Persistenze alchemiche nel linguaggio mistico cristiano? Come l'enigma si moltiplica linguisticamente fino a Maria Valtorta
Il mistero dell'Alchimia sembra alluso in certi passi di opere religiose. Fino a tempi non sospetti: l'Antico non finisce mai!
Il “discorso alchemico” sembra sopravvivere parlando a se stesso e di se stesso in opere religiose appartenenti già ai tempi moderni. Facciamo due esempi molto forti. “Compie lo Spirito la fusione, il Padre la consumazione, il Figlio è la tintura che fa l’oro e lo trasfigura” così recita un frammento poetico-mistico del teologo e scrittore seicentesco e tedesco Angelo Silesius (Pellegrino Cherubico, I,246). Similmente parla talvolta il mistico francese settecentesco Luigi di Montfort: “Chi onora Maria sua Madre fino a sottomettersi a lei e obbedirle in tutto, diventerà presto molto ricco, perché accumula tesori ogni giorno, per mezzo del segreto di questa pietra filosofale” (Trattato della vera devozione alla Vergine, cap.156). Possiamo trovare inaspettatamente allusioni e riscontri di quel sapere filosofico-sperimentale naturale che fù chiamato alchimia e che si fondava su di una tradizione vissuta di esperienze sapienziali che si richiamavano alle Sacre Scritture, anche in tempi ormai moderni e in scritti di pensatori e figure insospettabili dal punto di vista alchemico. Ho raccolto quattro tracce che mi sembrano utili a dimostrare come il sapere alchemico fosse considerato una delle spontanee espressioni di un sapere cristiano che era ritenuto derivare dalla grazia di Cristo oltre che dalla natura delle cose: negli scritti di Girolamo Savonarola, Angelus Silesius, San Luigi di Montfort, San Giovanni Bosco, fino alla controversa personalità di Maria Valtorta. Nella sua opera La semplicità della vita cristiana (Ares, Milano, 1996) il fervente e ascetico domenicano Girolamo Savonarola, amico di Pico della Mirandola e quasi venerato da Marsilio Ficino, utilizza più volte quale metafora del cammino di crescita spirituale dell’anima immagini tratte dalle simbologie metalliche. Il concetto di trasformazione e purificazione dei metalli diventa così specchio della conversione interiore, del passaggio dal piombo del peccato all’oro dell’amore mistico. Gli stessi quattro elementi della Natura (terra, aria, acqua, fuoco) vengono citati quali metafore dei tipi morali principali sula via della purificazione cristiana. La via cristiana a Dio è illustrata con le similitudini della “riduzione ad essenza”, a semplicità pura e assoluta, lessico proprio anche del linguaggio alchemico. Analogamente e ancor più esplicitamente il mistico seicentesco Angelus Silesius (tanto amato da Junger), cattolico ortodosso ma non lontano dalla teologia negativa e paradossale di un Meister Eckart, riprende e rilancia la grande tradizione del misticismo cristiano in una serie affascinante di aforismi ascetici e contemplativi nella sua stupenda opera il Pellegrino cherubino. Quì l’autore paragona la liquefazione mistica del cuore al crogiuolo metallurgico e cita espressamente la Pietra filosofale e il lavoro dell’alchimista quale dinamiche assai simili alla sublimazione e alla trasfigurazione dell’anima che tende a Dio. L’autore usa la conoscenza dell’esperienza alchemica in senso dialettico/imitativo a scopo di visualizzazione ascetica, ora ironizzando, “Perché batti il metallo? Nella pietra angolare (cioè Gesù) soltanto c’è salute, oro, e tutte le arti” (Pellegrino, I,87, si veda anche III, 119) ora con profondo rispetto: “Pietra filosofale è l’amore: oro da fango separa, del nulla fa il qualcosa e mi trasforma in Dio” (Pellegrino, I,244). La stessa autorivelazione dell’immensità e profondità di Dio si manifesta in modi e forme che l’autore esprime con acutezza e somma sensibilità proprio usando termini e immagini tratte dall’immaginario e dal sapere alchemico, che mostra così di padroneggiare con disinvoltura. “(Pellegrino,) Silesius recupera la medioevale fede cristiana nella concordanza fra macrocosmo e microcosmo, entrambi opera di Dio: “Che Dio sia uno e trino, te lo mostra ogni erba dove in uno si vedono sale mercurio e zolfo”(Pellegrino, I,257). Il concetto quindi “alchimia cristiana” e di “alchimia spirituale” non è un interpretazione postuma, deviante, ideologica, ma è radicata nella storia dell’alchimia quanto nella storia del misticismo cristiano, specie cattolico. Silesius insiste sul parallelismo tra trasformazione data dalla fede e trasformazione alchemica: “Il saggio crea l’oro, trasforma ferro e pietra, se pianta la virtù e angelici ci rende” (Pellegrino, III,208) e ancora: “Stimo nell’arte alchemica sperimentato maestro chi per amor di Dio trasforma in oro il cuore” (Pellegrino, III,120). L’interiorizzazione della Pietra filosofale è canone della stessa alchimia fin dal XII secolo. Silesius semplicemente ha il merito di una sua forma più poetica e sintetica: “Uomo discendi in te! Non si può prima cercare la pietra filosofale in paesi stranieri” (Pellegrino, III,118). Un secolo dopo troviamo alcuni importanti accenni perfino nel capolavoro di sapienza mariana che è il Trattato della vera devozione alla Vergine di San Luigi di Montfort, dove l’ispirato autore, che profondamente influenzò la spiritualità di Giovanni Paolo II, paragona l’opera di semplificazione e facilitazione che la Madre di Dio compie in campo spirituale nei cuori devoti alla lavorazione degli elementi naturali: “Come vi sono segreti di natura per fare in poco tempo, con poca spesa, e con facilità certe operazioni naturali, così vi sono segreti nell’ordine della grazia..” Quì si sfiora uno degli concetti base dell’arte alchemica, cioè la visione che l’alchimia ha di se stessa quale opera di velocizzazione del lavoro della natura tramite l’evocazione di energie più profonde, ignee, sacralmente corrispondenti, dal lato religioso, al fuoco celeste di Dio. Passa ancora un secolo e possiamo apprezzare nell’opera di San Giovanni Bosco Storia sacra (S.E.I., Torino, 1954), limpido compendio della Bibbia ad uso didattico perle scuole medie, un accenno illuminante che ci dimostra come il grande educatore padroneggiasse ancora la medesima “filosofia della natura” al cui interno si era sviluppata otto secoli prima la tradizione alchemica. L’autore commentando la Genesi e risolvendo in anticipo una facile obiezione razionalistica, inserisce una breve spiegazione del fatto di come sia possibile che vi stata la luce nell’universo, creatura di Dio, prima della successiva creazione del sole. La Genesi è spesso stata considerata dagli alchimisti emblema del lavoro alchemico che doveva rinnovarne le dinamiche a livello microcosmico. San Giovanni Bosco autorispondendosi ricorda l’esistenza dell’etere, quale sostanza luminosa universale, presente in tutti i corpi e in tutti gli elementi: “Bisogna sapere che nell’aria, ne’corpi e nelle viscere della terra è sparso un fluido lucido detto etere, il quale, tocco da’raggi del sole o da una fiamma, diffonde luce. Il fluido lucido fù creato nel primo giorno…(da Dio)”. Ebbene l’etere è uno dei aspetti fondamentali dell’alchimia, come ha messo in rilievo un recente ottimo saggio: Divo Sole, la teurgia solare dell’alchimia a cura di Alessandro Boella e Antonella Galli (Mediterranee, Roma, 2011) in cui gli autori evidenziano l’importanza nell’alchimia della luce nelle sue proprietà sottili, ultravisibili, essenziali. L’intima associabilità fra dimensione mistica e dimensione alchemica offre tracce di persistenza quasi fino ai giorni nostri. Nel Poema dell’Uomo Dio, Vol I, par. 26, di Maria Valtorta, (Edizioni Pisani, 1975) troviamo questo affascinante e sorprendente passo: “Come acqua regia che prova l’oro e bilancia d’orafo che ne pesa i carati, quella pianta, divenuta una “missione” per comando di Dio rispetto ad essa, ha dato la misura della purezza del metallo d’Adamo e di Eva.” Queste testimonianze così profonde e preziosamente significative ci portano a tre riflessioni conclusive: 1) l’alchimia era conosciuta dalle elites culturali europee per svariati secoli, e non era quindi un sapere marginale o eccentrico 2) non era avvertita alcuna incongruenza fra cristianesimo e tradizione alchemica 3) gli scambi profondi (semantici, strutturali, lessicali, valoriali) fra il linguaggio mistico e quello alchemico sono una costante per entrambi i linguaggi. Non necessariamente quindi il linguaggio alchemico assume i toni e le dimensioni di una logica magica (differente nei fini e nei metodi) ma al contrario l’alchimia parla di se stessa quasi sempre quale scienza sì spirituale ma pure sperimentale, pragmatica, teandrica. Che la Cerca continui!