I fondamenti filosofici dei giardini di Brera. Intervista al Prof. Alessandro Di Chiara sulla figura di Eva Tea fra estetica e spiritualità

Da Giuseppe Parini a Eva Tea la formazione artistica accademica è ricerca e didattica verso le cause e i principi primi della conoscenza

Caro Alessandro, ti conosco e ti stimo come professore ordinario di Pedagogia e didattica dell'Arte all'Accademia Belle Arti di Brera, come ermeneuta del pensiero  italiano degli ultimi tre secoli, dai neoclassici ai tragici del Novecento con particolare attenzione ai filosofi dell'esistenza. Recentemente ho incontrato l'artista lombardo Pietro Bisio, discepolo di Eva Tea, pioniera della ricerca e della didattica accademica italiana, di cui sei esperto e il mio pensiero ha immediatamente rammemorato un Simposio organizzato nel 2023 dal Dipartimento di Comunicazione e Didattica dell'Arte dell'Accademia di Belle Arti di Brera e da te curato con le relazioni di diversi illustri tuoi colleghi e  noti esperti della docente biellese. 

Chi è Eva Tea e perché  la ritieni una figura importante?

Eva Tea è  una studiosa rilevante  nell’'ambito della ricerca storica-artistica, archeologica e pedagogica italiana del Novecento con una particolare vocazione per la comunicazione dei saperi che la qualifica sia come una raffinata interprete della pittura rinascimentale che  come un’ acuta lettrice dei filosofi della tradizione antica e medioevale. In particolare,  ella è stata anche una terziaria francescana non solo sitibonda delle fonti della sua tradizione spirituale [S. Bonaventura] ma ha approfondito anche  alcune questioni centrali della tradizione metafisica occidentale [Aristotele- S.Tommaso] e della filosofia contemporanea. 

Dopo la vostra iniziativa  si è  sviluppata una sorta di Renaissance di convegni e simposi dedicati alla Tea; un’ attenta giornata di studio lo scorso febbraio presso la Biblioteca Classense, mentre ho  letto  con  smarrimento una clamorosa tòpica nell’ambito  della pubblicazione del comunicato di presentazione e di  invito  a un  recente simposio  vercellese, dove gli organizzatori affermavano che la studiosa  avrebbe vinto il concorso ministeriale nel 1929 e avrebbe preferito l’Accademia di Belle Arti di Brera rispetto all'Accademia Albertina. Tutto ciò corrisponde alla realtà storica? 

Eva Tea ha vinto il concorso statale nel dicembre del 1922  ( primo posto con punti 14), ella entra in ruolo all’Accademia di Brera con la nomina di «professore di storia dell’arte, storia generale e di bibliotecario»; la Tea non poteva optare per l'Accademia Albertina in quanto il vincitore del concorso  per la sede piemontese era il primo classificato: Filippo Rossi ( primo posto con punti 13/5, mentre Eva Tea si classifica al secondo posto con punti 13). Quindi affermare altro è  privo di fondamenti  storici come  dimostrano i documenti archivistici ministeriali.

Eva Tea è una figura ancora attuale per il mondo della cultura e della didattica-ermeneutica?

Ella si può considerare un classico nell'ambito della didattica e della ricerca accademica e non solo, ella  è stata anche co-fondatrice dell'Istituto Beato Angelico ( 1929 in collaborazione con Monsignor Giuseppe Polvara)  e le sue interpretazioni dell'esperienza artistica sono ancora discusse come fondamentali soprattutto nell'ambito dell'estetica e della pedagogia del sacro.

Il suo approccio spirituale le creò problemi e incomprensioni?

La sua apertura verso la ricerca dei saperi è caratterizzata da un dialogo incessante con tutte le forme della domanda artistica e filosofica; questo significa che non solo era docente titolare della più importante Accademia di Belle Arti italiana ma prestava la sua collaborazione, in qualità di docente incaricata anche all’ Università Cattolica di Milano. In quel periodo storico il rettore era Padre Gemelli; il rapporto tra i due era alquanto stimolante, anche nelle diverse posizioni su alcune questioni filosofiche e non solo. Ella frequentava anche la banfiana Casa della Cultura, e ciò non era molto apprezzato dal rettore filo-fascista.

Il rapporto fra Eva Tea e gli artisti? Pietro Bisio a 93 anni ancora oggi la ricorda con affetto e riconoscenza...Puoi raccontarci qualcosa di quel contesto artistico del suo tempo?

La vocazione verso le cause e i principi primi del sapere qualifica Eva Tea come una curiosa scopritrice di talentuosi artisti e non solo delle belle arti. Basti pensare che ella ha anche stimolato la ricerca spirituale di un giovane pittore come Don Lorenzo Milani, colui che  sarà destinato a diventare un importante pedagogista dell’ emancipazione e dell’  inclusività.

Come approfondisci la sua opera nel libro che hai curato per l'Accademia ove insegni e in che rapporto Eva Tea è coi precedenti simposi che hai curato in onore di Giuseppe Parini, Francesco Soave e Roberto Sanesi che hanno ottenuto attenzione dalla critica nazionale e internazionale?

Tutti i contributi degli studiosi dei simposi e degli atti,  che hanno ospitato anche degli sviluppi interpretativi, hanno voluto scandagliare negli aspetti inediti e meno scrutati degli autori che hai citato;  l’intenzione della ricerca è sempre stata quella di mettere in luce gli aspetti meno analizzati e in particolare la loro interpretazione  su questioni attinenti alla  filosofia dell'educazione artistica.  L'identità pedagogica e artistica  dell’Accademia brerese  è tracciata da colui che  ispira lo statuto accademico: Giuseppe Parini.  Egli non è solo il letterato che tutti abbiamo imparato a conoscere negli studi scolastici, piuttosto il poeta  è anche un acutissimo ermeneuta della retorica antica e un coraggioso e coerente educatore del sublime, del  bello, del vero e del giusto. 

Quanto è importante l'ermeneutica pedagogica  delle arti per la formazione degli artisti del futuro?

L'interpretazione  tra i vari metodi di ricerca  e di analisi dell'opera d'arte,  in tutte le sue forme, è tra i più significativi. In particolare,  l'interprete non solo apre l'opera verso il fruitore della stessa, ma sopratutto il fruitore fa dire talvolta all'autore ciò che l'autore non sa di avere detto o di avere di-segnato: in questa relazione si trova la comunicazione che si fa processo pedagogico attraverso l'esperienza dell'ontologia dell'atto creatore

Ora, io so che tu vuoi limitare a pochi cenni la tua ricerca extra i classici dell'Accademia,  però tu hai dialogato, in modo anche assai critico e da posizioni altre con filosofi e teologi che ormai sono considerati dei classici della teoresi del secondo Novecento, ricordo il tuo colloquio con Emanuele Severino, Gianni Baget Bozzo e don Andrea Gallo su questioni vertiginose come il problema del male e la meontologia. Questi tuoi temi di ricerca sono presenti anche nel classici autori e docenti dell'Accademia?

La cattedra di Pedagogia e Didattica dell'Arte  brerese ha una storia molto importante; in particolare  è stato titolare della stessa, durante l’ultimo ventennio del secolo scorso  un talentuoso interprete dei poeti e dei letterati di lingua inglese da J.Milton  a W. Blake, e non solo : Roberto Sanesi. Egli ha anche "divagato" sul mysterium iniqutatis, e ha intuito,  come già  nell'ambito della filosofia esistenziale tedesca propose in quegli anni il filosofo della Foresta Nera M Heidegger,  che innanzi alle cose ultime la ragione filosofica deve rimanere in silenzio e solo il linguaggio poetico può “ accennare” qualcosa. 

Questo "qualcosa" può educare verso i valori esistenziali e in che modo la pedagogia dell'arte può essere formativa in un periodo storico sempre  più caratterizzato dal nichilismo e dal dispositivo tecnologico che riduce il soggetto a oggetto?

Questa domanda alimenta i significati originari della formazione artistica e filosofica; la pedagogia invita l'artista ad essere esemplare nel dimostrare coraggio nel difendere le proprie intuizioni estetiche che si rappresentano in contenuti capaci di unire il bello al buono (καλοκαγαθία) anche se l’ atto creativo è sempre  ostacolato dai "mala in mundo" e sopratutto dal " malum mundi ". Ma l'artista quando è tale è capace di   oltrepassare gli ostacoli del mondano per rivendicare l'autodeterminazione del suo essere  contro ogni forma di omologazione  che  lo vorrebbe integrare all’interno del sistema della “società dello spettacolo”. L’artefice  è in grado di usare al meglio il dispositivo  artistico che si fa strumento tecnologico;  se la ricerca scientifica inizierà a collaborare con maggiore complicità con la ricerca artistica, filosofica e religiosa  la tecnica, che è connaturale alla natura umana, al  nostro processo cognitivo, linguistico e comportamentale, potrebbe trarre giovamento dalla formazione olistica dei saperi e  aprire verso scenari  “altri” rispetto a quelli prometeici; si tratta di volgere lo sguardo  verso l’escatologia, nella teandrica  relazione tra il divino e l’umano.