Papa Leone XIV e l'inquietante profezia di San Malachia sui Papi. Alcune riflessioni in aiuto all'interpretazione
Logos e Profezie. Un rapporto complesso e mai facile. Il rischio costante della profezia che si auto-avvera
Una delle profezie che più inquieta i tempi recenti, specie in ambito cattolico, è quella del vescovo e santo irlandese Malachia che presso la basilica di San Paolo fuori dalle mura (dove sono conservati ora i ritratti di tutti i Pontefici) la tradizione vuole che nel 1139 abbia avuto una visione mistica dalla quale derivò una profezia consistente in un elenco di Pontefici dai suoi tempi (Papa Celestino II) fino ad un tempo speciale futuro. L'elenco infatti non centra direttamente con la fine del mondo o la fine della Chiesa ma si conclude con una succinta descrizione di un tempo di massima persecuzione per la Chiesa cattolica durante la quale si avrà un potente intervento risolutore da parte di Dio stesso. "Extrema" è aggettivo che può indicare l'ultima in senso cronologico oppure la "massima" come intensità, riferita ad un potente attacco contro la Chiesa di Cristo. Non sappiamo se sarà un attacco dall'esterno o dall'interno, se cioè si tratterà di una persecuzione anticristiana mossa da potenze non cristiane oppure se la profezia allude ad uno scisma o eresia o apostasia interna alla Chiesa. Certo è che questo ormai celebre elenco di Papi appare impressionante per la risonanza dei motti profetici con determinati elementi propri di singoli Pontefici: o lo stemma o la provenienza o certi loro carismi. A Giovanni Paolo II ad esempio corrisponderebbe il motto malachiano: "De labore solis" e questo motto potrebbe rinviare al carisma evangelizzatore di questo Papa che ha girato tutto il mondo (come il sole) nei suoi numerosissimi viaggi apostolici, più di ogni altro Pontefice. "De gloria olivae" invece potrebbe alludere alla denominazione di "olivetani" propria dei benedettini amati da Benedetto XVI tanto che ne assunse un nome in risonanza. Ma il motto che assume un tono inquietante è ovviamente l'ultimo: "Petrus Romanus". Per questo Papa la profezia si allarga appunto nella previsione di un tempo speciale di difficoltà drammatica per la Chiesa e di massima persecuzione. Che non sia la "fine del mondo" ma una fase, pur terribile, di purificazione della Chiesa lo indica il passo profetico finale: "il Giudice tremendo (cioè Dio) giudicherà il suo popolo". Non il mondo, quello è il Giudizio Universale (Ap.20,11), ma "il suo popolo", cioè i cristiani. Ma il motto inquieta anche proprio per la denominazione di "Petrus Romanus", anche perchè nessun Papa ha mai osato chiamarsi "Pietro". Ogni Pontefice infatti è teologicamente e tradizionalmente "successore di Pietro". Mentre ogni motto malachiano contiene riferimenti precisi, pur allegorici e allusivi, quest'ultimo motto invece appare molto semplice ed essenziale e rinvia solo alla presenza petrina a Roma. Sbaglia chi interpreta superficialmente il motto attendendo un Papa che si chiami "Pietro" perchè questo non accadrà mai e anche perchè ogni motto di solito indica un carisma, una connotazione del Pontefice di riferimento e non fa riferimento in modo esclusivo e diretto al nome pontificale. Per decrittare quindi il termine "Petrus romanus" o si aspetta un Papa nato a Roma (improbabile, sarebbe anche un dato poco rilevante) oppure deve trattarsi di un Papa a cui accadrà ciò che accadde a San Pietro durante la sua predicazione romana: la persecuzione e poi il martirio. Un Papa che rivivrà ciò che visse a Roma il primo Papa. Nessun'altra interpretazione appare coerente e logica più di quest'ultima, in relazione al Papato e alle costanti dei motti malachiani. Solo un Papa perseguitato e martire a Roma potrebbe giustificare il termine "Petrus Romanus". Detto questo resta la questione di fondo: si tratta di una profezia autentica? E questo è un problema, perchè per loro logica le profezie sono doni divini quindi o li conferma Dio o si comprendono solo in uno scenario postumo, cioè se i fatti accadono conformemente. Il problema è che molte profezie, come questa, presentano sia elementi di attendibilità che elementi di dubbio. In questo caso i dubbi sono duplici: il fatto che il testo compaia molto tardi, in quanto fu pubblicato solo nel 1595 nel libro "Lignum vitae" del benedettino francese Arnoldo Wion e oltre a ciò resta sul tavolo la questione degli anti-papi all'interno dell'elenco pontificale, tale da poter alterare l'elenco o renderlo inaffidabile. Un ultimo fattore complica le cose: la consueta efficacia performativa delle profezie, che muovono emozioni e convinzioni in molti e che potrebbero così incoraggiare azioni politiche in alcune elites desiderose di strumentalizzarle per autoaccreditarsi o rafforzarsi nella prassi. In questo caso una profezia che si è voluta attuare scientemente, come il caso di Alì Acga ricorda in relazione alla profezia di Fatima, resta una profezia valida o viene vanificata o dimostrata così non attendibile? Ai posteri l'ardua sentenza. Una cosa sembra certa: Bergoglio sembra centrare nulla con questa profezia: non abbiamo alcun elemento della sua presenza romana tale da permetterne un collegamento interpretativo. Anzi: il suo stile eccentrico e informale ne fa il Vescovo di Roma meno romano e meno petrino di tutti. Oltre a ciò non è certo stato perseguitato, ma, anzi, applaudito da ogni parte dai massmedia e da molti potenti del mondo. Da parte nostra speriamo (per noi e per tutti) con tutto il cuore che Papa Leone XIV non sia questo "Petrus Romanus", anche se i tempi si preannunciano burrascosi e non facili.