, a cambiare il corso della nostra vita. Conoscere la biologia dei sentimenti non significa esserne schiavi, ma diventare più consapevoli dei meccanismi che ci abitano. E la consapevolezza, lungi dall’essere una prigione, è sempre una forma di libertà.

Eppure, no, la chimica non basta a spiegare l’amore umano. Se la biologia accende il motore, è la nostra storia personale a scegliere la direzione. Il cervello non sceglie a caso. Dietro ogni attrazione c’è una trama invisibile fatta di imprinting emotivi, modelli affettivi interiorizzati, bisogni inconsci rimasti inascoltati. Le neuroscienze lo confermano oggi con rigore scientifico, ma la psicoanalisi lo aveva intuito da sempre: non ci innamoriamo di chi è “giusto” per noi, ma di chi è “familiare” per il nostro inconscio. Di chi, nel bene o nel male, riecheggia il nostro passato. Le nostre ferite, i nostri vuoti, le nostre speranze.

Questa è la chiave profonda della teoria dell’attaccamento, centrale oggi in psicologia e in sessuologia: il modo in cui siamo stati amati — o disamati — da piccoli determina il modo in cui amiamo da adulti. Determina il modo in cui desideriamo, in cui costruiamo legami o li sabotiamo. In cui cerchiamo sicurezza, o rincorriamo libertà. In cui chiediamo amore, o lo fuggiamo. Attraverso l’altro, spesso, proviamo a riparare ciò che ci è mancato. A completare parti fragili di noi stessi. Non scegliamo l’altro solo per la sua bellezza, per l’odore della pelle o per la musicalità della voce. Lo scegliamo — più o meno consapevolmente — perché evoca qualcosa di profondo, di antico, di familiare. Un tipo di amore ricevuto. O mai ricevuto, ma disperatamente cercato.

Per questo l’attrazione sessuale non è mai solo istinto. È un linguaggio. Un simbolo. È il corpo che parla. È desiderio di fusione, ma anche nostalgia di un abbraccio mai avuto. L’altro diventa specchio. Ma anche frontiera.

Il paradosso della fedeltà: confine o ponte?

Proprio sul tema del confine si innesta un pensiero che sento intimamente mio, e che riprendo da una riflessione dello psicoanalista Massimo Recalcati: “La salute mentale è la capacità di rendere il confine poroso, attraversabile, fertile.” È qui che il tema della fedeltà si intreccia con una riflessione più ampia sul significato dei confini nelle relazioni.
Quando in un rapporto non c’è più spazio per l’alterità, per il desiderio che cambia, per l’incontro con l’altro in quanto altro — allora il legame si irrigidisce. Si smette di amare e si comincia a difendere un’idea di possesso, di controllo, di fedeltà come prigione, e non più come scelta.
In questo senso, la sessualità — così come l’amore — è un confine vivo, poroso, attraversabile. Un limite che non separa, ma che connette.
Il confine è sano quando rimane permeabile, quando diventa spazio di transito, di comunicazione, di dialogo. È il luogo in cui si gioca l’equilibrio sottile tra il bisogno di fusione e il diritto alla differenza; tra la sicurezza dell’intimità e il brivido della scoperta.

Ma quando il confine si irrigidisce, quando diventa muro, controllo, prigione, allora nasce la guerra. Vale per la vita, vale per la società, vale per la mente. E vale — profondamente — per l’amore. Perché un amore che non lascia spazio all’alterità smette di essere amore e diventa proprietà, sorveglianza, prigionia.

Tradimento: un tema delicato e spesso moralizzato. Il diritto alla complessità

Il tradimento non è semplicemente mancanza di fedeltà. È spesso il sintomo di un confine che si è trasformato da ponte in barriera. È il fallimento — o la paura — di una comunicazione autentica, profonda. È la traccia di un bisogno che non ha trovato voce. Qui si apre un capitolo fragile, scomodo, troppo spesso banalizzato o moralizzato, ma che merita un ascolto maturo. Perché dietro ogni tradimento non c’è solo l’infedeltà: c’è una domanda più grande, più complessa.

La scienza oggi ci aiuta a comprendere che la fedeltà non è soltanto una scelta etica o morale. È anche il frutto di una danza sottile tra biologia, imprinting ormonale, esperienze emotive e costruzioni culturali.
Una ricerca illuminante di Selterman e collaboratori, pubblicata sul Journal of Sex and Marital Therapy (2020), offre uno spunto prezioso:
Il 90% di chi tradisce non costruisce poi una relazione stabile con l’amante.
Un dato che ribalta molte narrazioni romantiche e molti giudizi frettolosi. Il tradimento, nella maggior parte dei casi, non è la porta verso un altro amore, ma piuttosto la risposta — impulsiva, confusa, spesso disperata — a un disagio interno o relazionale.

Chi tradisce non sta necessariamente scegliendo un’altra persona. Più spesso, cerca un’altra versione di sé: più viva, più vista, più desiderata. Meno sola. Il tradimento diventa così, per molti, una forma di coping, una strategia (a volte disfunzionale) per regolare la sofferenza, la frustrazione, la disconnessione. È il tentativo di riattivare il senso di essere vivi quando il legame principale sembra spento, inaccessibile, silenzioso. Non si tratta quasi mai di qualcosa di pianificato. Non sempre è voluto. Non sempre è veramente desiderato.

Semplificare sarebbe un errore grave. Ogni storia è un universo a sé. Ogni scelta affettiva merita ascolto, non giudizio. Ecco la verità che spesso non vogliamo vedere: Tradire non significa necessariamente amare un altro. A volte significa non sapere più come restare dentro il rapporto attuale.
E chi vive il ruolo dell’amante? Nella maggior parte dei casi rimane sospeso. Aspetta, spera. Consuma tempo, energia, dignità. E quasi sempre — nove volte su dieci — non cambia nulla.

Una nuova consapevolezza relazionale

La sessuologia, contrariamente a ciò che molti pensano, non è la scienza del sesso. È la scienza della complessità relazionale. È una lente potente, capace di illuminare i significati nascosti dei nostri desideri, dei nostri blocchi, delle nostre fughe e dei nostri slanci. Una chiave per decifrare ciò che il corpo sussurra quando la mente tace. Educare alla sessualità significa educare all’empatia. Significa allenarsi al dialogo, al riconoscimento reciproco, al rispetto profondo delle differenze e dei bisogni. Significa soprattutto disinnescare quel veleno culturale che ci ha convinti che l’amore debba essere perfetto, eterno, immobile. Non è così. L’amore è un organismo vivo. Respira, si trasforma, cresce se nutrito, muore se abbandonato. E allora dobbiamo smettere di cercare la sicurezza nell’immobilità e imparare a trovarla nella cura, nell’ascolto, nel coraggio.
Il coraggio di parlare. Il coraggio di restare. Il coraggio di riconoscersi. Anche quando fa male. Anche quando tremiamo.

Se un tradimento emerge, non va immediatamente condannato. Né giustificato. Va prima di tutto compreso. Perché dietro ogni infedeltà si nasconde un messaggio inascoltato. Un bisogno negato. Un vuoto che chiede attenzione. Una fame emotiva che la relazione, per qualche motivo, non è più riuscita a saziare. La sessualità — come l’amore — ha bisogno di confini porosi, non di prigioni. Non di muri, ma di ponti. Di varchi. Di respiro. Quando sappiamo fare spazio all’altro senza cancellare noi stessi, allora nasce la vera intimità. È lì che la fedeltà smette di essere un’imposizione o una paura e diventa, finalmente, una scelta fertile, libera, generativa. Siamo animali relazionali. Ma siamo anche creature straordinariamente complesse.

La biologia dell’amore ci racconta che siamo programmati per cercare connessione, contatto, piacere. Ma la nostra felicità non si esaurisce in un copione ormonale. Noi vogliamo sicurezza, sì. Ma anche libertà. Vogliamo vicinanza, ma anche spazio. Vogliamo stabilità, ma pure la vertigine della novità. E questa danza, che sembra contraddittoria, è il vero mistero dell’amore umano. L’amore non è una certezza. È un percorso. È un verbo, non un sostantivo. Un cammino che intreccia chimica, sì, ma anche scelta, responsabilità, presenza. Non siamo schiavi della biologia, né semplici consumatori di piacere. Siamo esseri complessi. Siamo creature narrative.
E nell’altro non cerchiamo solo un corpo. Cerchiamo uno specchio. Cerchiamo un luogo. Un luogo dove essere visti, accolti, riconosciuti, amati.

Se vogliamo costruire legami più sani — personali, affettivi, sociali, culturali — dobbiamo iniziare da qui: Dalla conoscenza di noi stessi. Dalla consapevolezza delle nostre fragilità. Dalla lucidità sui nostri desideri. Dall’onestà sui nostri limiti. Questa è la vera rivoluzione affettiva.
E forse, è anche la più urgente. 

La sessuologia come cura della libertà

Credo che la sessuologia, oggi più che mai, debba farsi ponte tra corpo e mente, tra biologia e narrazione, tra desiderio e consapevolezza.
Deve parlare a chi si interroga. A chi ama troppo. A chi non riesce più ad amare. A chi cerca risposte. A chi soffre.

La professione che ho scelto non è fatta solo di diagnosi o protocolli.
È fatta di ascolto profondo, di comprensione dei bisogni, di educazione al piacere, al rispetto e alla libertà. Amare non è solo sentire qualcosa. È imparare a sentire sé stessi mentre si ama. Ed è forse proprio questo, oggi, il compito più importante: insegnare che l’amore è una forma di responsabilità e libertà. Non è un destino. Non è un vizio. Non è un contratto da firmare. È una scelta viva, consapevole, quotidiana.
Alberto Angela ha avuto il merito di portare questo tema nel salotto della cultura televisiva italiana, restituendogli la dignità che merita. Perché parlare di amore, di sessualità, di fedeltà e di desiderio non è pettegolezzo. Non è frivolezza. È salute. È cultura. È educazione. È politica dell’intimità.
E oggi, con queste parole, raccolgo quel testimone e lo passo alla vostra coscienza affettiva.

Perché non esiste benessere senza qualità nelle relazioni. Non esiste libertà senza consapevolezza emotiva. E non esiste sessualità sana senza la capacità di abitare la propria storia affettiva con autenticità, con onestà, con coraggio. Bisogna educare alla complessità dell’amore. Perché è lì, in quella complessità, che si gioca il senso più profondo della libertà umana.

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Ispirato alla puntata di “Noos – L’avventura della conoscenza”, Rai 1, 23 giugno 2025

di Edoardo Trifirò – Psicologo e consulente in sessuologia