"Sfilata d'alti modi, ritratti poetici di figure esemplari", un'increspatura sullo stagno dell’indifferenza e un'oasi nel deserto dei valori
Dalla poesia civile, una bussola etica
Un’increspatura sullo stagno dell’indifferenza. Fresca oasi nel deserto dei valori. Così si potrebbe definire l’antologia Sfilata d’alti modi. Ritratti poetici di figure esemplari, uscita a fine 2024 per la casa editrice napoletana La Scuola di Pitagora, nella collana “fendinebbia”. Il curatore, l’italianista Giuseppe Langella, nell’introduzione spiega che l’intento della raccolta è di suggerire alla società odierna alcune figure di riferimento, “per scampare a quell’invisibile genocidio di massa i cui sintomi sono lo stordimento fisico, la catalessi morale e il sonno della ragione”. Questa silloge di poesia civile sembra in effetti ispirarsi alla speranza che il sortilegio della parola generi realtà salvifiche, scialuppe per traghettare semi di pensiero sino alla riva del futuro. Prima che il sapere sia dimenticato, la bellezza soffocata.
La maggior parte degli intellettuali italiani contemporanei sono a libro paga delle lobby finanziarie. Se volgiamo invece gli occhi ai cieli del passato, le stelle polari della fierezza certo non mancano: Leopardi, D’Annunzio, Pound, Dino Campana e molti altri. Una lucida visione della compagine sociale, l’idea tradotta in azione, la condanna dell’usura, la fascinazione per la filosofia, l’assoluto, gli eterni antichi miti… Perché dunque non seguirne l’esempio, e liberare il popolo dalla schiavitù della propaganda, dalle miserie della partitocrazia, dall’apatia del virtuale, dal dilagare di violenza, ignoranza e volgarità? Chi è animato dalla passione per la conoscenza e coltiva il senso della giustizia non può rimanere inerte. Su di lui incombe il dovere morale di battersi contro i soprusi dei potenti. Altrimenti la sua ignavia risulterebbe doppiamente colpevole.
La cupola mondialista persegue progetti distopici. I grandi burattinai ci vessano, ci umiliano. E, con lo stratagemma del politicamente corretto, ci impongono la censura.
Da queste pagine si levano però voci coraggiose
che ricordano
la tragedia degli esuli giuliano-dalmati
gli atti eroici dei soldati italiani caduti a El Alamein
i luminosi sentieri che Sibilla Aleramo ha indicato alla donna
l’impegno pacifista di Carlo Cassola
il sangue che zampilla sull’asfalto di Locri
dal corpo di Francesco Panzera
professore di liceo che aveva cercato di tenere i suoi studenti
lontani dalla droga.
i pericoli dell’omologazione globalista
denunciati dall’antropologa Ida Magli
e la sua commovente ammirazione verso il genio italiano
l’ingiusta detenzione di Julian Assange
perché “non c’é scampo per chi guarda dietro l’apparenza
di una democrazia dittatoriale e lo dice al mondo”.
“Avrah KaDabra” è un’espressione in lingua aramaica e si traduce con “io creo quello che dico”.
Analogamente, in latino, il verbo “fari”, cioè dire, risulta correlato a “fatum”, il destino. La sorte era insomma segnata, o quanto meno influenzata, dal nome. Una benedizione o una maledizione, dall’istante in cui venivano pronunciate, si riteneva orientassero, nel bene o nel male, il corso degli eventi. Il “vates” era indovino, profeta e, dato che il vaticinio veniva formulato perlopiù in versi, anche poeta (termine che discende dal verbo greco ποιέω, fare, fabbricare). A chiudere il cerchio semantico, il lemma “carmen” che, oltre a “canto”, e “poesia”, rimanda a incantesimo, formula magica, responso oracolare.
Semplici superstizioni o antica saggezza? Chissà… È pur vero tuttavia che, mentre i padroni del discorso cavalcano la “neolingua” per stravolgere i significati e confondere il comune buon senso, a poco a poco l’ordine naturale delle cose viene difatto sovvertito, in un’ottica di mercificazione, profitto, degenerazione, ipercontrollo. E assassinio di libertà.
Ecco perché diventa sempre più urgente riaffermare la logica, l’etica, l’estetica, difendere le nostre radici, spazzar via ambiguità, menzogne e ipocrisia, esiliare la follia del transumanesimo, del transgender. Ma se vogliamo danzare di nuovo al ritmo del cosmo e veleggiare ancora sulle onde della spiritualità, occorre affidarci al miracolo della coscienza. E del linguaggio. Solo così potremo forse plasmare un orizzonte più autenticamente umano. Cullati dal dolce abbraccio della tradizione.
Di Lidia Sella